di Eliana Riva – 

Pagine Esteri, 30 settembre 2024. Chi immagina con timore la “guerra totale” tanto temuta da un anno a questa parte in Medio Oriente come lo scontro armato diretto e senza limiti tra Israele e Iran, probabilmente potrà rimanere tranquillo ancora per un po’. Teheran si trova in una posizione difficile, che diventa più scomoda giorno dopo giorno. Il gioco della deterrenza e delle linee rosse da tempo non è stato abbandonato: dopo tattiche e mosse, Israele è riuscito a far saltare il tavolo e ora sta dispiegando con inquietante naturalezza i propri tentacoli bellici fuori da Gaza e dai Territori palestinesi occupati.


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Dopo 41.000 morti, di cui quasi 17.000 bambini, e 90.000 feriti, il mondo non gli si è rivoltato contro. Nonostante qualche timida e occasionale sgridata, gli alleati sono sempre lì al suo fianco. I mandati di arresto che sarebbero dovuti giungere mesi fa dalla Corte Penale Internazionale prendono polvere in qualche buio sottoscala della diplomazia, schiacciati dal peso delle pressioni internazionali. La risposta terrificante e atroce dell’Iran all’umiliante assassinio di Ismail Haniyeh, promessa due mesi fa, non è mai arrivata. Il castigo infernale giurato da Hezbollah negli innumerevoli discorsi furenti di Hassan Nasrallah si è trasformato in un enorme cratere che ha inghiottito il leader sciita, lasciando il Libano indifeso e in fiamme.

Nella tarda serata di lunedì 30 settembre l’esercito israeliano ha fatto sapere di aver cominciato quella che ha definito una “operazione di terra limitata”. L’invasione del Libano dovrebbe avere l’obiettivo, secondo Tel Aviv e Washington, di smantellare le postazioni di Hezbollah nel sud del Paese. Il gruppo sciita ha detto di essere pronto a uno scontro diretto con l’esercito.

Domenica 29 settembre gli attacchi israeliani a sud e nella Bekaa hanno causato almeno 105 morti, secondo il Ministero della salute libanese. Per la prima volta dall’inizio della guerra, e dal 2006, l’esercito di Tel Aviv ha colpito una zona centrale di Beirut, nelle prime ore di lunedì 30 settembre, uccidendo almeno tre membri del Fronte di Liberazione della Palestina. Il capo di Hamas in Libano, Fathi Sharif Abu Al-Amin è stato ucciso insieme alla sua famiglia in un attacco israeliano nel campo profughi di al-Buss, nel sud. Nell’ultima settimana Tel Aviv ha ucciso 700 persone in Libano, 14 paramedici in due giorni.

Hezbollah ha dichiarato lunedì di aver lanciato una “raffica di razzi” verso le città del nord di Israele durante il discorso del vice segretario del gruppo sciita, Naïm Kassem. Le parole di Kassem dimostrano la volontà, almeno formale, di mantenere la linea e la lettura di Nasrallah: Israele pagherà; Hezbollah non si arrenderà; la risposta arriverà perché il gruppo sta usando una minima parte del proprio potenziale bellico. Al di là dei proclami, tuttavia, è chiaro che Israele ha inferto colpi durissimi al partito libanese e ci si chiede cos’altro ancora dovrebbe fare Tel Aviv per scatenare questa temibile risposta di fuoco.

Perché è chiaro che Israele ha cambiato le regole del gioco. I razzi e i droni a colpire motociclette e automobili per esecuzioni mirate sono state affiancate da centinaia di bombardamenti “stile Gaza”, ossia con un alto numero di vittime civili. Le famiglie dei combattenti libanesi sono diventate tutte “danni collaterali”, compresi ovviamente i bambini, che stanno morendo a decine. Nella serata di sabato 29 settembre ad Air el-Delb, nel sud del Libano, l’esercito ha colpito e demolito un intero edificio che ospitava sfollati. Si contano al momento 45 morti e 70 feriti ma le squadre di soccorso stanno ancora scavando tra le macerie in cerca dei dispersi e il bilancio delle vittime sale ora dopo ora. Tra gli uccisi, una famiglia di 9 persone, comprese le donne e i bambini. Case e palazzi vengono abbattuti come castelli di carte e non esiste posto sicuro, area protetta. I rifugiati sono inseguiti dalle bombe, proprio come accade nella Striscia. Il governo libanese è sotto pesante minaccia e ha dovuto emanare ordini per vietare l’atterraggio di qualsiasi aereo iraniano, mentre promette l’attuazione della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite. Ma, nonostante Israele chieda formalmente il ritiro di Hezbollah, è diffusa tra gli analisti l’idea che non sia in realtà interessato a un accordo di cessate il fuoco e non si accontenterà del ritiro del gruppo dal confine o della promessa di un suo disarmo. L’obiettivo è probabilmente, proprio come a Gaza, continuare la guerra fino alla “vittoria finale” fino a quanto, cioè, Hezbollah non sarà completamente smantellato, disarmato, ridotto alla totale irrilevanza. A quel punto potrebbero essere gli stessi avversari politici del gruppo a ripulire, magari con una guerra civile, i resti di una base rimasta senza leader, senza armi, senza strutture, impoverita e isolata dall’Iran. A conferma ci sono le incursioni di terra effettuate in queste ore dai soldati. Lo scopo dichiarato sarebbe quello di verificare di persona la posizione delle postazioni di Hezbollah e di valutare la possibilità di partire con un attacco di terra massiccio. L’invasione, a questo punto, sembra sicura e prossima.

Ma il Libano non è l’unico fronte. Israele è in grado di gestire la guerra con il suo vicino del nord e, insieme, di continuare gli attacchi a Gaza, i bombardamenti in Yemen, in Siria (dove sono arrivati in una settimana più di 100.000 profughi libanesi secondo l’ONU) e l’occupazione della Cisgiordania.

A Gaza continuano senza sosta i bombardamenti. Le vittime ad oggi sono 41.595 secondo il Ministero della salute palestinese. La strage dei bambini non si ferma e raggiunge il numero umanamente insopportabile di 16.795. 10.000 persone circa sono rimaste sotto le macerie, 96.250 i feriti. L’85% della popolazione è sfollata, le condizioni sanitarie sono disperate e la fame aumenta. Questa mattina la giornalista palestinese Wafaa Al-Udani è stata uccisala un bombardamento insieme alla sua famiglia, compresi i suoi due bambini, portando a più di 150 il numero dei giornalisti morti nella Striscia dall’inizio della guerra. Secondo le Nazioni Unite circa 15.000 donne incinte vivono sull’orlo della carestia.

In Cisgiordania dal 7 ottobre 2023 sono state uccise 719 persone, tra le quali 160 bambini. Non si fermano i raid all’interno delle città palestinesi e dei campi profughi, così come prosegue la campagna di arresti di massa. Domenica i militari hanno scortato i bulldozer israeliani a Sinjl, a nord di Ramallah, per costruire un muro di separazione. Le demolizioni di case palestinesi sono aumentate e le incursioni dei coloni avvengono spesso sotto la protezione dell’esercito.

Domenica in Yemen Tel Aviv ha inviato decine di aerei, tra cui caccia, per bombardare le centrali elettriche e le strutture portuali marittime nei porti di Ras Isa e Hodeidah. L’attacco ha ucciso almeno quattro persone, lavoratori secondo fonti sanitarie locali, causato continue interruzioni di corrente e enormi incendi. Il giorno prima gli Houti avevano lanciato un missile balistico verso l’aeroporto Ben Gurion a Tel Aviv che è stato intercettato. Pagine Esteri