“Basta chiacchiere, è il momento di risultati concreti”. Questa è stata la dichiarazione fatta da Hilary Brown, rappresentante della Commissione per le riparazioni della CARICOM a New York. Il CARICOM è la Comunità Caraibica, un’area di libero scambio e organizzazione per promuovere l’integrazione e la cooperazione economica nei Caraibi. Raggruppa 15 stati membri ed è stata istituita nel 2013. I Capi di Governo del CARICOM si sono riuniti a Barbados, dal 19 al 21 febbraio 2025, per la loro 48a Riunione Ordinaria, il cui tema è stato: “La forza nell’unità: forgiare la resilienza caraibica, la crescita inclusiva e lo sviluppo sostenibile”. I leader hanno discusso diverse questioni urgenti per la Comunità, tra cui la sicurezza alimentare e nutrizionale, i cambiamenti climatici e la finanza climatica, le questioni di sicurezza, le questioni geopolitiche, le relazioni esterne, le riparazioni, la cancellazione del debito e il Mercato Unico. Tutti temi che si portano avanti dai tempi in cui i coloni razziarono le terrene e le comunità che invasero.

Da questi temi è emerso un piano in dieci punti per la giustizia riparativa che tocca le problematiche che le “ex” colonie ancora oggi devono fronteggiare a causa della speculazione fatta sui loro territori e sui loro abitanti. Si è parlato di pace, ma in un contesto di riarmo globale, si è parlato di giustizia climatica, ma in un’epoca di speculazione energetica e di risorse e si è affrontato il tema del multilateralismo, ma in un contesto di respingimenti forzati sempre più dilaganti. La Presidente della Commissione Europea si è dichiarata disponibile a facilitare un intervento della CARICOM al Parlamento Europeo su diverse questioni, tra cui la creazione di liste nere, dicendo di voler promuovere il dialogo sui programmi di immigrazione, sulle riparazioni e sulla condivisione della capacità satellitare.[1] Dichiarazioni che vanno in contrasto con la realtà dei fatti visto che già nel 2014 la CARICOM aveva chiesto la cancellazione del debito e il sostegno delle Nazioni Europee per affrontare le persistenti crisi sanitarie ed economiche. Più attori, tra cui alcuni negli Stati Uniti, sostengono la necessità di pagamenti individuali ai discendenti di persone ridotte in schiavitù, in accordo con gli studiosi che affermano come solo un quadro di giustizia riparativa potrebbe creare condizioni di parità di sviluppo. Si ritiene inoltre che i cittadini precedentemente schiavizzati nelle economie sviluppate abbiano diritto, per legge, e per diritto morale, a strategie compensative che li riportino nell’ambito dei privilegi a lungo dati per scontati dai loro concittadini bianchi. Si mette così in luce l’urgenza della giustizia riparativa come strategia per promuovere l’accesso economico, nonché la riparazione e il recupero psicologico per le popolazioni di tutto il mondo.

Tuttavia questi passaggi incontrano degli ostacoli sulla loro strada. Per esempio: un portavoce del Ministero degli Esteri britannico, ha riconosciuto il ruolo del Paese nella schiavitù transatlantica, ma ha affermato di non avere intenzione di pagare risarcimenti. “Piuttosto, i torti del passato dovrebbero essere affrontati imparando dalla storia e affrontando le sfide odierne”, ha affermato. Senza riflettere su come le basi per “guardare al futuro” potrebbero partire proprio da un risarcimento. Questo perché i paesi occidentali e le istituzioni continuano a trarre beneficio dalla ricchezza generata dalla schiavitù.

La riunione ordinaria della CARICOM voleva fronteggiare proprio questa tendenza alla negazione. In quella sede i primi ministri e i presidenti riuniti hanno proposto di collaborare con l’Unione Africana per richiedere alla Corte Internazionale di giustizia un parere legale consultivo sulle riparazioni tramite l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La CARICOM e l’Unione Africana hanno unito le forze nella lotta per ottenere riparazioni e Brown ha affermato che questa partnership ha posto il movimento in un “momento decisivo”, poiché permette di alzare una sola voce che chieda azioni concrete e porti avanti il programma delle Nazioni Unite e di altri organismi intergovernativi sulle riparazioni.

I risarcimenti non sono un favore che passivamente viene offerto dai bianchi, il loro scopo è far passare quanto accaduto nel periodo del colonialismo come un crimine contro l’umanità. Considerando anche che l’eredità del mondo moderno occidentale emerge ancora dalle spalle degli schiavi e dei colonizzati. Nasce così la necessità di istituire un tribunale specializzato, tribunale penale istituito ad hoc per indagare su gravi crimini internazionali, per portare avanti l’idea che queste rivendicazioni vadano sancite in un quadro giuridico. Diverse istituzioni, tra cui l’ Unione Europea , hanno concluso che la schiavitù transatlantica è un crimine contro l’umanità. Per questo la CARICOM ha un piano di risarcimento che, tra le altre richieste, prevede trasferimenti di tecnologia e investimenti per affrontare le crisi sanitarie e l’analfabetismo. Far emergere questi punti non è sufficiente, poiché tutti i partiti, solitamente di destra, si oppongono ai risarcimenti. Si appellano al fatto che nessuno dei colonizzatori è ora in vita, quindi non è corretto far ricadere su “terzi” le responsabilità del passato. C’è da dire che gli scenari imperialisti, per quanto siano mutati, non sono acqua passata. Per questo motivo si sostiene che i responsabili, seppur non diretti, debbano rimediare.

Sicuramente il background colonialista è difficile da lasciar andare, poiché Il XVI e il XVII secolo videro l’affermarsi di strutture ideologiche, intellettuali e produttive che addomesticarono la schiavitù come fondamento della vita sociale, economica e politica occidentale.[2] L’Europa colonizzò una parte significativa del mondo, fino all’85% delle terre emerse, riducendo in schiavitù migliaia di persone, deportandole. Traumi che spesso sono ancora vivi nelle menti dei popoli. Nonostante già nel 2001 le Nazioni Unite convocarono la Conferenza Mondiale contro il Razzismo, la Discriminazione Razziale, la Xenofobia e l’Intolleranza Correlata, che doveva essere una presa di coscienza e di responsabilità, solo da poco ci sono state svolte significative. Il 18 marzo 2025, la Corte Internazionale dei Diritti Umani ha riconosciuto giuridicamente i diritti dei popoli indigeni Ecuadoriani, attribuendo allo stato dell’Equador gravi violazioni dei diritti umani e sottolineando l’importanza di tutelare il diritto di conservazione dei popoli e dei territori. È la prima volta che ci si trova davanti ad una sentenza simile, non si può far a meno però di chiedersi come questi tasselli giuridici potranno poi tradursi in azioni globali concrete.

[1] https://caricom.org/communique-48th-regular-meeting-of-the-conference-of-heads-of-government-of-the-caribbean-community-caricom-barbados/

[2] https://www.un.org/en/local-moments-global-movement-reparation-mechanisms-and-development-framework