Nel pomeriggio di mercoledì 21 maggio, una delegazione composta da 25 ambasciatori e diplomatici di 31 Paesi — tra cui Italia, Canada, Egitto, Giordania e Regno Unito — giornalisti ed esponenti politici dell’Autorità nazionale palestinese, è stata oggetto di colpi d’arma da fuoco mentre visitava il campo profughi di Jenin, su invito dell’Autorità Palestinese. Della delegazione faceva parte anche il vice console italiano a Gerusalemme Alessandro Tutino. Nessuno è rimasto ferito nell’incidente. Il ministro degli esteri, Antonio Tajani, ha fatto sapere di aver convocato l’ambasciatore israeliano in Italia per chiedere spiegazioni.

Secondo la versione dell’esercito israeliano, i soldati hanno sparato colpi di avvertimento dopo che la delegazione avrebbe “deviato dal percorso approvato ed era entrata in un’area in cui non erano autorizzati ad essere”, all’interno di una “zona di combattimento attivo”. I militari hanno dichiarato che l’ingresso del gruppo era stato coordinato in anticipo e che erano state date istruzioni precise per seguire un itinerario concordato. Un video girato dai testimoni mostra che i soldati, seppur in lontananza, mirare verso le persone e non verso l’alto, come invece sostengono.

La versione ufficiale è stata smentita infatti da diversi testimoni oculari. Un diplomatico presente ha affermato: “Eravamo un grande gruppo, almeno 30 persone, tra diplomatici, giornalisti locali e rappresentanti dell’Autorità Palestinese. Ci era stato detto che tutto era stato concordato con l’esercito”. Il diplomatico ha aggiunto che i colpi — almeno sette, secondo alcuni presenti — sono stati esplosi mentre metà del gruppo si stava già allontanando verso le auto, e che non vi era alcuna presenza visibile di soldati sul posto: “La sparatoria è venuta fuori dal nulla. Non abbiamo nemmeno visto un soldato”.

L’episodio non è isolato. Incidenti simili si verificano con preoccupante regolarità a Jenin, dove spesso vengono presi di mira giornalisti, delegazioni ufficiali e semplici visitatori. È lo stesso luogo dove, nel maggio 2022, fu uccisa la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh mentre documentava un’operazione militare israeliana, nonostante fosse chiaramente identificabile come membro della stampa.

Il campo profughi e la città di Jenin si trovano in territorio palestinese, nella Cisgiordania occupata. E proprio qui, da mesi, l’esercito israeliano sta portando avanti una campagna sistematica di demolizione di case, arresti massicci e sfollamenti forzati. Il tutto, impedendo la presenza di testimoni, nel tentativo di mantenere sotto silenzio mediatico ciò che accade sul campo. In questo contesto, la presenza di osservatori internazionali è tutt’altro che gradita.

In una nota, l’esercito israeliano ha espresso il proprio “rammarico per l’inconveniente causato” e ha annunciato che il capo dell’amministrazione civile incontrerà i diplomatici coinvolti per discutere i risultati dell’indagine interna. Pagine Esteri