Donald Trump ha scelto l’Arabia Saudita come prima tappa all’estero del suo nuovo mandato presidenziale, confermando la centralità del Golfo nella sua visione della politica estera americana. L’obiettivo dichiarato è impressionante: mille miliardi di dollari in quattro anni destinati alle imprese e grandi compagnie statunitensi.

Non è la prima volta. Nel 2017, durante il suo primo mandato, Trump scelse sempre l’Arabia Saudita per l’esordio internazionale, incassando promesse per 450 miliardi di dollari. Stavolta, rivendica di aver alzato la posta. “L’ultima volta hanno messo 450 miliardi. Questa volta sono più ricchi. Così ho detto: ‘Verrò se darete mille miliardi alle compagnie statunitensi’”, ha dichiarato candidamente, confermando una visione della diplomazia fondata sul baratto economico.

Con il a dir poco controverso principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, Trump discuterà di un pacchetto di accordi commerciali e industriali senza precedenti. Solo nel settore della difesa, gli Stati Uniti si attendono firme per almeno 100 miliardi di dollari. Il resto riguarderà settori strategici: nucleare civile, infrastrutture e intelligenza artificiale. A ciò si aggiunge una trattativa sul petrolio: Washington potrebbe offrire tecnologie avanzate in cambio di un aumento della produzione saudita, con lo scopo dichiarato di contribuire alla “stabilizzazione dei prezzi energetici globali”. Ma a beneficiarne sarebbero, soprattutto, le aziende americane – e non poche legate direttamente o indirettamente alla galassia finanziaria vicina a Trump.

Che l’interesse sia prima di tutto economico è testimoniato dal peso della delegazione al seguito: tra gli altri, Jensen Huang di Nvidia, Larry Fink di BlackRock, Arvind Krishna di IBM e, secondo “Axios”, persino Sam Altman di OpenAI. La loro presenza al Saudi-US Investment Forum rafforza l’impressione che il viaggio sia più simile a una fiera d’affari che a una missione diplomatica.

Ma la dimensione geopolitica non è del tutto assente. Trump punta a rilanciare gli Accordi di Abramo, con l’obiettivo di normalizzare i rapporti tra Arabia saudita e Israele. Tuttavia Riad continua a esigere progressi concreti sulla questione palestinese, a partire dalla creazione di uno Stato indipendente, una condizione che l’attuale governo israeliano non intende in alcun modo prendere in considerazione. Pertanto l’annuncio di Trump su Gaza e la Palestina di cui si è parlato nei giorni scorsi – definito “grande” ma ancora avvolto nell’incertezza – potrebbe rivelarsi un gesto simbolico più che una svolta storica.

Domani il presidente parteciperà anche al vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo, il primo presidente USA a farlo. Tra i temi sul tavolo, la sicurezza regionale, il nucleare iraniano e la questione yemenita.  La missione proseguirà il 15 maggio in Qatar, altro attore chiave della diplomazia e delle finanze mediorientali. Con l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani, Trump discuterà della crisi di Gaza, ma le aspettative sono basse. Ma saranno annunciati altri importanti accordi: si parla di intese tra i 200 e i 300 miliardi di dollari, incluso un contratto con Boeing e uno da 2 miliardi per la vendita di droni MQ-9.

Poi c’è il clamoroso “dono” dell’emiro al presidente americano: un Boeing 747 che dovrebbe diventare un nuovo Air Force One. Un gesto che ha scatenato forti polemiche negli Stati Uniti, anche tra i Repubblicani, per l’opportunità di un simile omaggio personale a un presidente in carica. Trump, incurante delle critiche, lo vuole assicurando che sarà “completamente gratuito”.

Il 16 maggio, infine, la carovana presidenziale approderà negli Emirati, dove il leader Mohammed bin Zayed ha già promesso investimenti per 1.400 miliardi di dollari negli Stati Uniti entro i prossimi dieci anni. L’incontro dovrebbe produrre altri memorandum d’intesa e consolidare l’immagine di Trump come mediatore d’affari globale, più che come leader internazionale.