di Marco Santopadre

Pagine Esteri, 1 novembre 2024 – La portata della devastazione causata nelle regioni orientali della penisola iberica dall’impatto della “goccia fredda” o Dana – un fenomeno atmosferico originata dal contatto tra le correnti fredde e umide e un Mediterraneo sempre più caldo – è inimmaginabile.
Non si contano le strade chiuse e la maggior parte del traffico ferroviario rimarrà bloccato per almeno due settimane. Mentre scriviamo, decine di migliaia di persone sono ancora senza né acqua né elettricità.

Il bilancio dei morti è salito a 205 e ci vorranno settimane per avere un quadro ragionevole degli ingentissimi danni materiali. La provincia di Valencia è quella che ha pagato il prezzo maggiore con 202 vittime, mentre altre tre persone hanno perso la vita tra l’Andalusia e la Castilla-La Mancha.

Il macabro conteggio purtroppo è destinato a salire, probabilmente di molto, visto l’alto numero di dispersi. La sindaca di Chiva, ad esempio, ha informato del ritrovamento finora di 10 corpi, ma ha avvisato che nelle frazioni si sono perse le tracce di centinaia di persone.
Interi quartieri della periferia di Valencia e decine tra paesini e cittadine dell’hinterland della terza città della Spagna sono stati devastati da venti che hanno raggiunto la violenza degli uragani tropicali e sono ora sotto una coltre di fango che, asciugando, diventa duro come il cemento.

Se a Valencia il tempo è migliorato subito dopo la tempesta, la “Depressione isolata ad alta quota” continua a sferzare i territori limitrofi a sud e a nord. Nelle ultime ore la situazione più grave è stata registrata a Huelva, la provincia andalusa più occidentale, con trombe d’aria violentissime. Ieri era toccato invece ai territori catalani meridionali e alla provincia di Castellò – a sud di Valencia – dove i fiumi ingrossati dalle intense precipitazioni hanno invaso diverse località.

I ritardi nei soccorsi
Molti sindaci lamentano che, a tre giorni dal disastro, i soccorsi non sono ancora arrivati o la loro consistenza è fortemente inadeguata rispetto alle necessità.
Nel capoluogo nei giorni scorsi i supermercati sono stati presi d’assalto dagli abitanti che temevano la penuria di generi di prima necessità e quindi hanno svuotato gli scaffali. Qualcuno si è dato ai saccheggi e 39 persone sono state arrestate con l’accusa di furto e sciacallaggio.

Nelle località più isolate, però, i sopravvissuti stanno effettivamente facendo i conti con la scarsità degli approvvigionamenti.
Nel corso di un’intervista alla tv pubblica regionale “A punt”, il sindaco di Alfafar, uno dei comuni più colpiti dall’uragano, ha raccontato di aver dovuto svuotare un supermercato per distribuire alimenti alla popolazione. L’esponente del Partido Popular (destra) ha denunciato la disperazione degli abitanti – alcuni dei quali, ha detto, sono costretti a condividere le loro case invase dal fango con i cadaveri dei loro cari – di fronte alla mancanza di aiuti.

“In tre giorni non ho visto un camion dei pompieri o una pattuglia della Guardia Civil, non si vedono ambulanze… Finora i soccorsi non si sono visti” si è lamentato Juan Ramón Adsuara polemizzando indirettamente tanto con il governo regionale di destra che con quello statale di centrosinistra che continuano a rimpallarsi la responsabilità dei ritardi nell’allertare la popolazione e nei soccorsi.

Di 28 squadre di vigili del fuoco forestali a disposizione, denuncia il sindacato Comisiones Obreras, la giunta regionale ne ha mobilitate solo due.
L’esecutivo centrale questa mattina ha deciso l’invio di 500 membri dell’Unità Militare di Emergenza (Ume) nel País Valenciano, che si aggiungono ai 1200 già mobilitati mercoledì.

La solidarietà spontanea
La solidarietà più o meno spontanea si è messa per fortuna in moto già ieri all’insegna dello slogan “Solo il popolo salva il popolo”. Migliaia di militanti di organizzazioni sociali e politiche e di semplici cittadini hanno raggiunto in auto, ma soprattutto a piedi, dai vari quartieri di Valencia, le località maggiormente devastate – attraversando il ponte che unisce il capoluogo con i municipi di Paiporta e Benetússer – per portare acqua potabile e cibo ai sopravvissuti. Altri volontari stanno invece raggiungendo il quartiere valenciano di La Torre e i limitrofi comuni di Alfafar, Sedavi e Picanya.

In un comunicato, però, le autorità regionali hanno chiesto ai volontari di tornare alle loro case, lasciando ai servizi di emergenza l’assistenza alle popolazioni alluvionate, e hanno avvertito – con il sostegno del Ministro spagnolo dell’Interno Fernando Grande-Marlaska – che nelle prossime ore verranno imposte delle restrizioni alla libertà di movimento nelle aree interessate dall’uragano per evitare che i soccorsi (che però in alcuni casi non si vedono) vengano intralciati.

Dichiarazioni che hanno creato sconcerto sia tra le vittime sia tra gli improvvisati soccorritori, che oggi sono tornati a muoversi a migliaia, dotati anche di scope e pale. Intanto il dolore per le vittime e per la devastazione di abitazioni e infrastrutture si sta già mischiando alla rabbia.

Mentre il premier spagnolo, il socialista Pedro Sanchez, sta facendo fronte comune con il presidente della regione, il popolare Carlos Mazón, in nome dell’unità delle istituzioni e della priorità da accordare ai soccorsi e alla ricostruzione, le voci che si levano contro il leader della destra locale sono sempre più numerose.

Le responsabilità del governo di destra
Nonostante l’AEMET – l’Agenzia Statale di Meteorologia – avesse emesso un’allerta rossa già alle 7.30 del mattino di martedì, avvisando della gravità della tempesta che si stava preparando, il presidente della giunta regionale ha più volte minimizzato il rischio annunciando – non si sa su quale base – che già nel pomeriggio le piogge sarebbero diminuite di intensità. Solo alle 20.12 i servizi di emergenza della Generalitat Valenciana – il governo regionale – si sono degnati di inviare un sms di allerta ai cellulari dei cittadini, ma a quel punto era troppo tardi. Da almeno due ore i fiumi avevano invaso prima le strade e poi le case e spazzato via migliaia di automobili, intrappolando nei luoghi di lavoro o di svago e nei negozi o travolgendo nelle strade chi non si era preoccupato, o non aveva avuto il permesso, di tornarsene a casa per tempo.

Di fronte alle prime avvisaglie della gravità della perturbazione, accusano alcuni sindacati, molte aziende si sono rifiutate di concedere ai propri dipendenti la possibilità di abbandonare i posti di lavoro per mettersi in salvo.
E questo nonostante alle 14.00 la provincia di Valencia, pur senza allertare tutta la popolazione, avesse già inviato una mail ai suoi dipendenti avvisandoli della chiusura degli uffici per evitare che fossero esposti a rischi.

Mentre si stanno organizzando o stanno già partendo da varie località dello stato spagnolo le squadre volontarie che raggiungeranno i territori devastati per aiutare le popolazioni colpite, sono sempre più numerose le realtà sociali e politiche che chiedono la testa del presidente della regione. D’altronde, appena formata la giunta regionale insieme ai neo franchisti di Vox – che poi, alcuni mesi fa, si sono sfilati – Carlos Mazón decise di chiudere l’Unità Valenciana di Emergenza, un team di pronto intervento creata dalle precedenti amministrazioni per prevenire l’impatto di fenomeni atmosferici sempre più estremi e coordinare gli interventi di sostegno ai territori investiti.

Anche l’Agenzia Regionale deputata allo studio e al contrasto del riscaldamento globale era stata sacrificata da una destra che non ha mai nascosto e anzi rivendica il proprio negazionismo climatico.

Volontari diretti alle zone alluvionate

Il 9 novembre si scende in piazza
Mentre Mazón cancella dai social alcuni post dei giorni scorsi in cui negava la gravità della tempesta che si stava per abbattere su Valencia, decine tra associazioni, collettivi, sindacati e organizzazioni politiche hanno indetto una manifestazione per chiedere le dimissioni del ras locale del Partito Popolare.

Le realtà promotrici del corteo che il 9 novembre percorrerà il centro di Valencia per concludersi davanti al Palazzo della Generalitat, denunciano l’incapacità e l’inefficienza nella gestione della crisi da parte del governo regionale, così come il rifiuto di mettere in atto quelle misure preventive che avrebbero consentito di ridurre al minimo il numero delle vittime.

I firmatari dell’appello denunciano anche le responsabilità dell’Assessore regionale all’Istruzione José Antonio Rovira, “che ha tenuto aperte le scuole nelle zone colpite quando in alcuni luoghi era già interrotta la rete elettrica, mettendo in pericolo bambini e insegnanti”. Un approccio replicato anche ieri a Castelló, dove le scuole sono state chiuse solo alle 10,30 del mattino, quando la città era già allagata.

“Se ha un po’ di decenza, dicono in tanti – anche suoi ex elettori – Mazón deve dimettersi”. Ma la decenza, è noto, è una dote rara in politica.

Negazionismo contro business
Da decenni la comunità scientifica, supportata da dati, ricerche e rapporti convergenti, mette in guardia dal pericolo del cambiamento climatico.
Eppure le forze politiche di destra ed estrema destra negano l’evidenza, riducendo quando possono le risorse destinate alle politiche di prevenzione e alimentando la diffusione di fake news complottiste strumentalizzabili a fini elettorali.

Sul fronte opposto, molti ambienti liberali, socialdemocratici ed ecologisti sostengono una riconversione energetica che spesso altro non è se non un massiccio sostegno legislativo e finanziario pubblico a lobby industriali e tecnologiche che approfittano dell’allarme sociale per aumentare i profitti a spese delle fasce medio-basse della popolazione, mentre i pilastri di uno sviluppo nocivo e sconsiderato e i privilegi delle oligarchie economiche non vengono neanche scalfiti.

Nel frattempo, afferma uno studio pubblicato ieri dai ricercatori del World Weather Attribution, la crisi climatica indotta in buona parte dalle attività umane ha intensificato i dieci eventi meteorologici estremi più mortali degli ultimi venti anni, contribuendo così a causare la morte di circa 570 mila persone. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria