La riduzione di circa il 20% del valore del petrolio negli ultimi mesi, causata per la maggior parte dalle politiche tariffarie del presidente statunitense Donald Trump, sta generando effetti negativi sull’economia iraniana. Teheran, mentre affronta le implicazioni geopolitiche legate ai colloqui sul nucleare con gli Stati Uniti, deve anche mantenere in equilibrio i conti pubblici, direttamente legati in larga misura alle esportazioni di petrolio.

Il bilancio statale per quest’anno (iniziato il 21 marzo – anno persiano) contiene importanti squilibri. Nelle previsioni, il prezzo di riferimento del petrolio per barile è stato fissato a 57,50 euro (65,2 dollari), ma la combinazione tra il calo dei prezzi globali e gli sconti forzati imposti dalle sanzioni occidentali sta facendo deragliare le stime.

Il Fondo Monetario Internazionale ha già stimato al ribasso le previsioni per il 2025 e il 2026. Ciò inevitabilmente porterà a una situazione in cui la crescita debole e l’inflazione alta, in primis, danneggeranno ancora di più il potere d’acquisto delle famiglie.

Con entrate petrolifere inferiori alle attese, il governo dovrà affrontare una pressione finanziaria crescente. Tradizionalmente, in situazioni simili, Teheran ha sacrificato la spesa per investimenti, indebolendo nel medio periodo il tessuto economico. Inoltre, la scarsa trasparenza del bilancio petrolifero rende improbabile il raggiungimento degli obiettivi pianificati, aggravando le inefficienze.

L’amministrazione guidata dal presidente Masoud Pezeshkian si trova davanti a due possibili strategie: la riforma dei sussidi energetici e la vendita di imprese statali. Tuttavia, entrambe le opzioni sono rischiose: la prima potrebbe scatenare tensioni sociali, mentre la seconda rischia di rafforzare i conglomerati parastatali, riducendo l’efficacia dell’intervento pubblico.

Per affrontare la criticità, il governo di Pezeshkian ha scelto di adottare misure più mirate: sono stati sospesi i sussidi in denaro per 17 milioni di cittadini appartenenti ai redditi più alti. La misura ha ridotto del 25% il volume complessivo dei sussidi. L’obiettivo è concentrare le risorse sulle fasce realmente bisognose.

Parallelamente, Teheran sta promuovendo una transizione energetica orientata al solare. Il piano governativo prevede l’installazione di 30.000 megawatt di capacità solare entro il 2029, puntando su impianti decentralizzati di piccola scala.

L’iniziativa, ambiziosa per alcuni esperti, dovrebbe ridurre la dipendenza da combustibili fossili, alleggerire i blackout industriali e ristrutturare i sussidi a favore delle casse pubbliche. Inoltre, coinvolgendo attivamente l’industria locale, dovrebbe generare benefici diffusi in termini di occupazione e produttività.

Secondo esperti, è molto probabile che i prezzi del petrolio rimangano volatili nel prossimo futuro, poiché gli investitori sono in attesa di aggiornamenti sui dazi, sui negoziati tra Stati Uniti e Iran e sui colloqui per porre fine alla guerra in Ucraina.

Un elemento parzialmente favorevole per Teheran riguarda le esportazioni petrolifere. Attualmente, l’Iran sta esportando oltre 1,5 milioni di barili al giorno, superando i 1,3 milioni stimati nel bilancio. Questo incremento quantitativo mitiga solo in parte l’impatto dei prezzi bassi e resta fragile, specie alla luce dell’inasprimento delle sanzioni da parte dell’amministrazione Trump.

In parallelo, i colloqui sul nucleare tra Iran e Stati Uniti stanno producendo un cauto “ottimismo”. L’effetto più visibile è l’aumento del valore della moneta locale, rial. Anche in assenza di un accordo definitivo, una progressiva de-escalation potrebbe alleggerire la pressione economica, riaprendo i canali commerciali internazionali e sbloccando miliardi di fondi iraniani congelati all’estero.

Tuttavia, l’incertezza geopolitica pesa enormemente. La guerra dei dazi, le tensioni tra Cina e Stati Uniti e la competizione energetica con la Russia complicano l’accesso ai mercati asiatici, minacciando le quote di mercato iraniane.

Le prospettive per il 2025 restano fosche. Gli esperti concordano sul fatto che l’Iran si avvierà verso un altro significativo deficit di bilancio. La prosecuzione dell’inflazione, unita alla stagnazione economica, continuerà a erodere il potere d’acquisto delle famiglie e a ostacolare le politiche redistributive.

In tale contesto, l’unica leva strategica realmente efficace sembra essere la diplomazia. Un esito positivo dei colloqui sul nucleare potrebbe rappresentare il punto di svolta per un’economia in affanno, restituendo al governo iraniano gli strumenti per una gestione più autonoma delle risorse e per un rilancio dello sviluppo. Ma il margine di manovra è stretto e il tempo, come sempre, è un fattore cruciale.

Ovviamente non tutto dipende da Teheran. sembra evidente che i colloqui non porteranno a nulla se Washington continua nelle sue contraddizioni e insiste affinché Teheran interrompa le sue attività di arricchimento dell’uranio per l’uso civile.