di Eliana Riva – 

Pagine Esteri, 29 giugno 2023. Dilek Doğan aveva 25 anni quando venne uccisa, a sangue freddo, nella sua casa di Istanbul, nel quartiere di Armutlu, dinanzi ai suoi genitori e a suo fratello. Erano le 4.30 del 18 ottobre del 2015 quando la polizia bussò alla porta dell’abitazione in cui la ragazza viveva con la famiglia. Cinque o sei militari con i fucili spianati e i giubbotti antiproiettile entrarono per una perquisizione. Quella notte vennero perquisite altre 16 abitazioni nel quartiere. La polizia dichiarò di essere alla ricerca di un attentatore suicida in possesso di una bomba.

Ma non era la prima volta che accadeva. Anzi. Dilek andò a svegliare la madre: “Sono tornati”, le disse.

Armutlu è un quartiere di Istanbul con una storia particolare di rivendicazioni politiche e democratiche. La popolazione di Armutlu è alevita, una minoranza religiosa in Turchia (tra il 15 e il 20% della popolazione), per la maggior parte composta da rivoluzionari democratici. Sono perseguitati in quanto minoranza e in quanto dissidenti politici. Per questo gli abitanti di Armutlu sono da anni presi di mira dal governo, che invia spesso l’esercito con l’ordine di perquisire, arrestare, uccidere, controllare. L’obiettivo è soprattutto quello di far sentire costantemente la pressione, provare a spezzare le reni della resistenza, costringere i giovani a fuggire o tenerli in prigione, rendergli impossibile la vita. Abbiamo incontrato decine di abitanti di Armutlu e nessuna delle persone con cui abbiamo parlato, qualsiasi fosse il sesso o l’età, aveva la possibilità di lasciare liberamente il Paese. Quasi tutti sono stati almeno una volta in prigione e tutti hanno un parente arrestato, morto ammazzato o di sciopero della fame. Tante persone anziane. Ma l’età non rappresenta un limite per gli arresti, né lo stato di salute.

I funerali di Dilek Dogan

Abbiamo intervistato Aysel Doğan, la mamma di Dilek, pochi mesi fa, a Febbraio, a Istanbul, a casa di Ayten Öztürk, rivoluzionaria turca torturata per 6 mesi, agli arresti domiciliari, che rischia due ergastoli a causa delle dichiarazioni di alcuni testimoni segreti. Aysel ci ha raccontato che durante la perquisizione notò che uno dei poliziotto in borghese era molto nervoso, infuriato, fuori di sé. L’agente si trovava nella stanza insieme a sua figlia e quando lei gli chiese di mettere i copriscarpe per non sporcare di fango i tappeti, lui le sparò al petto. Un colpo a distanza ravvicinata che le bucò un polmone. Morì in ospedale una settimana dopo.

Il fratello più grande di Dilek, Emrah Doğan

Da subito i familiari della giovane hanno chiesto giustizia e che l’assassino venisse regolarmente processato. È stata aperta un’inchiesta e l‘ufficiale Y.M. è stato accusato di omicidio deliberatamente commesso con comportamento negligente e di aver utilizzato attrezzature di servizio pubblico per commettere un crimine. Sono accuse per le quali il codice penale turco prevede una pena dai 20 ai 26 anni di prigione. Ma nel 2017 la dodicesima Corte Penale di Istanbul ha ridotto la pena a 6 anni e 3 mesi. La famiglia di Dilek ha presentato appello ma è stato rigettato e la pena si è ridotta a 45 giorni di prigione. Al momento l’agente non ne ha scontato neanche uno.

La famiglia della ragazza uccisa ha continuato, in tutti questi anni, a chiedere giustizia. E per questo è stata punita.

Il padre di Dilek è stato condannato a 6 anni di prigione. Anche uno degli avvocati che si occupava del suo caso, Oya Aslan, è stato arrestato.

Dilek aveva quattro fratelli. Dopo il suo omicidio tutti e quattro sono stati accusati di aver commesso crimini o di rappresentare un pericolo per lo Stato. Il più grande, Emrah, è stato condannato a 20 anni di prigione (è dentro da 4), sulla base di dichiarazioni rilasciate da testimoni segreti, con l’accusa di appartenere a una associazione terroristica. L’utilizzo dei testimoni segreti è centrale, in Turchia, per condannare in tribunale il dissenso.

Il secondo fratello, Erhan, viveva in Germania quando sua sorella è stata uccisa. Tornato in Turchia è stato condannato a 6 mesi di prigione.

Il terzo fratello, Mehmet, pure ha ricevuto una condanna e avrebbe passato forse il resto della sua vita in carcere. Così, insieme a Erhan, ha raggiunto Berlino per chiedere asilo politico.

Aysel Dogan, la mamma di Dilek, durante i funerali della figlia

Infine, il più giovane, Mazlum, aveva 23 anni quando sua sorella è stata uccisa. È stato condannato a 11 anni e 11 mesi di prigione per danneggiamento di beni pubblici, la stessa accusa rivolta al resto della sua famiglia: “Quando l’assassino è arrivato in tribunale – ci ha detto sua mamma Aysel –  hanno proiettato il video dell’omicidio. Lo hanno mostrato sullo schermo. Mio figlio Mazlum non ha sopportato di vedere quella scena e ha gridato. È stato condannato per questo”.

Mazlum era all’università nel 2015. È riuscito a finire gli studi, nonostante negli anni successivi l’assassinio della sorella la polizia lo abbia tormentato. Aysel ci ha raccontato di come venisse senza tregua fermato e perquisito. Ci ha parlato dei cannoni ad acqua che venivano usati ripetutamente contro la casa di famiglia, dei veicoli armati che continuavano a stanziare dinanzi all’abitazione. Ai suoi figli è stato impedito di lavorare, erano sempre seguiti. Tutto questo, per Aysel, nel tentativo di farli impazzire, di giocare con i loro nervi e fargli compiere un passo falso. O per farli smettere di chiedere giustizia. “Ma io chiederò giustizia fino alla morte. E se muoio io, c’è qualcun altro che la chiederà. Dilek ha dei fratelli. Abbiamo dei nipoti. Anche loro chiederanno giustizia”.

Il fratello più piccolo di Dilek, Mazlum

Mazlum ha lasciato la Turchia e ha chiesto asilo politico nel Regno Unito. Era arrivato a Londra quest’anno, viveva lì da pochi mesi, in compagnia di alcuni parenti i quali, insieme ad altri compagni turchi, hanno provato ad aiutarlo a sistemarsi e ambientarsi, in attesa della risposta in merito alla richiesta di asilo politico.

Ma Mazlum non ha voluto ricominciare una vita lontano da casa. Ha deciso che bastava così. E si è impiccato, a Londra, lo scorso mercoledì 28 giugno.

Aysel è rimasta sola con suo marito, che pure rischia di finire in galera. Una figlia ammazzata, un figlio suicida, uno in prigione per 20 anni e due figli costretti a fuggire per non subire la stessa sorte. Tutto perché chiedeva democrazia e giustizia. “Spero che giustizia verrà fatta un giorno”, ci diceva in questa video intervista di pochi mesi fa. Ma probabilmente potrebbe bastarle, solo per cominciare, che si mettesse fine alle ingiustizie che lei e tutta la sua famiglia stanno subendo ormai da otto anni.