di Gabriele Gesso –

Pagine Esteri, 2 settembre 2024. Laboratorio Palestina, pubblicato a marzo per Fazi Editore, è un libro che racconta la capacità di Israele di vendere al mercato della violenza il proprio modello politico e militare. Si tratta di un’inchiesta e per tanto i fatti riportati sono documentati e verificabili. Antony Loeweisten, giornalista investigativo australiano, nipote di profughi ebrei fuggiti dalla Germania nazista, traccia la linea delle relazioni tra l’industria bellica israeliana e molti paesi del mondo. L’enorme lavoro d’inchiesta, nel ricongiungere i punti della storia ideologica, politica ed economica di Israele, restituisce l’immagine di uno Stato di apartheid, etno-nazionalista e colonialista.

Il mosaico di microstorie proposto da Antony Loeweisten, traccia le relazioni tra Israele e alcune tra le pagine più nere dei fenomeni internazionali di repressione, violenza e brutalità.

Il lavoro d’inchiesta ci consegna un’immagine molto chiara di come la Guerra dei Sei giorni abbia rappresentato lo spartiacque che condusse Israele ad abbandonare qualsiasi velleità, anche solo apparente, di rappresentare “un’entità nobile unica al mondo”. Dal 1967 in avanti sono tantissime le collaborazioni economiche prevalentemente incentrate sul mercato delle armi e sull’addestramento militare che lo stato ebraico intrattiene con dittature, oligarchie e pseudo democrazie. Dal Cile di Pinochet all’Iran degli Scià; dall’Indonesia di Suharto ad Haiti sotto il controllo di François; dal Nicaragua di Somoza all’Honduras, a Panama, a El Salvatod, al Guatemala alla Russia. E questo è un elenco solo parziale rispetto a quanto proposto nell’inchiesta di Loeweisten.

La vendita di armi emerge come priorità impellente per Israele a dispetto della natura politica dell’acquirente. Un pragmatismo estremo gli consente persino di firmare accordi commerciali tanto con il Paraguay di Stroessner, che dava asilo ai nazisti, quanto con l’Argentina di Peròn nelle cui carceri non si esitava a perseguitare numerosi ebrei.

Laboratorio Palestina aiuta a collegare i nodi di una fitta rete di accadimenti in cui Israele, così come altre potenze mondiali, non ha remore a sostenere stragi, colpi di stato e dittature. La leadership dello stato ebraico accresce la propria reputazione grazie all’esperienza maturata sul campo, alla possibilità quotidiana di dimostrare l’efficacia della propria tecnologia militare. “Facciamo come loro”, pensano in tanti, in questo modo Israele si è ritagliato un ruolo trasversale con salde relazioni economico-militari non solo nella sfera dei Paesi allineati.

Una domanda accompagna la lettura: quale futuro riserva la strategia di guerra perpetua per Israele? Qui le riflessioni interessano due aspetti che si intrecciano. Il primo riguarda l’interesse ad  evitare qualsiasi tentativo di pace. Il secondo aspetto, di conseguenza, è la necessità di assicurare la formazione di in un recinto sempre più stretto per i palestinesi, utili strumenti per il laboratorio di repressione e controllo. Seppure la società israeliana si sposta sempre più su posizioni di destra e sogna l’eliminazione o l’espulsione coatta di tutti i palestinesi, nella struttura attuale dello stato d’Israele il Laboratorio Palestina sembra garantire un sistema economico incentrato su armi e sulla loro diretta sperimentazione sul campo.

Come lo stesso Loewenstein scrive, il suo lavoro vuole essere un monito rispetto al crescente consenso di cui gode il modello etno-nazionalista che Israele propone.

Il lavoro del giornalista australiano è un utile invito alla riflessione sulla natura dello stato di Israele nelle relazioni globali. Fuori dalla trappola del dibattito eterodiretto rispetto al conflitto israelopalestinese, Laboratorio Palestina mette in evidenza quanto la retorica della difesa della civiltà occidentale abbia una portata devastatrice e come l’idea che Israele sia il baluardo tra essa e una fantomatica “invasione musulmana” consegni allo stato ebraico la licenza di agire in deroga ad ogni forma di diritto e di etica.