di Eliana Riva – 

Pagine Esteri, 4 luglio 2024. Israele ha approvato la più grande acquisizione di terre palestinesi dagli Accordi di Oslo, nel 1993. 12,7 chilometri quadrati a nord di Gerico, nella Cisgiordania palestinese occupata dichiarati terre statali israeliane.

L’atto ufficiale, firmato lo scorso 25 giugno è stato pubblicato il 3 luglio e festeggiato come una vittoria dal governo israeliano e dai movimenti dei coloni. All’inizio del mese di giugno il ministro delle finanze Bezalel Smotrich aveva riferito, entusiasta, dei progressi del programma di annessione della Cisgiordania palestinese, spiegando che la gestione amministrativa degli insediamenti coloniali e dell’acquisizione di terre è stata trasferita dal comparto militare a quello civile governativo. Nonostante la notizia rappresenti una chiara violazione delle leggi internazionali, il ministro non ha avuto difficoltà ad ammettere, con giubilo e per nulla celata eccitazione che questa nuova gestione consente di impadronirsi di terre palestinesi in misura maggiore e in maniera più veloce e burocraticamente semplificata. Smotrich ha così annunciato, senza giri di parole, che la strategia funziona appieno, tanto da promettere che per la fine dell’anno le acquisizioni saranno in media dieci volte superiori a quelle degli anni precedenti. “Si tratta di qualcosa che cambierà completamente le mappe”, ha spiegato il ministro: “Siamo venuti a colonizzare la terra, a costruirla e a impedirne la divisione e la creazione di uno stato palestinese, Dio non voglia. E il modo per impedirlo è sviluppare gli insediamenti”.

Mentre il premier Netanyahu tenta di aggirare le questioni giuridiche internazionali provando a coprire la violazione del diritto con una serie di abbellimenti normativi formali, i suoi ministri si sentono liberi di dire apertamente ciò che sta a accadendo e presentare i programmi futuri.

Formalmente i documenti non parlano di “acquisizione” ma sono “dichiarazioni” che cambiano lo stato delle terre, quelle in territorio palestinese, definendole di “proprietà statale”. Con questa strategia lo stato ebraico ha di fatto annesso almeno il 16% della Cisgiordania palestinese, sostenendo di acquisire terra statale e non proprietà private. È secondo questo principio che nei giorni scorsi l’esercito ha provveduto, con un ordine decisamente raro, a smantellare l’avamposto coloniale di Oz Zion, realizzato su terre private di proprietà palestinese. I coloni, che non vorrebbero esistesse alcun limite, seppur utilizzato solo come stratagemma diversivo, all’occupazione, hanno attaccato i militari lanciando loro bottiglie incendiarie. Resta il fatto che secondo il diritto internazionale uno stato occupante non può utilizzare per se stesso e render propria la terra di uno stato occupato. E la “proprietà statale” è chiaramente proprietà messa a disposizione dello Stato di Israele e dei suoi cittadini, che non sono certo i palestinesi della Cisgiordania (Israele affitta le “proprietà statali” nei territori occupati nella West Bank solo ai cittadini israeliani).

In teoria, quindi, la “dichiarazione” non può valere per terre di proprietà privata. Ma la questione può essere aggirata facilmente e in diversi modi:

  1. Molto spesso Israele non riconosce i documenti fiscali di proprietà che posseggono i palestinesi. Sono riconosciuti gli atti registrati ai tempi dell’Impero Ottomano, se in possesso dei proprietari (una quantità enorme di documenti palestinesi sono andati distrutti negli incendi e distruzioni degli archivi) ma non quelli registrati nei registri cittadini o nell’anagrafe delle tasse dei villaggi. Tel Aviv esige una registrazione specifica che comporta un iter burocratico lungo, costoso, complicato e che non sempre garantisce esito positivo. La registrazione della proprietà delle terre è stata bloccata per i palestinesi in diverse circostanze, è impossibile per molti di loro accedervi e rappresenta per tanti altri una spesa insostenibile.
  2. Le demolizioni di case palestinesi sono all’ordine del giorno nella Cisgiordania occupata come a Gerusalemme Est. Le campagne di demolizioni sono spesso presentate come “battaglie contro l’abusivismo palestinese”, seppure vengano messe in atto in territorio di fatto palestinese. L’abusivismo deriva dal fatto che, come detto in precedenza, Israele non riconosce la proprietà di terre e case, anche se luogo di nascita e di residenza di intere generazioni.
  3. Gli ordini di sfratto vengono emessi per varie ragioni. Società private israeliane che rappresentano gli interessi dei coloni possono rivendicare il possesso di terre e abitazioni, anche iniziando un processo unilaterale di registrazione a proprio nome. I coloni possono, inoltre, occupare un’abitazione e dichiararla propria. Israele può dichiarare la zona di “interesse archeologico”, adducendo anche motivazioni di carattere religioso e a volte leggendario che non necessitano di reali prove scientifiche. Intorno alle aree archeologiche devono poi nascere parcheggi, servizi per i turisti, biglietterie, negozi di souvenir, strade per l’accesso e gli spostamenti di automobili private e servizi pubblici di trasporto. Per tutto ciò deve essere acquisita terra, molta terra e sempre nelle aree palestinesi occupate. Le aree possono anche essere sottoposte a ordini di sgombero per “esigenze militari”, ossia Israele prende possesso della zona per costruirvi un avamposto militare che potrà, in futuro, divenire qualcosa di diverso.
  4. La legge degli assenti, promulgata da Tel Aviv, ha consentito e consente agli israeliani di occupare le case dei palestinesi cacciati o fuggiti a causa della guerra. La maggior parte di loro è divenuta “profugo”. Nonostante la legge internazionale e la Dichiarazione dei Diritti Umani prevedano che ogni individuo possa scegliere di lasciare la propria abitazione e di farne poi liberamente ritorno, Israele non riconosce il Diritto al ritorno e non ha mai consentito ai profughi palestinesi di rientrare nelle proprie terre.
  5. Le colonie sono un mezzo fondamentale per l’annessione di terre palestinesi, anche di quelli più interne alla Cisgiordania, nei pressi delle città ma anche di villaggi piccoli, medi o grandi. In certi casi i coloni giungono inizialmente a piccoli gruppi e si sistemano vicini ai luoghi palestinesi. Li raggiunge l’esercito che allarga l’avamposto per “motivi di sicurezza”. Per farlo impedisce agli abitanti palestinesi di utilizzare le terre di loro proprietà che si trovano ora, improvvisamente, a circondare la colonia nascente. Mano a mano giungono più persone e le “zone cuscinetto di sicurezza” si allargano. Fino a quando è l’intero villaggio palestinese a diventare un “ostacolo” e un “pericolo”. Così giungono gli ordini di sfratto e se gli abitanti non vanno via l’esercito israeliano li arresta, effettua raid continui, demolisce le abitazioni. E insieme all’esercito, sempre più spesso, arrivano i coloni. Armati a volte, a minacciare, sradicare alberi e piante, incendiare abitazioni, aggredire i palestinesi arrivando sempre più spesso all’omicidio. Gli insediamenti, chiaramente, non nascono solo nei pressi dei villaggi palestinesi ma in tutta la Cisgiordania. Nascono e si allargano: i permessi per la costruzione di nuove unità abitative nelle colonie israeliane non sono mai stati messi in discussione, neanche durante i negoziati di pace, quando anzi gli insediamenti si sono allargati fino a creare degli enormi blocchi formati da diverse colonie. Per unirle e per condurre le persone che ci vivono a Gerusalemme o comunque verso le principali arterie stradali israeliane, sono state create enormi infrastrutture, strade, svincoli, impianti, carreggiate, spartitraffico. Tutto sulla terra palestinese occupata ma a uso esclusivo degli israeliani. Israele favorisce lo spostamento nelle colonie illegali garantendo ai cittadini numerosi vantaggi, economici, fiscali, sociali.

Il ministro Smotrich ha dichiarato che verrà istituito un corpo di polizia specifico che si occuperà solo delle demolizioni delle case palestinesi. Ma il programma governativo presentato contiene molto altro. Prevede, ad esempio, il completamento del passaggio dei poteri dall’esercito a un’amministrazione civile controllata dal ministro stesso, che possa occuparsi delle acquisizioni di terre palestinesi. Accanto a ciò verrà realizzato un processo di semplificazione che dovrebbe portare, attraverso il superamento delle già deboli leggi esistenti a tal proposito, alla “legalizzazione” degli insediamenti israeliani  e verrà assegnata loro una cospicua somma di denaro pubblico per costruire infrastrutture di controllo e “sicurezza”. Insieme, verranno riconosciute e finanziate le colonie agricole sulle terre occupate, mentre un piano di vasta portata aumenterà “per ragioni di sicurezza” l’applicazione dei divieti di costruzione per i palestinesi.

L’atto di acquisizione di terre pubblicato il 3 luglio crea una continuità territoriale tra gli insediamenti di Yifit e Masu’a e quelli di Gitit e Ma’ale Efraim. Peace Now, l’ong israeliana che monitora lo sviluppo delle colonie nei Territori occupati, ha denunciato che il 2024 ha già segnato un record nell’estensione dell’annessione di terre palestinesi: 23,7 chilometri quadrati acquisiti tra Gerusalemme e la Valle del Giordano. L’area a nord di Gerico era stata proclamata, in passato, riserva naturale prima e “zona militare” poi. La dichiarazione costituisce l’atto finale dell’appropriazione. Pagine Esteri