Pagine Esteri – Quando giovedì scorso Donald Trump ha comunicato la rimozione di Michael Waltz dal ruolo di Consigliere per la Sicurezza Nazionale, in mancanza di una motivazione esplicita tutti hanno pensato che la decisione fosse dovuta al passo falso compiuto dal membro del team presidenziale nell’includere inavvertitamente un giornalista in una chat riservata su Signal nella quale si discutevano i piani di attacco di Washington contro gli Houthi yemeniti.
Il presidente aveva ripetutamente difeso Waltz, anche se poi era emerso che il suo consigliere era avvezzo ad un uso spregiudicato delle chat e dei social al di là del grave episodio specifico.
L’inchiesta del Washington Post
Tutto sembrava finire lì. Durante lo scorso fine settimana, però, un’inchiesta del Washington Post ha rivelato che la rimozione di Waltz – nel frattempo nominato ambasciatore alle Nazioni Unite – non è dovuta tanto al suo coinvolgimento nel cosiddetto “chatgate”, quanto soprattutto al fatto che Trump avrebbe scoperto che il responsabile della Sicurezza Nazionale “tramava” alle sue spalle con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per coinvolgere il suo paese in un attacco contro l’Iran diretto a distruggere le infrastrutture del suo programma nucleare.
Allo scopo Tel Aviv ha realizzato negli ultimi anni una sorta di corridoio aereo sicuro per il suoi caccia, a colpi di bombardamenti su Siria e Iraq.
Secondo il quotidiano, che cita fonti interne alla stessa amministrazione statunitense, nonostante a febbraio il presidente avesse già chiarito allo stesso premier israeliano in visita a Washington di aver optato per una continuazione della via diplomatica (proprio nelle scorse settimane si sono svolti i primi colloqui indiretti in Oman) per raggiungere un accordo con l’Iran, Waltz avrebbe continuato a esplorare con Netanyahu, senza avvisare Trump, varie opzioni dirette a colpire militarmente Teheran.
«Stava cercando di spostare la politica americana verso una direzione che il presidente non aveva approvato» ha spiega al Washington Post una delle fonti citate, che ha voluto rimanere anonima.
Un’altra fonte, sentita dal giornale di proprietà di Jeff Bezos, ha addirittura accusato Waltz – che sosteneva sin dal principio un approccio aggressivo anche nei confronti della Russia – di essere un fanatico dell’uso della forza e di lavorare di fatto per Netanyahu all’interno dell’amministrazione statunitense.
Una volta venuto a conoscenza delle manovre dell’ex ufficiale dei Berretti Verdi, l’inquilino della Casa Bianca sarebbe andato su tutte le furie e avrebbe quindi deciso di sollevarlo dal suo incarico. Sulla decisione avrebbero pesato anche le numerose frizioni tra il Consigliere per la Sicurezza ed altri membri dello staff presidenziale, in particolare il segretario di Stato Marco Rubio e la coordinatrice Susie Wiles.
Dopo la caduta di Bashar Assad ad opera dei movimenti jihadisti e l’indebolimento del movimento sciita Hezbollah, Trump e il suo staff non riterrebbero più l’Iran un pericolo imminente, e vorrebbero almeno per il momento evitare di ricorrere all’opzione militare diretta contro Teheran – preferendo attaccare gli Houthi in Yemen – anche per non irritare Mosca, con cui l’amministrazione statunitense spera di arrivare ad un compromesso per concentrare i propri sforzi contro Pechino. Per quanto fortemente indebolito dalla crisi interna e dal venir meno di alcuni dei suoi tradizionali alleati in Medio Oriente, l’Iran potrebbe inoltre costituire un obiettivo rischioso da colpire visto il suo potenziale militare.

Mike Waltz
Secondo le fonti interne all’amministrazione sentite dal Washington Post, il vicepresidente J.D. Vance avrebbe tentato di sostenere Waltz dopo che era emersa l’inclusione del direttore della rivista The Atlantic nella chat sulla pianificazione e il coordinamento dell’azione militare contro lo Yemen. Per dargli manforte, Vance aveva incluso l’ex militare nella delegazione da lui guidata in Groenlandia, territorio che Trump continua a minacciare rivendicandone l’annessione.
Dopo la rimozione dell’ex deputato repubblicano della Florida – che in qualità di rappresentante all’Onu continuerà comunque a far parte dell’esecutivo, seppure con un ruolo di secondo piano – il cruciale incarico è stato affidato ad interim a Marco Rubio ed ora non è chiaro se verrà di nuovo assegnato a qualcun altro. Trump, sempre più decisionista e convinto di essere il “miglior consigliere di se stesso”, avrebbe infatti espresso al suo staff la volontà di fare a meno del tradizionale Consiglio per la Sicurezza Nazionale composto da esperti politici ed ex-militari di livello medio-alto che in qualche modo condizionano le scelte presidenziali.
L’opzione militare rimane sul terreno
Da parte sua il premier israeliano Netanyahu, tramite il suo ufficio, ha dichiarato di aver sì incontrato Waltz prima del suo appuntamento con Trump nello Studio Ovale, ma ha negato di aver avuto un “intenso coordinamento” con l’ormai ex Consigliere del presidente.
Israele continua comunque a premere per un attacco militare contro Teheran. Dopo che nei giorni scorsi un missile balistico lanciato dagli Houthi ha colpito l’aeroporto di Tel Aviv – sfuggendo al doppio tentativo di intercettazione da parte della contraerea e del sistema antimissile – non solo alcuni esponenti del governo, ma anche Benny Gantz, leader della coalizione “Unità nazionale” all’opposizione, ha affermato che i reali responsabili dell’attacco sono proprio gli iraniani, chiedendo a Netanyahu di “svegliarsi”.
Intanto il quarto round dei colloqui sul programma nucleare iraniano, previsto sabato scorso a Roma, è stato rimandato. Due giorni prima la Casa Bianca aveva minacciato sanzioni secondarie nei confronti di qualsiasi privato o impresa che decidano di acquistare petrolio o derivati da Teheran.
Per quanto finora l’amministrazione Trump abbia perseguito la via diplomatica per raggiungere un accordo con Teheran simile a quello già firmato nel 2018, l’opzione militare rimane sul terreno, soprattutto se dovesse fallire il tentativo di Washington di appeasement con Mosca e considerando la forte influenza di Tel Aviv sulle decisioni del presidente. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria