Pagine EsteriSabato scorso nel piccolo paese centroamericano alcune migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti dell’opposizione, dei maggiori sindacati e delle organizzazioni studentesche che accusano Washington di aver lanciato una vera e propria “invasione camuffata” di Panama con la scusa di “proteggere il Canale dall’influenza maligna della Cina”.

“Accordo storico”
Ad appena tre giorni dalla visita del Segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth – anche questa accolta da proteste popolari – per la firma di un accordo con il suo omologo locale Frank Ábrego, il presidente Donald Trump ha avvisato di «aver inviato molte truppe a Panama».

Da parte sua Hegseth ha informato che nei prossimi giorni Washington aumenterà ulteriormente la propria presenza militare dislocando i propri soldati in tre ex basi che erano già state affidate agli Stati Uniti fino al 1999 quando – sulla base degli accordi siglati nel 1977 tra i rispettivi presidenti Torrijos e Carter – il controllo del Canale passò interamente sotto il controllo del governo locale.

L’invio delle truppe statunitensi a Panama avviene in un momento di forte tensione tra Washington e Pechino proprio sullo sfruttamento dello strategico collegamento ed è il risultato di forti pressioni economiche e di minacce dirette di intervento militare dell’amministrazione Trump nei confronti del presidente José Raúl Mulino, espressione di una coalizione di destra.

Grazie ad un accordo siglato dal governo locale con la Casa Bianca e della durata iniziale di tre anni, ora gli Stati Uniti potranno schierare le proprie truppe e i membri di società militari private presso le installazioni controllate da Panama per la realizzazione di attività di addestramento, esercitazioni e compiti umanitari.

Si tratterebbe, secondo l’esecutivo, di una presenza “non permanente” che non violerebbe quindi il trattato di neutralità del Canale secondo cui nessuna potenza straniera può mantenere sul territorio nazionale di Panama forze o basi militari di alcun tipo.

 

Le opposizioni protestano
Ma l’opposizione denuncia quella che Ricardo Lombana, leader del “Movimiento otro camino”, ha definito «un’invasione realizzata senza sparare un colpo, ma grazie all’uso del manganello e delle minacce».

Nonostante le rassicurazioni da parte del presidente Mulino sul fatto che il paese non accetterà mai di concedere basi militari a Washington, il Memorandum d’intesa siglato con la Casa Bianca include riferimenti diretti al fatto che le forze militari statunitensi utilizzeranno per le proprie attività Fort Sherman, la base navale di Rodman e quella aerea di Howard. L’accordo inoltre non fissa alcun limite massimo al numero di soldati statunitensi da “ospitare”.

Di fatto le minacce di Trump hanno riportato il paese ad una condizione di sudditanza diretta da Washington esistente prima del 1999, e l’invio di truppe statunitensi richiama alla mente i bombardamenti e l’invasione americana del 1989, realizzata per rovesciare il regime di Manuel Noriega, che causarono centinaia di morti e la distruzione di interi quartieri della capitale.

Secondo vari sondaggi due terzi dei panamensi disapprovano l’operato del governo Mulino che sembra non solo incapace di frenare gli appetiti statunitensi sul Canale, ma ha anche fatto approvare una impopolare riforma della previdenza sociale e potrebbe ora concedere la riapertura di una grande miniera di rame chiusa nel 2023 dopo massicce proteste ambientaliste.

Come se non bastasse, gli accordi siglati da Washington e Panama – annunciati dopo settimane di negoziati tenuti in gran parte segreti – prevedono che le imbarcazioni militari statunitensi siano sostanzialmente esentate (attraverso un meccanismo di compensazione ancora non del tutto chiaro) dal versamento dei pedaggi dovuti per l’attraversamento del Canale in cambio di non meglio precisate attività di sorveglianza e di sicurezza. Potrebbe essere un primo passo, accusano le opposizioni, verso l’esenzione di tutte le merci americane su cui insistono da mesi Trump e i suoi collaboratori e comunque una ulteriore violazione del trattato di neutralità.

Anche se dopo l’incontro tra Hegseth e Mulino quest’ultimo ha affermato che il membro del governo statunitense avrebbe riconosciuto la “sovranità inalienabile” di Panama sul canale, nella conferenza stampa organizzata mercoledì scorso il segretario Usa alla Difesa non ha fatto alcun cenno al tema e nella versione in inglese della dichiarazione congiunta diffusa dai due governi il passaggio presente in quella in spagnolo è stata eliminata.

Inoltre, nel corso di una riunione del governo americano, Hegseth ha affermato: «Abbiamo firmato diversi accordi storici (…) e stiamo procedendo alla riconquista del canale. La Cina ha avuto troppa influenza». Contemporaneamente Mulino, in visita in Perù, ha affermato che Washington pretendeva non solo la concessione di basi militari permanenti ma anche la cessione di alcuni territori.

Pechino cerca di bloccare la vendita  a BlackRock dei porti sul Canale
L’offensiva dell’amministrazione Trump contro Panama si è indurita dopo che il governo cinese ha annunciato la volontà di opporsi alla vendita ad un consorzio guidato dal fondo di investimento statunitense BlackRock di due porti situati ai due ingressi nel Canale sul Pacifico e sull’Atlantico, da parte di un’impresa sussidiaria della CK Hutchinson Holdings, con sede a Hong Kong.

La vendita delle due strategiche installazioni, annunciata all’inizio di marzo nell’ambito della cessione a BlackRock di un totale di 40 porti in tutto il mondo, sembrava consegnare definitivamente a Washington il controllo commerciale del Canale.

Ma in un clima di crescente tensione alimentato dalla decisione statunitense si imporre dazi draconiani sulle merci cinesi, il governo Pechino ha annunciato la propria opposizione ad autorizzare la cessione delle infrastrutture, che rappresenterebbe una minaccia agli interessi nazionali del gigante asiatico e che per ora è stata rinviata, in attesa del pronunciamento da parte dell’autorità cinese sulla concorrenza.

Per tutta risposta, su pressione della Casa Bianca, il governo panamense ha accusato la Panama Ports Company, che gestisce le attività del Canale ed è controllata dalla CK Hutchinson, di non rispettare i propri obblighi contrattuali.

Mentre la società ha respinto una verifica contabile che suggeriva il mancato pagamento di 1,3 miliardi di dollari dovuti in base alla concessione, il revisore generale dei conti di Panama, Anel Flores, ha annunciato l’intenzione di intentare una causa contro i funzionari governativi che hanno dato il via libera al rinnovo, nel 2021, della concessione alla PPC della gestione dei porti di Balboa e San Cristobal.

Il Canale rallenta
Intanto, a causa della guerra commerciale innescata da Washington, delle tensioni sul controllo del Canale e di una contrazione dei commerci mondiali, il traffico di merci lungo il collegamento tra il Pacifico e l’Atlantico che gestisce il 40% del traffico container degli Stati Uniti e il 5% del commercio mondiale sembra diminuire.

Secondo i dati diffusi nei giorni scorsi dall’autorità amministrativa, a marzo il numero di imbarcazioni commerciali che hanno attraversato il Canale è sceso a una media di 33,7 al giorno dalle 34,8 di febbraio. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria