di Francesco Dall’Aglio*

Pagine Esteri, 17 giugno 2024. Il successo o l’insuccesso di una operazione militare si valutano, ovviamente, alla fine della stessa. Nonostante questa norma di cautela, l’offensiva russa nella regione di Kharkiv è stata molto sbrigativamente qualificata come un fallimento, con le truppe russe bloccate ancora a poca distanza dal confine e nessun obiettivo raggiunto. In effetti, se l’obiettivo fosse Kharkiv questa valutazione sarebbe assolutamente corretta: ma l’obiettivo di una operazione militare non è necessariamente il territorio in cui questa operazione si svolge. In questo caso, infatti, l’obiettivo è sempre il Donbass, e da questo punto di vista l’operazione, per quanto visto finora, è un successo.

La rappresentazione mediatica della fase attuale del conflitto in Ucraina si sofferma, più che sui movimenti del fronte o sulle operazioni militari, sul ‟contorno” diplomatico e politico. Nelle ultime settimane, infatti, si è assistito a un aumento abbastanza marcato di dichiarazioni escalatorie da entrambe le parti, e a un apparente irrigidirsi delle posizioni che hanno catturato l’attenzione e la preoccupazione dell’opinione pubblica: dalla proposta di Macron di inviare truppe francesi, pur senza specificare con quale ruolo, alle esercitazioni nucleari tattiche di Russia e Bielorussia per finire con l’autorizzazione, concessa a fatica alle FFAA ucraine dagli USA e con maggiore entusiasmo dalla Gran Bretagna, di impiegare gli armamenti occidentali sul territorio russo, ma solo nella zona del nuovo fronte aperto nella regione di Kharkiv. Proprio il fatto che molte delle dichiarazioni occidentali siano giunte in conseguenza delle difficoltà che l’apertura di questo fronte ha provocato al comando ucraino ci fa invece intendere che la dimensione militare resta preponderante, e che il fronte non è affatto fermo o in stallo come spesso è stato affermato.

Il nuovo fronte è stato aperto poco più di un mese fa, il 10 maggio. Unità russe del gruppo ‟Nord” recentemente costituito hanno passato la frontiera in direzione di due insediamenti, Lyptsi e Vovčans’k, sostanzialmente senza incontrare resistenza, e nei giorni successivi sono avanzate fino ad attestarsi nell’abitato di Vovčans’k, teatro da allora di combattimenti sostenuti, e a poca distanza da Lyptsi che si trova a una quindicina di chilometri da Kharkiv. L’avanzata delle truppe russe consente loro adesso di colpire, come da prove filmate, mezzi militari ucraini sulla circonvallazione di Kharkiv, cosa prima impossibile per via della distanza, ma nulla più: come è accaduto spesso durante questo conflitto, il fronte si è stabilizzato abbastanza velocemente e a questa avanzata non ne sono seguite altre, né in quel settore né altrove lungo la frontiera. Del resto, le unità che i russi hanno impiegato per l’operazione sono, anche contando i rinforzi affluiti nelle settimane successive, intorno al 20% degli effettivi del gruppo ‟Nord”, ed era prevedibile che l’afflusso di riserve ucraine avrebbe provocato un arresto dell’avanzata che, nella sua prima fase, aveva goduto sia del fattore sorpresa che della presenza di poche unità poste a difesa (essendo la prima linea di difesa sul confine tra Russia e Ucraina posta qualche chilometro dietro l’effettiva frontiera, da entrambe le parti). Resta dunque da chiedersi se, visto l’esito abbastanza scontato, era davvero Kharkiv l’obiettivo di questa operazione, che in questo caso dovremmo qualificare come fallimentare, o se invece non siano altre le motivazioni e, di conseguenza, i risultati che il comando russo si aspettava di raggiungere.

Del numero limitato di uomini e mezzi impiegati dalla Russia abbiamo già detto: troppo pochi e del tutto insufficienti per attaccare una città che, per fare un raffronto con una delle battaglie più famose di questo conflitto, è grande sette volte e mezzo Bakhmut e meglio difesa. Anche il dato geografico ci porta a dubitare che l’obiettivo fosse questo: l’avanzata è avvenuta in un settore abbastanza decentrato, a nord-est di Kharkiv, e senza che in quell’area siano presenti importanti vie di comunicazione. Il discorso naturalmente sarebbe diverso se, parallelamente all’avanzata a nord-est, ce ne fosse stata anche un’altra a nord-ovest, in modo da dirigersi verso Kharkiv da due direzioni come il comando ucraino temeva: ma le unità in quel settore non sono intervenute e restano, apparentemente, inoperose al di là del confine. Certamente è possibile che l’obiettivo, pur non essendo Kharkiv, fosse diverso da quello conseguito finora e più ambizioso, ma non si capirebbe allora perché il comando russo non abbia impiegato ulteriori truppe e mezzi per raggiungerlo, visto che è noto che queste truppe e questi mezzi sono disponibili. Se dunque l’obiettivo, almeno in questa fase, non è Kharkiv, resta da chiedersi qual è. O meglio quali sono, visto che è possibile individuarne immediatamente due.

Il primo, immediato, è quello di allontanare il fronte da Belgorod, che dista una trentina di chilometri dal confine ed è spesso oggetto di lanci di droni e, soprattutto, di missili: il ‟cordone di sicurezza” di cui aveva parlato Putin poco prima che l’operazione iniziasse. Visti i pochi chilometri conquistati la città resta a tiro, ma i russi hanno ora tre vantaggi: hanno obbligato i pezzi ucraini a spostarsi più indietro, sono in grado di effettuare con maggiore successo operazioni di controbatteria, e soprattutto obbligano il comando ucraino a destinare le risorse a sua disposizione per colpire le unità russe sul fronte, non più la città. Non a caso, il fuoco su Belgorod è sensibilmente diminuito. Accanto a questo obiettivo immediato, però, ce n’è un altro, molto più importante. Ogni operazione militare va inquadrata non solo nel settore in cui si svolge ma nel contesto generale del conflitto. Così, per ottenere risultati in una determinata zona può rendersi necessario operare altrove, in aree non necessariamente fondamentali per il proprio piano strategico. L’area fondamentale per la Russia, più che Kharkiv, è il Donbass: ed è anche il settore del fronte più complesso, più fortificato, quello dove entrambi i contendenti dispiegano le unità e i mezzi migliori. Quello, in sintesi, dove avanzare è più difficile. Dopo la presa di Avdiivka, ufficialmente datata al 17 febbraio 2024, le truppe russe erano ulteriormente avanzate in direzione ovest e nord-ovest, cogliendo un altro importante successo a Očeretine, ma avevano poi incontrato la seconda linea di difesa messa in piedi dall’esercito ucraino e si erano arrestate. Contemporaneamente avanzavano, o provavano a farlo, in altri settori del Donbass, seguendo la costellazione di villaggi e paesi trasformati in roccaforti dagli ucraini che vi si difendono validamente, così ché guardando una carta si possono distintamente vedere delle ‟dita” russe incuneate in territorio ucraino lungo le vie principali di comunicazione, quasi tutte in direzione est-ovest: dita, però, non solo non del tutto estese ma spesso isolate le une dalle altre, e a perenne rischio di controffensiva.

Contemporaneamente c’era e c’è tuttora, in Russia, una certa preoccupazione per gli effetti delle nuove disposizioni ucraine sulla mobilitazione. Considerando che i tempi di addestramento delle nuove reclute sono stati ridotti e che ora possono essere mobilitate persone che prima erano valutate ‟parzialmente abili”, è improbabile che la qualità delle truppe che deriverà da questa mobilitazione sarà particolarmente alta. Tuttavia, per difendere il fronte andranno benissimo e potrebbero, in certi settori, rivelarsi decisive per ribaltare i rapporti di forza e condannare al fallimento gli sforzi russi di avanzare.

Giocoforza, per il comando russo era necessario sfoltire il numero di unità ucraine presenti al fronte, sia per continuare ad avanzare sia per evitare uno squilibrio in futuro. Da questo punto di vista l’apertura del fronte di Kharkiv ha funzionato alla perfezione. Passato lo sbandamento delle primissime ore, il comando ucraino ha organizzato con efficacia l’invio dei rinforzi ma ha dovuto prelevarli anche dalle unità già schierate, non disponendo di un numero sufficiente di riserve strategiche. Vari reparti schierati nel Donbass hanno dovuto cedere parte dei loro effettivi per inviarli a nord, e i russi ne hanno immediatamente approfittato. Dalla metà di maggio hanno preso il controllo di Klishiivka (a sud-ovest di Bakhmut), Georgiivka (a ovest di Marinka), Paraskoviivka, Netailove, Umanskoe, Novoaleksandrivka, Novopokrivskoe (a ovest-nordovest di Avdiivka), Rabotino e Staromajorske. Nulla di fondamentale dal punto di vista strategico, ma un’avanzata continua e in continuo sviluppo.

Il successo dell’operazione di Kharkiv, dunque, non si misura a Kharkiv ma nel Donbass. Per ora il saldo è positivo per la Russia, al di là delle perdite in alcuni settori anche molto pesanti. Resta da vedere se i nuovi reparti di mobilitati ucraini saranno in grado di invertire questa tendenza, o se non sarà invece il comando russo a decidere che è giunto il tempo per un’offensiva che coinvolga un numero di unità molto maggiore di quelle schierate finora. Pagine Esteri

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*Francesco Dall’Aglio. Laureato in lingue e culture dell’Europa Orientale presso l’Orientale di Napoli, dottorato in Storia dell’Europa presso la Sapienza di Roma. Ricercatore presso l’Istituto di studi storici dell’accademia bulgara delle scienze. Si occupa principalmente dei rapporti tra Europa Orientale e Occidentale nel tardo medioevo, della formazione delle identità etniche e nazionali in Europa orientale, del rapporto tra nomadi e sedentari nelle steppe euroasiatiche, dell’uso del passato medievale nella formazione del nazionalismo moderno e contemporaneo in Europa Orientale e di storia militare in generale. Oltre a un gran numero di ricerche per pubblicazioni specialistiche dei suoi settori di competenza, ha recentemente pubblicato, insieme a Carlo Ziviello, “Oppenheimer, Putin e altre storie sulla bomba” (Ad Est dell’Equatore, 2023)