(foto di Qasioun News Agency – wikimedia)

La leadership curda si prepara a formalizzare una richiesta storica: un sistema federale per la Siria post-Assad. Lo ha detto all’agenzia Reuters, Badran Jia Kurd, alto funzionario dell’amministrazione autonoma curda nel Rojava. Per anni, le autorità curde avevano evitato il termine “federalismo”, preferendo espressioni come “decentralizzazione democratica” o “confederalismo democratico”.

Il cambio di tono riflette una nuova realtà politica e territoriale: i gruppi a guida curda controllano oggi circa un quarto del territorio siriano. In questo spazio, che si estende tra Hassakeh, Qamishli e la valle dell’Eufrate, è stata costruita una fragile ma funzionale amministrazione locale, sostenuta e sponsorizzata dagli Stati Uniti, ma mai riconosciuta da Damasco.

L’impulso a rendere esplicita la richiesta di federalismo nasce anche da un contesto politico che i curdi considerano sempre più escludente. La caduta di Bashar al-Assad, avvenuta lo scorso dicembre, ha aperto uno spazio di transizione che — secondo Jia Kurd — sta già mostrando crepe profonde. Le accuse dei leader curdi sono chiare: il presidente autoproclamato Ahmed al-Sharaa e il suo entourage islamista stanno tracciando “la rotta sbagliata”, ignorando la composizione multietnica e multiconfessionale del paese.

La preoccupazione non è solo teorica. Le uccisioni di massa della comunità alawita avvenute il mese scorso hanno alimentato il senso di vulnerabilità tra le minoranze siriane. Non solo alawiti, ma anche drusi, cristiani e yazidi temono che la Siria del dopo-Assad possa trasformarsi in una nuova arena per le rivalità confessionali. È in questo clima che prende forma l’alleanza tra i principali partiti curdi siriani, storicamente divisi da interessi e affiliazioni regionali.

Il Partito dell’Unione Democratica (PYD), forza egemone nella Siria nordorientale e principale colonna delle Forze Democratiche Siriane (SDF), ha trovato un’intesa con il Consiglio Nazionale Curdo (ENKS), rivale politico sostenuto dal Partito Democratico del Kurdistan (KDP) dei Barzani. Un evento significativo, tenuto conto che l’ENKS mantiene buoni rapporti con la Turchia, storicamente ostile a qualsiasi forma di autonomia curda lungo i suoi confini meridionali.

La visione comune, ancora non ufficialmente pubblica, dovrebbe essere annunciata entro la fine di aprile. Lo ha confermato Suleiman Oso, leader dell’ENKS, che ha parlato di un “consenso crescente” tra i siriani sulla proposta federalista, soprattutto dopo gli eventi degli ultimi mesi. Oso ha citato la resistenza interna nella comunità drusa, l’indignazione per gli eccidi di alawiti e la nuova dichiarazione costituzionale emessa dal governo ad interim, che l’amministrazione curda ha definito incompatibile con la diversità nazionale.

Nelle dichiarazioni rese alla Reuters, Jia Kurd ha sottolineato che la proposta curda non mira alla secessione. “Il nostro obiettivo non è l’indipendenza”, ha detto, “ma l’autonomia regionale all’interno di una Siria unita, pluralistica e democratica”. Il modello, nei loro piani, prevede la creazione di consigli legislativi locali, organi esecutivi per la gestione regionale e forze di sicurezza interna affiliate ai governi locali. Tutto questo, naturalmente, da includere nel nuovo quadro costituzionale della Siria.

Ma la strada è tutt’altro che priva di ostacoli. Ahmed al-Sharaa ha dichiarato in più occasioni la sua netta opposizione al federalismo. In un’intervista a The Economist lo scorso gennaio, ha definito l’idea “non accettata dal popolo siriano” e “contraria agli interessi della nazione”. Una posizione condivisa dalla Turchia, che combatte e nega i diritti dei curdi anche fuori dai confini, quindi anche in Siria. Tuttavia, il recente cessate il fuoco dichiarato dal leader  del PKK Abdallah Ocalan e il dialogo intercurdo tra PYD ed ENKS — quest’ultimo più vicino ad Ankara — lasciano intravedere possibilità di mediazione, almeno nel medio periodo.

Nel frattempo, un accordo siglato il mese scorso tra le autorità curde e Damasco prevede l’accorpamento graduale degli organi di governo e delle forze di sicurezza locali con quelli del governo centrale. Ma anche qui, le tensioni non mancano. I curdi temono che l’accordo venga utilizzato per smantellare le conquiste istituzionali realizzate negli ultimi anni. La loro partecipazione, spiegano, non implica un abbandono del progetto federalista, ma una volontà di dialogo. “Siamo impegnati a rispettare l’accordo”, ha precisato Jia Kurd, “ma non accetteremo una Siria in cui venga negata l’identità e l’autonomia delle sue componenti”.

Resta da capire quale sarà la reazione della comunità internazionale. Gli Stati Uniti hanno sempre mantenuto una posizione ambigua sul piano politico. La Russia, da parte sua, ha storicamente sostenuto una soluzione federalista per la Siria, ma i suoi interessi attuali — soprattutto nel mantenere stabile l’equilibrio post-Assad — potrebbero prevalere su ogni considerazione ideologica. L’Europa osserva, ma non incide. I curdi intanto cercano di consolidare ciò che hanno costruito tra le macerie della guerra: un modello di governo basato sull’autonomia, la parità di genere, il pluralismo etnico. Un modello imperfetto, ma forse —  suggerisce Suleiman Oso — l’unico in grado di garantire una coesistenza pacifica tra le tante anime della Siria.