Pagine Esteri – Mercoledì il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, rispondendo al deputato della Sinistra Repubblicana Catalana Gabriel Rufián che lo accusava di commerciare «con uno stato genocida come Israele» ha risposto secco: «Non commerciamo con uno Stato genocida. Non lo facciamo».
Israele non l’ha presa bene e per l’ennesima volta ha convocato l’ambasciatrice di Madrid, Ana María Salomón Pérez, per redarguirla.

Ma i partiti di sinistra e i coordinamenti di solidarietà con la Palestina continuano ad accusare il premier spagnolo di incoerenza, perché se da una parte si è espresso più volte criticamente nei confronti delle politiche di Israele, dall’altra ha dato scarsi segnali di voler effettivamente allentare la salda alleanza in atto con lo “stato ebraico” a livello economico e militare.

Sicuramente Sánchez – sotto la costante pressione esercitata dai partiti di sinistra spagnoli, baschi, catalani e galiziani che ne sostengono la maggioranza – ha realizzato dei passi che molti suoi omologhi europei si sono ben guardati dal compiere. Tra le altre cose, il leader socialista ha condannato lo sterminio dei palestinesi di Gaza, nel 2024 ha riconosciuto lo “stato di Palestina” ed in seguito ha sostenuto la causa presentata dal governo sudafricano contro Israele per genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Onu.

Ma le ripercussioni pratiche di queste iniziative, mentre Israele continua a praticare nella più completa impunità lo sterminio e la cacciata dell’intera popolazione di Gaza dalla sua terra, sono state finora scarse se non nulle, non mancando comunque di far infuriare la dirigenza di Tel Aviv.

“Mai così tanto commercio di armi con Israele come dal 2023”
Anzi, secondo un rapporto realizzato dal “Centro Delàs de Estudios por la Paz”, un centro studi con sede a Barcellona, e intitolato “Beneficio collaterale”, dal 7 ottobre del 2023 ad oggi Madrid ha realizzato ben 134 operazioni di compravendita di armi con Israele. Di queste, 46 sono stati contratti affidati dal governo spagnolo ad industrie ed imprese israeliane e 88 sono stati gli invii alla macchina militare israeliana di armi e munizioni.

Un volume di affari tale che ha spinto i ricercatori del Centro Delàs a dire che mai dal 1986, anno in cui i due paesi hanno stretto relazioni bilaterali ufficiali, si era registrato un flusso commerciale tra Spagna e Israele nel campo degli armamenti come quello contabilizzato negli ultimi 19 mesi.

Solo recentemente, dopo fortissime proteste e la minaccia di uscire dalla maggioranza da parte di Izquierda Unida – che nel governo è rappresentata da Sira Rego, di origini palestinesi – il premier ha sconfessato il ministro degli Interni Fernando Grande-Marlaska ed ha ordinato la rescissione di un contratto che prevedeva l’acquisto dalla società israeliana IMI Systems di munizioni, dirette alla Guardia Civil, per un valore complessivo di 6 milioni di euro. Ma sono vari i contratti simili che andranno a buon fine nei prossimi mesi.

Pedro Sánchez ha affermato che il rapporto, sulle quali si basavano le accuse di Gabriel Rufián, conterrebbe “innumerevoli errori”, anche se non è stato in grado di smentire nessuno dei dati riportati, tratti da documenti pubblici.

Il rapporto sottolinea che mai prima d’ora aziende spagnole o con sede in Spagna «hanno sviluppato così tanti progetti congiunti con aziende israeliane» e «mai prima d’ora l’industria israeliana era riuscita ad aggiudicarsi così tanti contratti dal Ministero della Difesa spagnolo».
I ricercatori del Centro Delàs hanno verificato che, dall’ottobre 2023 al 28 febbraio 2025, la Spagna ha importato da Israele prodotti con codice 93 (“armi e munizioni”) per un valore di oltre 15 milioni di euro, oltre ad altri 21,6 milioni di euro con codice 8710 (“carri armati e altri veicoli corazzati da combattimento” e loro parti).
In totale, dall’ottobre 2023, la Spagna ha assegnato più di quaranta contratti di acquisto ad aziende israeliane produttrici di armi, a loro filiali in Spagna o ad aziende spagnole che producono su licenza israeliana, per un valore complessivo di più di un miliardo di euro.

Secondo l’istituto di ricerca indipendente, inoltre, sulle esportazioni di armi e materiali bellici spagnoli in Israele il governo di Madrid avrebbe mentito, ammettendo solo un quinto di quelle effettivamente avvenute, per un totale di più di 5 milioni di euro, valore confermato dall’Ufficio delle Dogane di Israele.


La Spagna crocevia delle armi inviate in Israele dagli Stati Uniti
Martedì scorso il Ministro degli Esteri, il socialista José Manuel Albares, è tornato ad affermare che, dal 7 ottobre 2023, la Spagna non ha concesso nuove licenze per l’esportazione di armi verso Israele, «né permetteremo lo scalo di navi che trasportano armi verso Israele».
Se è vero che a causa della massiccia protesta dei movimenti sociali e dei sindacati il governo spagnolo ha dovuto impedire l’attracco nei propri porti di alcune imbarcazioni cariche di armi dirette ad Israele, organizzazioni come Progressive International e Palestinian Youth Movement denunciano che molte altre navi simili hanno potuto fare scalo indisturbate nel sud del paese.

Per quanto riguarda il transito di materiale militare soprattutto statunitense verso Israele, il rapporto del Centro Delàs sottolinea che «è la norma e non l’eccezione», e che avviene «attraverso rotte regolari» che fanno scalo nei porti spagnoli. «Il governo dice di non essere a conoscenza di questo transito. Non lo sa perché non guarda, e non guarda per poter dire di non sapere, altrimenti dovrebbe prendere provvedimenti», ha spiegato Alejandro Pozo, ricercatore del Centro Delàs, alla presentazione del rapporto a Madrid.

Eduardo Melero, professore di Diritto Amministrativo presso l’Università Autonoma della capitale, coautore del rapporto, denuncia che c’è «una campagna di disinformazione da parte del governo».
«L’imposizione di un embargo completo sulle armi è essenziale. L’Unione Europea ha imposto 16 pacchetti di sanzioni alla Russia, ma nessuno a Israele. Un embargo globale potrebbe applicare molte più misure per garantire che non vi siano scambi o transiti e potrebbe vietare il rifornimento di carburante per gli aerei militari israeliani che fanno scalo in Spagna» ha spiegato il ricercatore.

Un aumento record delle spese militari
Il governo spagnolo è sotto accusa, da parte dei movimenti sociali e dei partiti di sinistra, anche a causa dell’incremento record della spesa militare appena deciso.

Tutti i partiti di sinistra che sostengono la coalizione di governo hanno in queste ultime settimane protestato contro la decisione di Pedro Sánchez di portare le spese militari al 2% del Prodotto Interno Lordo, avvisando che si opporranno a qualsiasi taglio della spesa sociale.

I responsabili socialisti dell’esecutivo, compreso il premier, hanno rassicurato sul fatto che i 10,5 miliardi di euro di aumento non incideranno «neanche per un centesimo» su istruzione, lavoro, pensione, trasporti e sanità ed anzi hanno fatto notare che l’espansione della spesa per le armi e la difesa porterà ad un aumento dell’occupazione e quindi del benessere sociale.

I deputati di Podemos, però, hanno affermato che «il piano di riarmo non garantisce la pace, ma ci avvicina sempre di più ad uno scenario di guerra (…) provocando la sfiducia delle altre potenze e accelerando una corsa agli armamenti generalizzate dalle incerte conseguenze».

Secondo la Nato, la Spagna è il paese dell’Alleanza Atlantica che finora ha speso di meno per la Difesa, investendo nel comparto “soltanto” l’1,25% del suo Pil. Ma lo stesso governo di Madrid chiarisce che nel conteggio vanno incluse varie voci di spesa che formalmente non ricadono nel bilancio del ministero della Difesa, affermando che il paese spende già l’1,43% della sua ricchezza e che alla fine di quest’anno raggiungerà il livello della media della Nato (e di un paese come l’Italia, ad esempio).
Infatti, anche se la spesa militare dei membri della Nato nel 2024 ha toccato quota 2,6% (con un aumento del 19% rispetto al 2023), se si escludono dal conteggio gli Stati Uniti la media scende al 2%, anche se Donald Trump pretende dai suoi “alleati” che arrivino presto addirittura al 5%.

Secondo Pedro Sánchez, che lo scorso 22 aprile ha annunciato i nuovi obiettivi, il paese arriverà al 2%, aderendo alla richiesta da parte dell’Unione Europea, già alla fine di quest’anno e non nel 2029 come precedentemente stabilito. In realtà, secondo il Centro Delàs, alla fine dell’anno la Spagna raggiungerebbe una quota reale di spesa militare pari al 2,48% del suo Pil, con uno stanziamento complessivo di 40,46 miliardi di euro.

Secondo i dati forniti dall’Istituto Juan Sebastian Elcano, quest’anno Madrid aumenterà le spese militari di una quota pari all’aumento deciso nei dieci anni precedenti, dal 2014 al 2024, periodo in cui comunque il settore “difesa” del bilancio statale è già cresciuto del 107%. – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria