di Meron Rapoport – +972mag.com – Local call
(traduzione di Federica Riccardi)
La data è ottobre, novembre o dicembre 2024, o forse inizio 2025. L’esercito israeliano ha appena lanciato una nuova operazione nel nord di Gaza – “Operazione Ordine e Pulizia”, la chiameremo. L’esercito ha ordinato l’evacuazione temporanea di tutti i residenti palestinesi a nord del corridoio di Netzarim “per la loro sicurezza personale”, spiegando che “si prevede che l’IDF intraprenda azioni significative a Gaza City nei prossimi giorni, e vuole evitare di danneggiare i civili”.
L’ordine è simile a quello emesso dall’esercito il 13 ottobre 2023 per gli oltre 1 milione di palestinesi che allora vivevano a Gaza City e dintorni. Ma è chiaro a tutti che questa volta Israele sta pianificando qualcosa di completamente diverso.
Sebbene il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il Ministro della Difesa Yoav Gallant mantengano il riserbo sui reali obiettivi dell’operazione, il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir, così come altri ministri di estrema destra, li dichiarano apertamente. In questo caso, citano un programma che il “Forum dei Comandanti e dei Combattenti di Riserva”, guidato dal Magg. Gen. (ris.) Giora Eiland, ha proposto solo poche settimane fa: ordinare a tutti i residenti del nord di Gaza di andarsene entro una settimana, prima di imporre un assedio totale sull’area, compresa l’interruzione di tutte le forniture di acqua, cibo e carburante, fino a quando coloro che rimangono si arrendono o muoiono di fame.
Anche altri israeliani di spicco, negli ultimi mesi, hanno invitato l’esercito a compiere uno sterminio di massa nel nord di Gaza. “Rimuovete l’intera popolazione civile dal nord e chiunque vi rimanga sarà legalmente condannato come terrorista e sottoposto a un processo di inedia o di sterminio”, ha spiegato il 15 settembre in un’intervista radiofonica il professor Uzi Rabi, ricercatore senior dell’Università di Tel Aviv. E ad agosto, secondo un rapporto di Ynet, i ministri del governo avevano già iniziato a fare pressione su Netanyahu per “ripulire” il nord di Gaza dai suoi abitanti.
Un’altra proposta è stata scritta a luglio da diversi accademici israeliani, intitolata “Da un regime omicida a una società moderata: La trasformazione e la ricostruzione di Gaza dopo Hamas”. Secondo questo piano, che è stato presentato ai decisori israeliani, la “sconfitta totale” di Hamas è una condizione preliminare per avviare un processo di “deradicalizzazione” dei palestinesi di Gaza. “È importante che anche l’opinione pubblica palestinese abbia un’ampia percezione della sconfitta di Hamas”, sostengono gli autori del piano, aggiungendo: “Il ‘primo soccorso’ può iniziare nelle aree epurate da Hamas”. Uno degli autori della proposta, il dottor Harel Chorev, ricercatore senior presso il Centro Moshe Dayan, dove lavora anche Rabi, ha espresso pieno sostegno al piano di Eiland.
Ma torniamo al nostro scenario: l’“Operazione Ordine e Pulizia” prende il via e, nonostante gli ordini di evacuazione dell’esercito, circa 300.000 palestinesi rimangono tra le rovine di Gaza City e dintorni, rifiutandosi di andarsene. Forse rimangono perché hanno visto cosa è successo ai loro vicini che se ne sono andati all’inizio della guerra, credendo che si trattasse di un’evacuazione temporanea, e che ancora oggi vagano per le strade del sud di Gaza senza un posto sicuro dove rifugiarsi. Forse perché temono Hamas, che invita i residenti a rifiutare gli ordini di evacuazione di Israele. O forse perché sentono di non avere più nulla da perdere.
In ogni caso, l’esercito impone un blocco totale entro una settimana a tutti coloro che rimangono nel nord di Gaza. I combattenti di Hamas – il documento Eiland stima che ne siano rimasti 5.000 nel nord, ma nessuno conosce il loro vero numero – rifiutano di arrendersi. Le televisioni internazionali e i social media osservano la città di Gaza consumata dalla fame di massa. “Preferiremmo morire piuttosto che andarcene”, dicono i residenti ai giornalisti.
Alla TV israeliana, i commentatori non sono convinti che una tale mossa sarà decisiva per vincere la guerra. Ma concordano sul fatto che una “campagna di fame e di sterminio” sia preferibile al fatto che l’esercito continui a trascinarsi a Gaza. Alcune voci negli studi avvertono del potenziale danno alle relazioni pubbliche di Israele, ma il piano ottiene comunque il sostegno della maggioranza dell’opinione pubblica ebraico-israeliana. I cittadini palestinesi di Israele, che intensificano le loro proteste contro il genocidio, vengono arrestati anche solo per averne parlato online e la polizia reprime con la forza le manifestazioni della sinistra radicale.
Il Segretario di Stato americano Antony Blinken esprime preoccupazione, afferma che Washington è impegnata per l’integrità territoriale di Gaza e per la soluzione dei due Stati e avverte che quest’ultima campagna potrebbe sabotare i negoziati per un accordo sugli ostaggi – ma Netanyahu non si scompone. Sotto la pressione della destra, che vede nell’espulsione dei residenti di Gaza City l’opportunità di spianare completamente l’area e di costruire insediamenti sopra le rovine, l’esercito inizia la fase di “sterminio” descritta da Rabi.
Poiché l’esercito ha affermato che i civili possono lasciare il nord di Gaza – anche se i soldati sparano e uccidono a caso i civili palestinesi che cercano di evacuare – tratta chiunque rimanga in città come un terrorista. Questa strategia è in linea con quanto il tenente colonnello A., comandante dello squadrone di droni dell’aviazione israeliana, ha dichiarato a Ynet in agosto a proposito dell’operazione di salvataggio degli ostaggi nel campo di Nuseirat: “Chiunque non sia fuggito, anche se disarmato, per quanto ci riguarda era un terrorista. Tutti quelli che abbiamo ucciso avrebbero dovuto essere uccisi”.
Gaza City è completamente distrutta e tra le rovine giacciono i corpi di migliaia o forse decine di migliaia di palestinesi. Nessuno conosce il numero esatto, perché l’area rimane una “zona militare chiusa”. L’Operazione Ordine e Pulizia viene incoronata come un successo. L’esercito, come proposto nel piano Eiland, si prepara a replicare operazioni simili a Khan Younis e Deir al-Balah. In coordinamento con i comandanti sul campo, apparentemente senza l’approvazione dello Stato Maggiore, il movimento rivitalizzato per il reinsediamento di Gaza – che attendeva da mesi – inizia a stabilire le prime nuove comunità nelle aree che sono state “epurate” dai palestinesi.
Uno scenario probabile ma non inevitabile
Non c’è certezza che questo scenario si realizzi. Può essere ostacolato in vari momenti: l’esercito potrebbe far capire che non è interessato alla piena occupazione della Striscia di Gaza, né al ristabilimento di un governo militare. L’esercito è consapevole che un’operazione su larga scala potrebbe portare all’esecuzione degli ostaggi rimasti, come è accaduto a Rafah, e non vuole essere responsabile della loro uccisione. Così come teme che un’operazione su larga scala a Gaza possa scatenare una risposta più forte da parte di Hezbollah, e quindi una guerra intensa su due fronti, o forse più.
Nonostante tutta l’indulgenza che l’amministrazione statunitense ha mostrato per le azioni genocide di Israele a Gaza – affamando e annientando decine di migliaia di palestinesi – la prossima tappa potrebbe essere troppo anche per il presidente Joe Biden, autoproclamatosi “sionista”, e per la candidata alle presidenziali Kamala Harris, che parla di “sofferenza palestinese”. Questa potrebbe essere la mossa che costringerà la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) a dichiarare che Israele sta commettendo un genocidio e ad accelerare I tempi della Corte Penale Internazionale (CPI) ad emettere mandati di arresto, e non solo per Netanyahu e Gallant.
I Paesi europei, che fino ad ora hanno esitato a sanzionare Israele, potrebbero fare il passo più lungo della gamba. Netanyahu potrebbe concludere che il prezzo internazionale di una simile operazione sarebbe troppo alto – al diavolo i desideri dei suoi alleati di destra.
Anche la società israeliana potrebbe porre ostacoli all’attuazione del piano. Come è emerso dalle manifestazioni di massa delle ultime settimane, gran parte dell’opinione pubblica ebraico-israeliana ha perso fiducia nelle promesse del governo di “vittoria totale” a Gaza o nell’idea che “solo la pressione militare libererà gli ostaggi”. Guidati dalle famiglie degli ostaggi – che si sono radicalizzate dopo la recente esecuzione da parte di Hamas dei sei ostaggi in un tunnel a Rafah – centinaia di migliaia di israeliani sembrano voler non solo vedere gli ostaggi tornare a casa, ma anche lasciarsi la guerra alle spalle. Il piano di Rabi-Eiland, che certamente prolungherebbe la guerra a Gaza e probabilmente comprometterebbe il ritorno degli ostaggi rimanenti, potrebbe essere respinto da centinaia di migliaia di manifestanti proprio per queste ragioni.
Tuttavia, dobbiamo anche ammettere che lo scenario che ho delineato sopra non è inverosimile. Dal 7 ottobre, la società israeliana ha subito un processo accelerato di disumanizzazione nei confronti dei palestinesi, ed è difficile vedere l’esercito rifiutarsi in massa di portare avanti una simile campagna di sterminio, certamente se viene presentata per gradi: prima l’espulsione della maggior parte dei residenti, seguita dall’imposizione di un assedio, e solo allora l’eliminazione di quelli che rimangono.
Non si tratta di una semplice vendetta per le atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre. Nella logica distorta che regola la politica israeliana nei confronti dei palestinesi, l’unico modo per ripristinare la “deterrenza” dopo l’umiliazione militare del 7 ottobre è quello di schiacciare completamente il tessuto collettivo palestinese, comprese le sue città e istituzioni.
Per alcuni potrebbe essere facile liquidare le proposte israeliane di “finire il lavoro” nel nord di Gaza come un progetto genocida, che difficilmente verrà realizzato. Ma sono state concepite da Eiland, Rabi e da altre persone influenti, non solo da quelli della cerchia “messianica” di Ben Gvir e Smotrich. E a prescindere da ciò che accadrà nei prossimi mesi, il fatto stesso che siano in discussione proposte aperte per affamare e sterminare centinaia di migliaia di persone dimostra esattamente quale sia la posizione della società israeliana oggi. Pagine Esteri