di Eliana Riva – 

Pagine Esteri, 23 settembre 2024. Un massiccio attacco israeliano sta colpendo, in queste ore, decine di villaggi a sud del Libano. Si contano già decine di morti e centinaia di feriti. Hezbollah ha risposto colpendo due basi militari a nord di Haifa. L’attuale scontro tra Tel Aviv e il gruppo sciita libanese ha avuto inizio dopo l’attacco di Hamas il 7 ottobre e i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, che continuano da quasi un anno. Con un attacco senza precedenti, Israele ha fatto esplodere centinaia di dispositivi elettronici in Libano, il 17 e poi il 18 settembre, causando almeno 37 morti, tra cui bambini, e più di 3.000 feriti. Hezbollah ha lanciato missili contro le postazioni militari israeliane ma dalle prime ore del 23 settembre Israele ha iniziato un bombardamento a tappeto nel sud e nell’area ovest del Paese, colpendo zone abitate ed edifici residenziali. L’esercito della stato ebraico ha lanciato volantini ed effettuato decine di migliaia di telefonate intimando ai residenti libanesi di abbandonare le proprie case e i propri villaggi. L’obiettivo dichiarato è quello di allontanare Hezbollah dalla zona, creando una fascia disabitata larga decine di chilometri lungo tutto il confine con Israele. Non è improbabile che l’Iran e i suoi proxy in Iraq, Siria e Yemen decidano di supportare l’alleato sciita attaccando Israele. La guerra, come si temeva, sta diventano uno scontro regionale su vasta scala che coinvolge diversi Paesi nel Medio Oriente.

Ma cos’è Hezbollah e quali sono i suoi obiettivi politici?

Il movimento, il cui nome significa partito di Dio, è nato in Libano nel 1982. La sua istituzione, ufficializzata solo nel 1985 con la pubblicazione del manifesto programmatico titolato Lettera aperta, rappresenta il culmine dell’ascesa della comunità sciita nel Paese. Il manifesto dichiarava, tra i principali obiettivi, la nascita di uno stato islamico in Libano. Con il passare degli anni il l’organizzazione è riuscita a dimostrare una dinamicità unica nel suo genere all’interno del panorama politico libanese. Il suo manifesto programmatico è stato difatti rivisto e aggiornato e già nella prima metà degli anni ’90 il movimento sviluppò una capillare integrazione all’interno del tessuto socio-politico nazionale, rinunciando agli appelli alla rivoluzione islamista per puntare invece a un’identità trans-confessionale con la quale potesse rappresentare la resistenza dell’intero popolo libanese all’occupazione israeliana del territorio del sud e all’ingerenza dell’asse delle potenze occidentali.

La nascita e la fase islamista

All’inizio degli anni ’80 Hezbollah nacque dalla convergenza di tre movimenti: la corrente islamista di Amal, il primo movimento esclusivamente sciita nella storia del Libano, fondato negli anni ’70 dall’imam sciita Musa al-Sadr; il partito Hezb al-da’wa, fondato negli anni ’50 in Iraq come alternativa islamica al Partito comunista; alcuni rappresentanti della resistenza palestinese e, in misura minore, della sinistra libanese.

L’invasione israeliana del Libano nel 1978, formalmente partita con lo scopo di liberarsi della resistenza armata palestinese e creare una zona cuscinetto nel sud del Paese, procurò forte nei libanesi la percezione che l’operazione avesse lo scopo di annettere ampia parte del loro territorio, accaparrandosi anche importantissime risorse naturali, in particolare modo quelle idriche. Il Libano del sud fu distrutto dall’esercito di Tel Aviv, il quale rifornì però di armi ed equipaggiamenti una forza militare che consentì a Israele di continuare a esercitare il proprio controllo. Sul fronte interno l’invasione contribuì ad atomizzare la società libanese, già divisa per confessioni (principalmente tra cristiani maroniti, musulmani sunniti e musulmani sciiti) e logiche comunitarie, trasformando o distruggendo alcuni partiti politici ed erodendo il potere dell’élite musulmano-sunnita che lasciò allo sbando le milizie ad essa connesse. È in questi anni che si preparò l’ascesa della comunità sciita libanese, spinta da un evento internazionale di importanza fondamentale, la rivoluzione iraniana del febbraio 1979 e l’occupazione dell’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran. La rivoluzione servì a cementare l’unione e aumentare la consapevolezza del gruppo sciita Amal ma fu di fondamentale importanza per la nascita e la crescita di Hezbollah, che superò ben presto in numeri e potenza il primo partito sciita libanese.

L’invasione del 1982 avrebbe dovuto capovolgere gli assetti politici e istituzionali del Libano: espellere i membri dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), mandar via insieme a loro le forze siriane presenti e firmare un trattato di pace che garantisse alla guida del Paese dei cedri un cristiano-maronita gradito a Tel Aviv. Le uniche forze armate presenti in Libano dovevano essere, secondo i piani israeliani, le proprie e quelle dell’alleato Bashir Gemayel, capo militare delle Falangi libanesi, (il partito Katā’eb), una formazione di ispirazione fascista fondata dal padre Pierre Gemayel. Era lui, Gemayel, il candidato ideale per guidare il “nuovo Libano” disegnato da Israele. L’apparato difensivo dell’OLP fu smantellato, Tel Aviv colpì obiettivi civili e giunse presto a Beirut, stringendo la capitale in un assedio totale, impedendo rifornimenti di cibo e acqua. Le temibili e violente Falangi libanesi si affiancarono ai militari israeliani e dopo complicate consultazioni la leadership palestinese decise di accettare la proposta frutto della mediazione statunitense: i combattenti palestinesi avrebbero lasciato il Paese armi in pugno per andare, per la maggior parte, in Siria. Gemayel venne eletto presidente della repubblica in agosto. A settembre venne ucciso in un attentato storicamente attribuito a un membro del Partito sociale-nazional siriano. Israele vide sfumare, in un colpo solo, tutti i suoi piani e l’esercito, guidato dal ministro della difesa Ariel Sharon, decise di vendicarsi lasciando campo libero alle Falangi libanesi che si accanirono con una violenza inconcepibile sulla popolazione civile dei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, operando una strage tanto feroce da lasciare tutto il mondo a bocca aperta.

Hezbollah colmò il vuoto lasciato dalla dipartita dell’OLP e dall’uscita dei combattenti palestinesi assumendo la guida della resistenza libanese contro l’occupazione israeliana. Non mancarono tensioni, anche violente, tra Hezbollah e il partito sciita Amal, che dopo il ritiro di Israele si scagliò con particolare livore contro i palestinesi dei campi profughi, in quella che fu ricordata come la “guerra dei campi”. La guerra civile che si scatenò dopo l’invasione israeliana dell’82 si avviò a una risoluzione (non definitiva) con gli accordi di Ta’if i quali prevedevano, tra le misure di ricostruzione, l’estensione della sovranità libanese su tutto il territorio nazionale, cosa che significava dover affrontare l’annoso problema delle milizie e lavorare per un loro disarmo. Ma si trattava di una questione estremamente complicata. Non c’era modo, ad esempio, di smantellare la milizia di Hezbollah e quelle palestinesi nel sud del Libano, zona dalla quale Israele non si era mai ritirato. Anzi, tali truppe erano considerate impegnate nella lotta di liberazione del territorio nazionale.

Sia Hezbollah che le principali milizie libanesi (tutte avevano rifiutato in un primo momento gli accordi) accettarono Ta’if e vennero così integrate a pieno titolo nel processo politico del Libano. Così, la legge per il disarmo entrò in vigore ma non colpì mai Hezbollah, perché il governo non avrebbe mai potuto affrontare da solo la situazione nel sud del Libano. Inoltre, una volta divenuto attore protagonista della vita politica libanese, Hezbollah chiese e ottenere di conservare il proprio braccio armato in quanto unico capace di gestire la resistenza contro Israele. Così, la milizia sopravvisse e si rafforzò sempre più nel sud e nella Valle della Bekaa, mentre acquisiva riconoscibilità e apprezzamento nella società libanese per l’organizzazione di reti e servizi che sopperivano alla manchevole o inesistente struttura dello stato sociale. La cosiddetta “società della resistenza”, si metteva a disposizione della collettività, cosa che contribuì fortemente a promuovere Hezbollah come un’organizzazione a servizio dei libanesi.

 

L’ingresso nella vita politica libanese

Nel 1992 si tennero in Libano, dopo 20 anni dalle ultime del 1972, le elezioni parlamentari. I cristiani, che avevano boicottato il voto per il timore che ridimensionasse il proprio potere, subirono effettivamente un taglio della propria presenza. La novità principale fu rappresentata, però, dall’ingresso in Parlamento dei rappresentanti delle milizie e dei nuovi partiti. Amal e Hezbollah divennero il blocco maggioritario. Hezbollah aumentò il numero dei propri parlamentari nelle le elezioni del 1996 e fece lo stesso nel 2000. Il “partito di Dio” era riuscito, con la resistenza armata, a far diventare la questione del sud una causa nazionale sostenuta dall’intera popolazione. I cristiani maroniti si opponevano all’occupazione ma non sostenevano i combattenti né si riferivano esplicitamente a Israele come a un “nemico”. Questo atteggiamento, insieme alle accuse, provenienti soprattutto da Hezbollah, di connivenza con Tel Aviv, contribuì a far emergere dubbi sulla lealtà dei maroniti alla causa del nazionalismo libanese.

Nel 2000, dopo 22 anni, la resistenza sciita raggiunse un obiettivo storico: Israele si ritirò dal sud del Libano. Continuando però l’occupazione di un territorio ai piedi delle alture del Golan, conosciuto come le fattorie di Sheeba. Hezbollah temeva probabilmente che il ritiro israeliano avrebbe tolto legittimità alla propria presenza armata e alla resistenza nel sud del Paese e rivendicò quindi le fattorie di Sheeba come territorio libanese (erano state in passato territorio conteso tra Libano e Siria). Ciò legittimava il fatto che Hezbollah non consegnasse le armi e che non lasciasse l’area all’esercito regolare libanese. Ma la situazione internazionale stava per essere stravolta.

 

L’inclusione nell’elenco USA delle organizzazioni terroristiche

Con l’inizio della seconda Intifada (2000) il sentimento di sostegno alla causa del popolo palestinese si fece più forte e la resistenza si riorganizzò anche all’interno dei campi profughi palestinesi. Ma con l’arrivo dell’11 settembre 2001 e la conseguente linea dura degli USA in Medio Oriente, Hezbollah fu aggiunto all’elenco delle organizzazioni terroristiche degli Stati Uniti. Questi ultimi congelarono i depositi bancari del movimento sciita e minacciarono di escludere dal deposito tutti gli Stati che non avessero fatto lo stesso. Gli Stati Uniti erano stati tra i principali finanziatori all’inizio degli anni 2000 e il governo libanese non avrebbe potuto permettersi di perdere il loro sostegno economico ma allo stesso tempo non poteva certo aprire una guerra con il principale partito politico e la principale formazione militare del Paese. Dunque il premier Rafiq Hariri tentò di spiegare agli Stati Uniti che Hezbollah non era un’organizzazione terroristica, che i suoi scopi erano politici, pragmatici e concreti e che aveva da tempo trasformato la via iniziale del radicalismo religioso e della creazione di uno Stato islamico in Libano.

 

L’omicidio Hariri e la rivoluzione dei cedri

Nei suoi ultimi anni di mandato, prima che venisse costretto a dare le dimissioni, Rafiq Hariri aveva mantenuto una politica anti-siriana, nel tentativo di costringere Damasco a ritirare completamente le sue truppe dal territorio libanese. La Siria era l’unico stato che ancora aveva truppe in Libano dalla fine della guerra civile e nella popolazione cresceva forte il risentimento, anche a causa delle sue continue ingerenze politiche nella vita politica interna. In questo clima, il 14 febbraio 2005 Rafiq Hariri venne ucciso con una bomba piazzata sul lungomare di Beirut e azionata nel momento del passaggio della sua automobile. Furono 22 le vittime e centinaia i feriti. Un’ondata di proteste, conosciute come la “rivoluzione dei cedri”, travolse il Paese. La Siria non poté ignorare la rabbia della popolazione e nel giro di pochi mesi le sue truppe lasciarono il Libano. La cosiddetta “rivoluzione dei cedri” era appoggiata, sostenuta e incoraggiata dalle potenze occidentali, Stati Uniti e Francia in testa, con l’obiettivo di acuire le differenze politiche e fare in modo che il Libano si allontanasse dall'”asse della resistenza” (Siria-Iran).

Anche per questo motivo Hezbollah fu spaventato dalla portata delle manifestazioni: 200.000 persone scesero in piazza in occasione dei funerali di Hariri e gli sciiti non vi presero parte. Così organizzò una propria manifestazione, l’8 marzo (dalla quale nacque il La cosiddetta “rivoluzione dei cedri” era appoggiata, sostenuta e incoraggiata dalle potenze occidentali, Stati Uniti e Francia soprattutto, con l’obiettivo di acuire le differenze politiche e fare in modo che il Libano si allontanasse dall'”asse della resistenza” (Siria-Iran).) durante la quale chiese l’apertura di un’inchiesta indipendente per far luce sull’omicidio ma non attaccò mai la Siria né la incolpò dell’assassinio. La manifestazione riscosse una importante mobilitazione e fu comunicativamente rivolta ai libanesi tutti, non solo ai sostenitori di Hezbollah. Alle bandiere del gruppo sciita si preferirono quelle del Libano e gli slogan facevano tutti riferimento a identità e tradizioni comuni.

L’opposizione organizzò sei giorni dopo una contro-manifestazione che coinvolse larga parte della popolazione per chiedere che un tribunale internazionale indagasse sull’attentato ad Hariri e che sancì la nascita del cosiddetto “fronte 14 marzo“.

La situazione acuì nuovamente le differenze confessionali che sembravano essere state messe da parte durante la rivoluzione dei cedri e la campagna elettorale del 2005 vide un ritorno ai discorsi religiosi e comunitari. Da parte dei maroniti, divisi al loro interno, ma anche da parte di Hezbollah, il cui leader Hassan Nasrallah (segretario dal 1992) fece riferimento a valori religiosi che avrebbero dovuto spostare i voti verso la “resistenza”. Nonostante ciò, tuttavia, un evento inaspettato arrivò a mischiare le carte in tavola. Il generale Michel Aoun, cristiano, convinto anti-siriano, fuggito in Francia proprio per scampare alla vendetta di Damasco, ritornò in Libano, fondò il partito denominato Movimento dei liberi patrioti e decise a sorpresa di entrare a far parte del fronte 14 marzo e sostenere Hezbollah durante la campagna elettorale. Il potente blocco Hariri subì il colpo e quello che doveva essere un trionfo divenne una vittoria di misura da parte delle opposizioni. Nonostante la campagna anti-siriana, il generale Aoun scelse i propri compagni tra i più stretti alleati di Damasco. Quello che doveva essere un trionfo si trasformò in una vittoria di misura alle elezioni ma il disarmo del “partito di Dio” ritornò comunque ad essere un punto all’ordine del giorno.

Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu votò una nuova risoluzione per prolungare la presenza della Forza internazionale di interposizione (UNIFIL) nel sud del Libano. L’UNIFIL era stata istituita nel 1978 con gli scopi dichiarati di confermare il ritiro delle forze israeliane dal Libano meridionale; ripristinare la pace e la sicurezza internazionale; assistere il governo del Libano nel garantire il ritorno della sua effettiva autorità nella zona. Dal ’78 il mandato è stato rinnovato più e più volte, e le forze militari internazionali continuano anche oggi ad essere presenti nel Paese, al confine con Israele. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ribadì anche la necessità del ridispiegamento dell’esercito regolare nel Sud e del disarmo di Hezbollah. Tuttavia, la nascente intesa siglata tra Hezbollah e i maroniti rappresentati da Aoun, che spaccava il fronte cristiano libanese, condizionerà a lungo le vicende politiche del Paese, e resisterà fino ai giorni nostri.

 

La guerra del 2006

Intanto le tensioni con Israele ripresero forti per il controllo delle fattorie Sheeba. Nella primavera del 2006 Israele uccise un responsabile palestinese a Sidone, in territorio libanese. Hezbollah rispose con un lancio di razzi verso il nord dello stato ebraico e Israele bombardò violentemente le zone controllate dal movimento sciita. A luglio quest’ultimo riuscì ad organizzare un’incursione in territorio israeliano e a rapire due soldati. L’azione era stata più volte annunciata da Nasrallah e l’obiettivo dichiarato era quello di scambiare i soldati con prigionieri del movimento detenuti da Tel Aviv. Il gruppo sciita non si aspettava che la risposta israeliana giungesse così violenta ma i piani operativi erano pronti da tempo e il governo aveva apertamente dichiarato di voler distruggere Hezbollah e il movimento palestinese Hamas, che era già stato attaccato a Gaza.

Nonostante il potente esercito israeliano combattesse contro una milizia non regolare, venne di fatto sconfitto da Hezbollah che seppe utilizzare la propria conoscenza del territorio e sfruttarla a proprio vantaggio. L’avanzata di terra venne bloccata dai combattenti sciiti che costruirono tunnel, lanciarono razzi, seppur rudimentali, nascosti dalla vegetazione, organizzarono sistemi di spionaggio, accerchiamenti e attacchi. Ma i danni per il Libano furono enormi. Non solo il sud ma anche la capitale Beirut venne colpita, furono distrutte le principali infrastrutture e molte delle fabbriche e industrie che erano sopravvissute alle guerre precedenti e alla crisi. Il numero dei civili uccisi fu molto alto. Le perdite libanesi, tra combattenti e civili arrivarono a 1.200, 120 circa le vittime israeliane. La guerra dei 34 giorni terminò con la Risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU con la quale Hezbollah accettava il dispiegamento delle truppe dell’esercito regolare del Libano e, insieme, di quelle dell’UNIFIL nel sud. Quella del “partito di Dio” fu valutata da molti, nel Paese, come una impresa eroica dalla portata storica ma non mancarono le critiche e le accuse di aver portato il Libano al disastro.

Hezbollah trattò sul disarmo e accettò di nascondere le armi con la promessa di consegnarle solo quando Israele si fosse ritirato dalle fattorie Sheeba. La frattura tra il movimento e il governo centrale crebbe fino a giungere agli scontri del 2008, durante i quali militanti sciiti attaccarono direttamente l’esercito regolare a Beirut. Tuttavia, le elezioni del 2009 confermarono il risultato ottenuto da Hezbollah nel 2005 e Saad Hariri, figlio di Rafiq, venne nominato primo ministro. Ma Saad non aveva il carisma e le capacità di suo padre. Fu anche coinvolto in uno scandalo proprio riguardante l’attentato sul lungo mare di Beirut: intercettato, nel 2011 venne a galla il suo diretto coinvolgimento nella individuazione di falsi testimoni che indicassero Hezbollah come responsabile dell’uccisione del padre. Quando il Tribunale Speciale per il Libano (il primo organismo di giustizia internazionale istituito per giudicare un omicidio politico) accusò quattro membri del movimento sciita di essere responsabili dell’omicidio di Rafiq Hariri, Hezbollah ritirò la fiducia al governo guidato da Saad ed ottenne la maggioranza in Parlamento, dando l’inizio al premieranno Najib Mikati (Saad Hariri sarà rieletto premier dal 2016 al 2009; Najib Mikati è l’attuale primo ministro del Libano, rieletto nel settembre 2021). Nel 2020, dopo 15 anni dall’attentato e al costo di centinaia di milioni di dollari, il Tribunale Speciale con sede all’Aja e sostenuto dalle Nazioni Unite, ha confermato il coinvolgimento di solo uno dei quattro accusati, membro di secondo piano di Hezbollah, che era intanto stato ucciso nel 2016 in Siria. Il verdetto non ha fatto luce sulle responsabilità politiche né sui mandanti dell’assassinio.

 

Le Primavere arabe e la guerra di Siria

Tra il 2010 e il 2011 le Primavere arabe portarono in strada anche la popolazione del Libano, che manifestava per ottenere la fine del sistema confessionale. Ma lo stesso movimento che animava le piazze era al suo interno diviso e l’impatto delle proteste fu limitato. La guerra di Siria ebbe, invece, importanti effetti e la crisi aggravò la frammentazione del tessuto politico. Per evitare la deriva, i principali partiti trovarono un accordo sulla dichiarazione di “dissociazione” che definiva il Paese neutrale rispetto alle fazioni in guerra. Ma questo non bastò certo ad evitare che il Libano venisse travolto dalla crisi dei rifugiati siriani: secondo i numeri dell’UNHCR (L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) nel 2016 il numero dei profughi giunti dalla Siria superava un milione e duecentomila, a fronte di una popolazione totale di 4 milioni e mezzo di abitanti. Di questi circa 60.000 erano palestinesi rifugiatisi in Siria dopo la nascita dello Stato di Israele, che lasciavano ora nuovamente le proprie abitazioni. Nonostante manchino dati precisi che lo confermino, con ogni probabilità quando la guerra civile terminò, la popolazione in Libano era a maggioranza sciita. L’arrivo dei profughi siriani, soprattutto sunniti, cambiò la composizione confessionale. Secondo un report pubblicato dalla CIA (Central Intelligence Agency degli Stati Uniti d’America), nel 2020 la popolazione era per il 67.8% musulmana (31.9% Sunniti, 31.2% Sciiti, con una percentuale di Alauiti), per il 32.4% cristiana (Maroniti per la maggior parte) e per il 4.5% drusa.

Il sostegno sempre più chiaro di Hezbollah al presidente siriano Bashar al-Assad esacerbò la divisione interna. La scelta di campo rappresentava la conferma dell’appartenenza del gruppo sciita all’asse della resistenza che vedeva uniti Iran e Siria nella lotta contro l’imperialismo occidentale. Ma non costò poco al “partito di Dio”, la cui ala armata nel 2013 fu inserita dall’Unione Europea nella lista delle organizzazioni terroristiche. Anche sul fonte interno non tutti accolsero con favore il sostegno ad al-Assad: dopotutto, durante le Primavere arabe era stato lo stesso segretario nazionale Nasrallah a schierarsi con “i popoli” per la liberazione dagli oppressori. Il cambio di strategia era dovuto anche alla necessità di tamponare il fronte sunnita allargato dall’arrivo dei profughi siriani. A partire dal 2012 numerosi scontri scoppiarono tra diverse fazioni religiose, soprattutto nel nord del Paese, dove la situazione sociale ed economica era divenuta insostenibile. Scontri tra alauiti (sostenitori di al-Assad) e sunniti (con i rivoltosi), ma anche attentati di sunniti radicali ai membri di Hezbollah. Nel 2014 furono proprio gruppi sunniti radicali a rapire 30 membri dell’esercito libanese, cosa che provocò scontri tra questi gruppi da un lato ed esercito e Hezbollah dall’altro.

 

Il Libano in crisi, l’esercito di Hezbollah

In questi anni la crisi del Libano ha continuato a crescere e oggi il Paese si trova ad affrontare una svalutazione spaventosa della propria moneta, interruzioni di elettricità, scarsità di carburante e medicine, povertà dilagante. In una situazione del genere i servizi della “società della resistenza” di Hezbollah sono giudicati spesso fondamentali da una parte della popolazione, anche se quasi esclusivamente sciita. Il movimento affronta l’accusa di aver spinto il Libano sempre più nell’orbita iraniana e siriana e di essere dunque in parte responsabile del ritardo nelle riforme che sarebbero necessarie per il Paese.

Nel 2021 dopo un braccio di ferro con USA e Israele, il “partito di Dio” è riuscito a bypassare le sanzioni americane ottenendo carburante dall’Iran. Non è insolito che Tel Aviv bombardi le forniture che da Teheran sono dirette all’alleato sciita, ma nonostante ciò Washington ritiene che l’Iran abbia stanziato per il gruppo libanese centinaia di milioni di dollari all’anno.

Nel 2022, dopo accuse reciproche e minacce di guerra, Hezbollah ha firmato con Tel Aviv l’accordo mediato dagli Stati Uniti per la demarcazione del confine marittimo tra Israele e Libano e lo sfruttamento del gas dei giacimenti sottomarino di Karish e Qana. Nasrallah ha presentato l’accordo come una vittoria del suo movimento, che ancora una volta si schierava a difesa degli interessi del popolo libanese.

I combattenti a disposizione di Hezbollah sarebbero oggi circa 100.000 in libano. Una parte è presente anche sulle alture siriane del Golan e altri sono in appoggio ai gruppi armati sciiti iracheni filo-Iran.

Per quanto riguarda l’arsenale a disposizione, il “partito di Dio” possiede molti missili a corta, media e lunga gittata. Secondo gli analisti è capace di colpire l’intero territorio israeliano e di attraversarlo fino a giungere il confine con l’Egitto. Poi droni, proiettili, missili anti-nave, terra-aria e razzi anti-carro. È un arsenale che non ha nulla a che vedere con quello estremamente più limitato del gruppo palestinese Hamas.

 

Il 7 ottobre 2023

Il 7 ottobre 2023 alcuni combattenti di Hamas e della Jihad Islami sono entrati in Israele, dove hanno ucciso circa 1.200 persone e rapite 250. Da quel giorno Israele ha attaccato la Striscia di Gaza, bombardando a tappeto ogni città e centro abitato, dal nord al sud. Il bilancio delle vittime, in continua crescita è spaventoso: secondo il ministero della salute palestinese, al 7 agosto 2024 sono 39,677 i palestinesi uccisi nella Striscia, 91,645 i feriti, la maggior parte sono donne e bambini. Gaza è stata descritta da un funzionario delle Nazioni Unite come un “paesaggio lunare”, completamente distrutta, senza più ospedali, università, scuole, con fame, carestia e malattie che avanzano inesorabili.

Hezbollah si è subito organizzato per supportare l’alleato palestinese e ha spostato truppe a sud del Libano, al confine con Israele, dove è cominciata una guerra con lancio di razzi e droni che mese dopo mese è diventata più letale. Israele ha più volte colpito la capitale Beirut e compiuto omicidi mirati all’interno del territorio libanese. Il 27 luglio 2024 un razzo ha colpito la cittadina drusa di Majdal Shams, nel Golan occupato, uccidendo 12 bambini in un campo di calcio. Israele ha incolpato il nemico sciita il quale ha negato ogni coinvolgimento. Tel Aviv ha bombardato a Beirut l’edificio in cui si trovava Fouad Shukur, uno dei leader di Hezbollah, uccidendolo. Il 31 luglio anche il leader di Hamas Ismail Haniye è stato assassinato mentre si trovava in un appartamento in Iran, in occasione della nomina del nuovo presidente, Masoud Pezeshkian, succeduto ad Ebrahim Raisi, la cui morte rimane quantomeno sospetta.

Da quel momento sia Hezbollah che l’Iran hanno giurato vendetta e una terribile “punizione” per Israele che potrebbe, secondo i loro avvisi, giungere in qualsiasi momento e da qualunque lato. Anche gli Houthi, alleati yemeniti membri del fronte anti-Israele potrebbero unirsi all’attacco, nonostante le lunghissime distanze (un drone Houthi ha ucciso a luglio una persona a Tel Aviv).

Nelle ultime settimane gli attacchi israeliani si sono moltiplicati. Tel Aviv ha colpito numerosi leader militari di Hezbollah, uccidendoli mentre erano in automobile, a bordo di motociclette o nelle proprie abitazioni. Agli attacchi Hezbollah ha risposto colpendo basi militari nel nord di Israele. Il 17 settembre, in un attacco senza precedenti, centinaia di cercapersone utilizzati da membri del partito sciita sono esplosi contemporaneamente, causando 12 vittime, tra cui una bambina di 9 anni, e ferendo migliaia di persone. Nonostante Israele non abbia ufficialmente rivendicato gli attentati, l’inserimento delle cariche esplosive porta la firma del Mossad, i servizi segreti dello stato ebraico.

Il giorno successivo nuove esplosioni hanno riguardato diversi tipi di dispositivi, tra cui walkie talkie, apparecchi per l’energia solare e per il riconoscimento facciale. Sono stati almeno 25 i morti e centinaia i feriti. Le esplosioni sono avvenute tra la folla, nei bar, nelle automobili o nelle abitazioni, causando incendi e coinvolgendo un grandissimo numero di civili. Gli ospedali, già a corto di medicine, hanno faticato a rispondere a tutte le emergenze. Durante il discorso del leader di Hezbollah, Nasrallah, gli aerei israeliani hanno sorvolato Beirut, rompendo il muro del suono e sparando flare. In risposta, Hezbollah ha colpito due basi militari israeliane. La mattina di lunedì 23 settembre Tel Aviv ha fatto decollare centinaia di aerei da guerra che hanno colpito duramente e incessantemente il Libano, sia a sud che la zona ad est, compresi villaggi ed edifici civili, causando centinaia di morti e feriti. Pagine Esteri