di Redazione
Pagine Esteri, 17 luglio 2024 – Nel paese asiatico da settimane gli studenti sono sul piede di guerra per imporre al governo la revoca del sistema delle quote nel pubblico impiego, un settore molto ambito per il livello dei salari e le condizioni di lavoro,
Il 30% dei posti nell’amministrazione pubblica, ad esempio, è riservato ai figli di coloro che hanno combattuto per l’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan nel 1971, il 10% alle donne e il 10% ai residenti di alcune regioni del paese.
Le organizzazioni scese in piazza denunciano che le quote rappresentano un meccanismo clientelare diretto a premiare i settori sociali che sostengono il governo e reclamano invece un sistema basato sul merito, con il mantenimento delle quote attuali – il 6% – soltanto per gli appartenenti alle minoranze etniche e i disabili.
Il sistema delle quote, introdotto nel 1972, era stato sospeso nel 2018 dal governo dopo massicce proteste studentesche. All’inizio di giugno, però, l’Alta Corte del Bangladesh ha dichiarato nullo il provvedimento dell’esecutivo, ristabilendo il sistema precedente sulla base di un ricorso presentato da alcune famiglie di reduci della guerra di indipendenza.
Circa due settimane fa quindi le proteste studentesche si sono riaccese in tutto il paese, vedendo anche una massiccia partecipazione delle studentesse.
Alla mobilitazione degli studenti la polizia ha però risposto con estrema violenza. In alcune località si sono registrati inoltre scontri tra gli studenti e i militanti della Lega Awami, il partito attualmente al potere, che le forze dell’ordine hanno cercato di bloccare, almeno così affermano le autorità, sparando lacrimogeni e proiettili di gomma.
Gli studenti contrari alle misure adottate recentemente dall’esecutivo guidato dal 2009 dalla premier Sheikh Hasina, che si sono radunati di fronte alla residenza del viceministro dell’Università, denunciano invece vere e proprie spedizioni punitive compiute contro di loro dalla Bangladesh Chhatra League, un’ala studentesca del partito di governo.
Nei giorni scorsi la premier ha accusato gli studenti che protestano di essere dei “razakar”, epiteto che indica coloro che durante la guerra di indipendenza collaborarono con le forze pakistane.
Ieri il Ministero dell’Istruzione ha ordinato la chiusura delle scuole superiori, delle università, dei seminari islamici e dei politecnici «per porre fine alle violenze» fino a data da destinarsi. Sempre ieri l’esecutivo ha deciso di schierare in cinque città la forza paramilitare della Guardia di frontiera del Bangladesh.
Finora il bilancio ufficiale è di almeno sei morti. A Chittagong tre manifestanti sarebbero stati uccisi da colpi di arma da fuoco e altri 35 sarebbero rimasti feriti.
L’ospedale di Dacca ha informato del decesso di due persone dopo che gruppi avversi di manifestanti si sono scontrati duramente. Nella capitale del paese, dove gli studenti hanno realizzato blocchi stradali e ferroviari, si registrano anche una sessantina di feriti.
A Rangpur, nel nord del Bangladesh, è stato ucciso un altro studente.
I coordinamenti degli studenti hanno però riferito che le proteste continueranno finché il governo non revocherà il sistema delle quote, che la Corte Suprema, dopo l’inizio delle mobilitazioni, ha comunque deciso di sospendere per quattro settimane in attesa di un pronunciamento definitivo.
Intanto, attraverso il suo portavoce, il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto al governo di Dacca di “proteggere i dimostranti da qualsiasi forma di minaccia o violenza”, affermando che quello di poter manifestare pacificamente “è un diritto umano fondamentale”. Pagine Esteri