(il CECOT nella foto wikimedia commons)

Già dalla prima campagna elettorale marchio Trump il tema dell’immigrazione ha svolto un ruolo centrale, sostenendo il meccanismo della costruzione del nemico. Infatti si vede come la caccia agli immigrati irregolari non si fermi neppure alle porte delle scuole o delle chiese, considerate finora luoghi di asilo inviolabili. Si vede anche da come non vi siano problemi a pubblicizzare la prigionia dei deportati usando parole come “persecuzione”, termine usato dalla segreteria Noem, in cui dipinge i deportati ripresi nelle gabbie come “criminali” e “terroristi”. Due etichette impattanti ma che i dati smentiscono: il 75% degli uomini inviati al CECOT di El Salvador non ha precedenti penali. Il 22% degli uomini presenti nella lista ha precedenti penali negli Stati Uniti o all’estero. Per di più per reati non violenti come il furto.

Proprio in questi giorni Nayib Bukele, il leader di El Salvador, ha messo a disposizione di Trump, in cambio di un “affitto” di 20 mila dollari l’anno a detenuto, la sua creatura prediletta: il Cecot, Centro de Confinamiento del Terrorismo. La più grande prigione del Salvador e di tutta l’America Latina, che può ospitare fino a 40 mila persone. È lì che sono finiti i migranti accusati dall’amministrazione Trump di essere terroristi o adepti di gang criminali, messi su un aereo e deportati su due piedi senza rispettare alcuna garanzia prevista dalla legge. Fattore che sta portando, fra le altre cose, ad una crisi costituzionale tra la presidenza e la magistratura Usa. Quel che si immagina possa accadere poi in questa struttura è fuori da ogni parametro di rispetto dei diritti base dell’umanità. Da qualche giorno circola sui social una schermata di Google Maps di uno dei cortili del Cecot, chi lo posta e lo rilancia sostiene che siano chiaramente distinguibili una vasta macchia di sangue e un mucchio di cadaveri, per quanto non si abbiano certezze sulla credibilità di questo fatto, nessuno negli Stati Uniti sta mostrando l’intenzione di indagare. Questo rispecchierebbe il “culmine”, sempre se non arriveranno cose peggiori, di quella che già dal 2016 era la tanto agognata “tolleranza zero” di Trump, che prevedono specifiche restrizioni di accesso al territorio statunitense.

I respingimenti colpiscono soprattutto i musulmani e i messicani “stupratori” e “delinquenti”, come li definiva Trump in campagna elettorale. In realtà sono persone che, seppur cercano di entrare illegalmente negli Usa, scappano da situazioni di violenza dovute prevalentemente alla presenza di gruppi narcotrafficanti che controllano diverse parti del territorio. È inoltre di fama mondiale l’idea di costruire un muro, a carico economico dei messicani, tra Usa e Messico, accompagnata dalle pressioni che vennero fatte per accelerare la revoca del DACA, un programma volto ad evitare il rimpatrio per coloro che erano entrati negli stati uniti da minorenni. La revoca di questo emendamento consentirebbe quindi l’espulsione di centinaia di migliaia di cittadini perfettamente integrati nella società americana. I primi tentativi di pressione del presidente americano non erano andati a buon fine, a causa dell’opposizione nel Congresso, tanto dei democratici quanto degli stessi repubblicani. Così Trump ha scelto di aumentare le truppe al confine con brutali separazioni dei minori dai loro genitori, rinchiudendo i primi in centri di accoglienza e rimpatriando e rimpatriando i secondi. Trump ora, nel 2025, ha rispolverato i suoi vecchi progetti impregnandoli del loro significato originale: dividere i legittimi cittadini superiori dai barbari impuri. Nonostante due residenti irregolari su tre siano entrati negli Stati Uniti regolarmente, così come avviene anche in Europa[1].

foto di La Prensa Gráfica Noticias de El Salvador

Il programma di deportazioni è iniziato come un trend social, con la pubblicazione sul sito della Casa Bianca, di fotografie di persone incatenate al momento dell’imbarco su aerei militari per essere rimpatriate. Vengono adottate misure già esistenti in altre amministrazioni e portate ora allo scoperto, mostrando come la violazione di diritti umani non sia un problema. N on che lo sia mai stato, ma ora viene eliminata qualsiasi possibilità di “far finta di non sapere”, rendendo più che palese come non importi fare le cose di nascosto, tanto nessuno muoverà azioni concrete per stabilire una legalità effettiva. Questi trattenimenti, insieme alla deportazione di 11 milioni di persone, oltre a sollevare un ragionevole dubbio sul concetto di democrazia, richiedono risorse enormi, economiche e organizzative, oltre alla collaborazione dei paesi di origine che dovrebbero riaccoglierli.

Trump così cancella, giorno dopo giorno, i programmi federali a sostegno dell’inclusione, dell’eguaglianza e della diversità culturale, chiudendo con un tratto di penna gli uffici pubblici che se ne occupano e licenziando i funzionari che vi lavoravano. La pubblicizzazione così esplicita è indizio di volontà di veicolare l’opinione pubblica. Lo scopo potrebbe essere quello di avere poi un sostegno in vista di possibili variazioni costituzionali. Nonostante una precedente sentenza della Corte Suprema abbiano espresso dubbi sulla costituzionalità della decisione, Trump ha affermato che la sua amministrazione sta “valutando” come inviare anche i “criminali nostrani” (americani) in prigioni straniere, quindi persone statunitensi ritenute una minaccia per il popolo americano.

Cittadini statunitensi non accusati di alcun crimine, alcuni già deportati in El Salvador, e Trump afferma che secondo lui debbano essere costruiti molti altri campi per accogliere l’aumento dei numeri proveniente dagli Stati Uniti. Non importa che l’invio di cittadini statunitensi in prigioni all’estero vada in contrasto con norme stesse della costituzione americana. L’asticella di criterio per essere un nemico si abbassa sempre di più, senza rispettare i giusti procedimenti giudiziari. Il presidente ha ora ordinato ai dipartimenti della Sicurezza Interna e della Giustizia di arrestare, trattenere, mettere in sicurezza ed espellere ogni migrante venezuelano di 14 anni o più che sia ritenuto appartenere al Tren de Aragua e che non abbia la cittadinanza statunitense o la residenza permanente, descritti come “i venezuelani del Texas”. In questo però il 19 aprile la Suprema corte degli Stati Uniti ha ordinato all’amministrazione Trump di non espellere i migranti in questione, poiché viene usata una legge antica che consente al governo di espellere cittadini di Paesi considerati “nemici” durante periodi di guerra. La vicenda solleva forti interrogativi sull’uso delle leggi d’emergenza per fini migratori e sul trattamento dei richiedenti asilo provenienti da Paesi in crisi.[2] Tuttavia solo i tribunali con giurisdizione sul centro di detenzione del Texas, in cui erano trattenuti i migranti, avranno il potere di intervenire e avere l’ultima parola. Si può dire che giustizia e trasparenza siano due concetti oramai lontani e che tutte quelle promesse che portava avanti il sogno americano si stan sempre più sgretolando in una lotta mediatica per riconquistare una legittima egemonia.

NOTE

[1] Center for Migration Studies di New York

[2] https://www.rainews.it/articoli/2025/04/usa-corte-suprema-sospende-nuove-deportazioni-volute-da-trump-270a2b66-af11-433c-a80b-b7c0b9b4d871.html