Per le vie dell’Avana le parole di Marco Rubio sul re-inserimento di Cuba nelle liste dei paesi complici del terrorismo risuonano sui telefonini e sulla televisione. Nessuno si stupisce e nemmeno si dispera. Una signora mi dice “abbiamo resistito a cose peggiori rispetto a Trump. Certo oggi la situazione non è facile e lui attaccherà, ma noi andiamo avanti”. I problemi del quotidiano coinvolgono le persone di Cuba in maniera più immediata che la politica internazionale, e la sensazione è che non ci si aspetti mai altro se non tradimenti, aggressioni e violenza. Nonostante questo cubane e cubani sono allegri e accoglienti, sorridono a tutte e tutti, cercano di fare affari, vendere un giornale o una moneta ad 3 pesos del Che. Dal Canada e dagli USA arrivano migliaia di turisti l’anno, l’aeroporto con più voli su Avana è quello di Miami, a dirlo sembra una stranezza ma è così.

La contraddizione è il metodo dell’isola e le narrazioni su Cuba troppo spesso subiscono l’interesse politico che esiste… da una parte quello USA e il sogno di tornare ad avere il controllo dell’isola, dall’altro quello di chi difende senza se e senza ma la revolucion. Mi pare, per come ho visto, conosciuto e attraversato l’isola, che nulla di più distante dalla realtà sia la polarizzazione. Certo ci sono persone che si posizionano nei due estremi ma la maggioranza di coloro che ho incontrato e con cui ho parlato vogliono dei cambiamenti senza perdere le proprie peculiarità e senza diventare un pezzo del mondo occidentale. E così mentre a Remedios manca la luce per 20/21 ore al giorno le persone escono di casa, ridono e ballano al buio, alcuni trovano escamotage per vedere la televisione altri accendono il fuoco per cucinare, ridono, dicono “è così da dopo il Covid”, c’è rassegnazione e si aspetta un cambio. A Trinidad invece è l’autorganizzazione di necessità a rispondere agli “apagon”, generatori e batterie elettriche permettono a bar, locali e ristoranti di tenere le luci accesse, non si parla quasi mai di politica e se ci provi le parole sono rarefatte e di necessità. Però sia a Remedios che a Trinidad mi sono sentito dire “questa è Cuba, abbiamo sempre trovato una soluzione e la troveremo ancora. Non devono arrivare persone da fuori a dirci che fare”.

Difficoltà e resistenza convivono, l’unicità e la dignità di sapersi diversi e diverse è forte. Jose Martì è un simbolo, la tardiva indipendenza dalla Spagna è un lascito che l’ingerenza degli Stati Uniti hanno trasformato in incubo. La rivoluzione che ha attraversato e vinto nel paese nella metà degli anni ’50 del secolo scorso ha immerso il suo sacrificio nella voglia di libertà ed indipendenza. Libertà ed indipendenza sono ancora parole importanti, e hanno certo significato diverso visto che, nonostante l’avvento di internet, la libertà di espressione non è così garantita a Cuba. Però certamente la situazione è in evoluzione ed è come tutto complessa, non c’è la caccia al giornalista e neppure la possibilità di dire e scrivere ciò che si vuole, neppure per chi è straniero ma vive l’isola. Lo scontro narrativo è ciò che mi sono trovato dinanzi arrivando all’Avana lo scorso 22 di gennaio, un raro giorno di pioggia nella stagione secca.

Girano voci che sull’isola non ci siano cibo o carburante, la verità è che cibo e carburante ci sono se paghi in dollari o euro, e se sei nei circuiti turistici e privati (anche se un privato vero e proprio non esiste a Cuba ed è tutto partecipato dallo stato). Se vai a prendere un caffè all’Avana, in un bar statale, lo paghi dai 40 ai 60 pesos (1 euro oggi è cambiato per strada 320 pesos, il cambio ufficiale poco più di 120) ma non trovi latte e zucchero ad accompagnarlo. Il bar di fianco, Particular, ha tutto ma il caffè può costare dai 300 ai 700 pesos. È tutto così, uno scontro quotidiano. L’apertura al mercato misto pubblico/privato ha portato ossigeno in un primo momento all’economia cubana ma poi ha generato uno iato sempre maggiore tra chi lavora in “proprio” con il turismo e chi no. Gli stipendi del “pubblico” sono bassissimi, un medico prende 7000 pesos al mese, e il sistema de la “Libreta” che seppe rispondere al bloqueo USA e al Periodo Especial garantendo cibo e vestiti, oggi non regge più.

Cubane e cubani sanno benissimo che due dei lasciti della revolution, istruzione e sport, sono per loro occasioni. Chi migra lo fa dopo essersi laureato o essersi allenato, quando vanno all’estero arrivano qualificati: medici, musicisti, sportivi di primordine e spesso riescono a essere ben pagati per fare il lavoro che hanno imparato a fare a Cuba dove non trovano la possibilità di realizzarsi. Ma c’è chi rimane perchè non vuole rassegnarsi all’idea che dove è nato non possa fare ciò che vuole e c’è anche chi non va via perchè si sente fedele alla rivoluzione, a dirmelo è una ragazza, 30enne a Vinales. Oggi chi prende seriamente in considerazione di andarsene, giovane, dall’isola e sfruttare il suo piano di studi altrove lo fa grazie a leggi, come quella di Zapatero in Spagna, che rendono meno difficile uscire dall’isola. Se all’Avana questo si vede meno quando esci e vai a occidente o oriente il “buco” generazionale è evidente.

Nonostante questi e altri problemi, sull’isola la voglia di rivendicarsi come cubani e cubane è fortissima, c’è identità e dignità, anche se la paura esiste e si vede. Solo fino a pochi anni fa si viveva in maniera totalmente diversa, e non c’erano tutte queste persone, soprattutto bambini, che chiedono l’elemosina. Anche se un signore che racconta la battaglia di Santa Clara perché faceva parte della colonna del Che ricorda che la “moda” di chiedere caramelle e shampoo agli stranieri arriva direttamente dal “periodo especial”, dagli anni ’90, quando davvero, dopo la caduta dell’URSS, per mesi a Cuba mancano molte cose. Oggi invece non sono ripartite in maniera uguale.

Cuba, foto di Andrea Cegna (PE)

L’assenza di Fidel, gigante della politica, è enorme. Forse nemmeno Fidel avrebbe trovato le soluzioni ma certamente ci avrebbe messo la faccia. Una ragazza mi dice “ma ti pare che Fidel avrebbe fatto come Diaz-Canel che quando la gente protestava per il pane ha invitato il popolo a scendere in strada per difendere la rivoluzione? No Fidel sarebbe sceso in piazza lui, e avrebbe affrontato chi manifestava con il pensiero di abbattere la rivoluzione e parlato con chi aveva fame”. Me lo racconta in un ristorante dell’Avana, con il generatore che da corrente, me lo dice arrabbiata e aggiunge “ed io non sono mai stata acritica neppure con Fidel”. Fidel teneva assieme Cuba, si faceva vedere, ho raccolto racconti di decine e decine di persone che mi hanno confessato “quel giorno ero nel palazzo del governo, ad un certo punto è arrivato Fidel. Si è messo da parte e ascoltava, ascoltava tutti”. Pare così, pare che non ci fosse riunione a cui Fidel non mettesse l’orecchio. C’è chi lo piange, c’è chi lo critica, ma non c’è chi non lo rispetti. Con la sua morte sono finiti i momenti di massa e collettivi che tenevano assieme le generazioni. Fidel morendo ha decretato che non ci fosse il culto della sua personalità, non ci sono statue, non ci sono poster, ed è vietato commercializzare la sua immagine.

Anche per Camilo Cienfuegos è così, il terzo grande leader della rivoluzione, morto troppo presto per dire la sua. Di Camilo c’è il volto in Plaza de la Revolution, a pochi metri da quello del Che che invece impazza nelle magliette e nelle calamite, in tutta l’isola. Cuba è un’isola magnifica, una riserva dalle uova d’oro per il capitalismo internazionale, tanto che alberghi e imprese turistiche si stanno posizionando aprendo in collaborazione con lo stato luoghi dai Cajos all’Avana. Ora la speculazione non è consentita totalmente per il controllo statale, ma sono lì per quello. Me lo confida il responsabile di un hotel 6 stelle a Cajo Santa Maria Cuba. Mi dice “quando il comunismo sarà sconfitto qui diventeremo ricchi. Con il potenziamento dell’aeroporto faremo viaggi quotidiani per USA e Canada. Venderemo pacchetti per il fine settimana, altro che Miami”.

Obama, cercando di allentare le misure anti-Cuba, aveva in testa di abbattere Castro senza violenza, accrescendo le differenze che il mercato misto stava generando, accelerando un processo di corruzione dei valori e della storia, infestando Cuba con dollari, finta-amicizia, e cercando di conquistarla così. La stupidità statunitense e le ritrosie culturali non gli hanno lasciato spazio, e dall’altra parte Fidel, pur avendo lasciato la presidenza di Cuba, aveva colto la postura subdola del nobel per la pace, e si era opposto. Ma quel processo non è terminato e l’assenza di una classe politica cubana all’altezza della storia non sta trovando le risposte necessarie per rispondere all’offensiva in atto. L’avvicinamento all’URSS voluto da Castro ha travolto il sogno rivoluzionario dei “barbudos” ed è stato un qualcosa che oggi definiremmo real politik, Cuba si era messa in mezzo tra USA e URSS ma l’aggressione statunitense e il bloqueo spinsero Castro verso Mosca. Una mossa che ruppe il processo continentale di de-colonizzazione, diede impulso economico all’isola, costrinse Cuba nel campo “campista” e iniettò forza economica all’isola. Si trasformò in dipendenza per l’incapacità, duole dirlo, di usare quei soldi per costruire un sistema di produzione agricola e industriale capace di garantire indipendenza. Uno dei grossi errori di quell’enorme generazione, assieme a quello di non aver alimentato una cultura politica florida, una classe politica brillante, e una società civile critica ma non nemica. I due grandi errori che non erodono l’unicità del “caimano ribelle”, di un sogno grandioso che ha permesso e permette a Cuba di essere un posto vivo e sicuro, un posto dove la solidarietà esiste e si respira, dove nonostante la drammatica situazione non vedi gente morire di fame o dormire per strada.

Non è elogio di un qualcosa che si è perso o forse non è mai voluto essere ma il riconoscimento di un qualcosa che grazie ad una rivoluzione, che dobbiamo riconoscere è sempre e solo un momento e poi si trasforma in norma, ha permesso di scrivere una storia totalmente diversa da quella di ogni altro paese del Latino America. Se la politica cubana saprà ascoltare, aprirsi, accettare gli errori, mettersi in discussione, e mettere mano al presente, insomma rivoluzionare il percorso che ad oggi è arrivato acciaccato mi pare di cogliere che c’è un popolo pronto a vedere cosa succede e salvarsi ancora e salvare non solo loro. Forse è la speranza che mi guida a scrivere questo, ma una speranza che si alimenta con l’energia positiva che non pensavo di trovare in un contesto tanto difficile. Pagine Esteri