Un verdetto della corte di New York sul commercio internazionale ha bloccato ieri sera i super dazi sulle importazioni negli Stati Uniti varati da Donald Trump il 2 aprile scorso, nel cosiddetto “Liberation Day”, nonché quelli decretati all’inizio dell’anno contro Cina, Messico e Canada, ufficialmente per contrastare l’ingresso dell’oppiaceo fentanyl negli Stati Uniti.
Per Trump e la sua idea di rendere di nuovo grande l’America (Make America Great Again) riportandovi la manifattura soprattutto grazie ai dazi sulle importazioni si tratta di una sconfitta politica bruciante. La decisione dei giudici è arrivata su richiesta di 12 stati, guidati dall’Oregon, e associazioni imprenditoriali, a testimonianza della contrarietà al protezionismo di una parte rilevante degli Stati Uniti.
Il portavoce della Casa bianca, Kush Desai, ha reagito criticando duramente la magistratura, affermando che «non spetta ai giudici non eletti decidere come affrontare adeguatamente un’emergenza nazionale».
L’amministrazione repubblicana – attraverso il dipartimento di giustizia – ha immediatamente fatto ricorso contro la sentenza, che dunque non riporta ancora il sereno sui mercati internazionali sconvolti dall’ondata di super-dazi del “Liberation Day” (in seguito sospesi per 90 giorni in vista di possibili accordi commerciali bilaterali che l’amministrazione Trump dovrebbe raggiungere coi singoli paesi).
Perché l’alt dei giudici
Secondo le toghe, che hanno deciso all’unanimità (tre su tre) i poteri previsti in caso di “emergenza nazionale” utilizzati da Trump – bypassando il parlamento – non potevano essere utilizzati dal presidente per varare la gran parte dei dazi fin qui approvati sulle importazioni delle merci dalla Cina e dal resto del mondo. Trump avrebbe dunque agito contro la Costituzione sia avendo utilizzato una legge che non gli attribuiva alcun potere sui dazi, sia per aver bypassato il parlamento.
La corte di Manhattan sul commercio internazionale ha spiegato che: «la corte non interpreta l’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) come atto a conferire tale autorità illimitata e annulla le tariffe contestate imposte ai sensi dello stesso». Questo sostanzialmente perché lo International Emergency Economic Powers Act non contiene alcun riferimento ai dazi come strumento da poter utilizzare in caso di “emergenza nazionale”.
Secondo i giudici:
Lo IEEPA non autorizza nessuno degli ordini tariffari mondiali, di ritorsione o relativi ad attività commerciali. Gli ordini tariffari mondiali e di ritorsione eccedono qualsiasi autorità concessa al Presidente dallo IEEPA per regolamentare le importazioni tramite tariffe. I dazi relativi al commercio sono inefficaci perché non affrontano le minacce indicate in tali ordini.
Che succede ora
L’ambasciatore di Pechino negli Stati Uniti, Xie Feng, ha reagito alla sentenza durante un evento presso l’ambasciata cinese, dichiarando al Washington Post che il suo governo non vuole una guerra tariffaria con nessun paese perché «pensiamo che sarebbe un gioco a somma zero; nessuno ne uscirebbe vincitore». Xie ha aggiunto che la Cina è «fermamente contraria ai dazi, ma ovviamente quando ci vengono imposti, non c’è altra scelta che reagire».
Il ricorso presentato immediatamente dall’amministrazione Trump contro la decisione dei giudici lascia il commercio internazionale in un clima di incertezza e dunque, al momento, non cambia nulla per i governi e le aziende, che continueranno a studiare come dirigere altrove parte del loro export o come indirizzarlo verso il ricco mercato americano partendo però da paesi terzi gravati da dazi meno pesanti.
Per la politica economica e tariffaria dell’amministrazione Trump si apre invece una fase, se possibile, ancora più caotica dei mesi che hanno accompagnato il varo di dazi d’ogni genere, contro tutti. Il prossimo passaggio potrebbe essere il giudizio sui dazi di Trump da parte di una corte federale, o la decisione potrebbe essere demandata direttamente alla Corte suprema.
Secondo quanto riporta la CNN:
La corte di Manhattan si è pronunciata a favore di un’ingiunzione permanente, che potrebbe potenzialmente bloccare i dazi globali di Trump prima ancora che vengano raggiunti “accordi” con la maggior parte degli altri partner commerciali. La corte ha disposto una finestra temporale di 10 giorni di calendario per l’emissione di provvedimenti amministrativi “per rendere effettiva l’ingiunzione permanente”. Ciò significa che la maggior parte – ma non la totalità – dei dazi di Trump verrebbe bloccata se la sentenza venisse recepita in appello e, potenzialmente, anche presso la Corte suprema.
L’ordinanza di ieri sera sospende i dazi del 30 per cento imposti da Trump sulla Cina, i dazi del 25 per cento su alcuni beni importati da Messico e Canada e i dazi universali del 10 per cento sulla maggior parte dei beni in arrivo negli Stati Uniti. Non incide, tuttavia, sui dazi del 25 per cento su auto, ricambi auto, acciaio o alluminio, che erano soggetti alla Sezione 232 del Trade Expansion Act, una legge diversa da quella citata da Trump per le sue più ampie misure commerciali.