di Geraldina Colotti
(foto fermo immagine da YouTube)
Pagine Esteri, Caracas 23 luglio 2024 – Le elezioni? La signora elegante con il capello mesciato e il colorito pallido si stringe nelle spalle “Farà giorno, e vedremo”, “Amanecerá y veremos”. Un detto popolare che, in Venezuela, si usa per riferirsi a situazioni in cui esiste un alto grado di incertezza. La donna che l’accompagna (è di carnagione scura, indossa un paio di fuseaux lisi e una t-shirt con su scritto “il Signore è il mio pastore”), abbassa la testa e continua a spingere un carrello stracolmo di prodotti d’importazione. Siamo nell’est di Caracas, in un quartiere di classe medio-alta, tradizionalmente di destra e anche di estrema destra.
Qui, in ripetute occasioni, i gruppi ultraradicali hanno animato le cosiddette “guarimbas”, violenze di strada che hanno provocato vari morti, fra cui alcuni lavoratori ingannati dal buio, sgozzati dai fili di ferro stesi da un lato all’altro della strada, e altri bruciati vivi perché indossavano una maglietta rossa, come il giovane Orlando Figuera nel 2017. Il Venezuela ha ripetutamente chiesto alla Spagna di estradare un cittadino italiano, Enzo Franchini, accusato dalle autorità di aver guidato il linciaggio e riparato a Madrid.
Nella capitale spagnola, nei quartieri di lusso che assomigliano a quelli di Miami, hanno trovato rifugio molti ricercati dalla giustizia venezuelana, sia per frode economica, sia per attentati alla costituzione. Un gruppo potente e ben inserito che, dagli scranni del Parlamento europeo dove è stato eletto nelle fila del Partito popolare il primo deputato italo-venezuelano, Leopoldo Lopez Gil – influenza le scelte politiche, fornisce le proprie statistiche, e chiede nuove “sanzioni” contro il paese bolivariano. Anche il candidato della Piattaforma Unitaria Democratica (Pud), l’ex diplomatico Edmundo González ha parenti stretti in quel gruppo di ricercati.
Altri, come l’ex presidente di Pdvsa (l’impresa petrolifera venezuelana ri-nazionalizzata da Chávez), Rafael Ramírez, tuonano dall’Italia contro “il madurismo”, e diffondono documenti chilometrici in cui rivolgono ogni genere di epiteti e di accuse contro l’attuale presidente, Nicolas Maduro, eletto dopo la morte del “comandante” nel 2013. In questi giorni che precedono le presidenziali del 28 di luglio, un gruppo di venezuelani “in esilio” si è incontrato con i media a Madrid per annunciare che, “se vince Edmundo” (González, il candidato-facciata di Machado, che guida l’opposizione radicale a Maduro), torneranno in Venezuela. E sono pronti a scommettere su “una vittoria storica, per la prima volta possibile mediante mezzi democratici”.
Dalla loro, hanno un profluvio di statistiche, commissionate a poderosi think tank, lautamente finanziati da Washington e dai suoi alleati, che hanno forti articolazioni in Venezuela: come, per esempio, Cedice Libertad, un centro studio che diffonde l’economia ultra-liberista, ma in modo accattivante per i giovani, che coinvolge in inchieste e sondaggi (pagati), e che poi fornisce ai grandi media internazionali. E così, ecco un’altalena di pronostici che accompagnano le mobilitazioni di opposizione e che, anche quando non si ottiene l’inquadratura giusta e non è possibile documentare “le moltitudini” in attesa che arrivi il verbo “trumpista” in Venezuela, annunciano che Maduro perderà 80 a 20.
Qualche analista internazionale fa notare che avvenne così anche in Messico quando, a dispetto della realtà evidenziata nelle piazze, che hanno dato la vittoria piena alla candidata progressista, Claudia Sheinbaum, i media di opposizione pronosticavano un risultato capovolto, in termini percentuali, che dava vincente l’opposizione. A sostegno di questa tesi, compare, come nuovo verbo indiscutibile, l’intelligenza artificiale.
Così, tanto per dirne una, mentre i giornali titolano sul baratro di violenza che è diventata Quito, la capitale dell’Ecuador, risulta che, “secondo l’intelligenza artificiale”, la città più pericolosa del mondo, sarebbe Caracas. Dati virtuali, frutto di scambi fra bot e trolley, e non espressione di opinioni reali, come avranno modo di constatare anche gli “accompagnatori” internazionali, già arrivati numerosi nel paese: oltre 635, fra il Centro Carter, il Consiglio di Esperti elettorali del latinoamerica (Ceela), l’Unione africana, funzionari di organismi elettorali e vari esperti dell’Onu. Da parte dell’opposizione, arriveranno anche i soliti ex presidenti (di destra) latinoamericani, che stanno sostenendo le posizioni di quanti considerano Milei e consimili “una speranza storica” anche per il Venezuela.
Ma se il protagonismo dell’estrema destra continua a produrre risultati e schieramenti sul piano internazionale – la candidatura della filo-atlantica Maria Corina Machado, inabilitata per attentati alla costituzione – è stata apertamente sostenuta dall’Unione europea, non sembra però essere più altrettanto efficace fra i settori che pretende rappresentare in Venezuela. Non sono pochi, infatti, gli imprenditori desiderosi di riprendere il lucroso commercio petrolifero i cui fili si mantengono grazie alla “flessibilizzazione” degli Stati uniti in merito ad alcune “sanzioni”, concessa previa domanda.
E crescono anche i mugugni di quanti, nei bastioni della destra, non hanno il portafoglio sufficientemente rigonfio per tirare le fila, e si sono stancati di fornire la manovalanza senza veder concretizzata l’agognata “salida”, l’espulsione di Maduro dal potere. “Noi ci abbiamo rimesso i nostri figli, mentre i loro li mandano a studiare all’estero”, si lascia sfuggire un’anziana che si appresta a recitare il rosario di gruppo.
Sono commenti che si ascoltano o che si leggono sulle reti sociali, sia in questi quartieri-bene di Caracas, come negli altri stati del Venezuela, dove ha vinto l’opposizione – Cojedes, Zulia e Nueva Esparta –, e dove il chavismo sta organizzando grandi mobilitazioni, concentrandosi particolarmente nello Stato di Barinas, ex bastione rosso che ha dato i natali a Chávez, poi vinto di misura dalla destra.
A destra, le faccine che spuntano dai fac-simili di scheda elettorale che indicano come si vota con il sistema ultra-automatizzato e a prova di frodi che guida anche questa nuova presidenziale, organizzata in una giornata-simbolo com’è la nascita di Hugo Chávez, mostrano un quadro alquanto frastagliato.
Sui dieci candidati di opposizione, uno dei quali – Luis Martinez, che rappresenta il Copei, Acción democrática e Une, ha deciso di appoggiare Maduro -, solo tre formazioni si identificano con la Pud. Gli altri corrono in ordine sparso. C’è anche Enrique Marquez, che, nonostante il suo passato di estrema destra, raccoglie le indicazioni di voto di alcuni militanti che appartenevano al Partito comunista venezuelano.
Il chavismo, invece, si presenta compatto, unendo intorno a un unico candidato e al Psuv, sia i partiti del Gran Polo Patriottico che varie formazioni di recente creazione, come il Movimento Futuro o il Partito Verde, che raccolgono istanze alternative che non si ritrovano nella militanza del Psuv.
Anche le inchieste più favorevoli all’opposizione pronosticano un’alta partecipazione al voto, e attribuiscono poco peso agli indecisi o ai disillusi.
Dalla sua, Maduro ha gli indicatori economici, che pronosticano una crescita in aumento, una ripresa produttiva che ha ridimensionato la dipendenza dal petrolio in un paese che ne possiede le prime riserve al mondo, ma che, anche per via del bloqueo nordamericano, ha sviluppato contromisure per cui oggi il paese è in grado di produrre gli alimenti necessari al proprio fabbisogno.
Con l’aumento delle entrate (e di una tassazione agli straricchi), il governo ha ripreso a potenziare i piani sociali, a partire dalle Missioni e Grandi missioni, ideate da Chávez per smontare dall’interno la vecchia struttura dello Stato borghese. Le ultime, sono dedicate agli anziani e alle donne, che hanno accolto di recente il candidato femminista con una grande convencion pre-elettorale. Ce la farà anche questa volta il “laboratorio bolivariano”, nonostante stanchezze e limiti di un processo che dura da 25 anni?
“Amanecerá y veremos”, risponde l’oppositrice, mentre dall’altra parte della strada, dove iniziano i quartieri popolari, si sente gridare lo slogan chavista: “la speranza è nelle piazze”. Pagine Esteri