Mentre i negoziati per una tregua a Gaza tra Israele e Hamas si trascinano tra accuse reciproche e veti incrociati, questa mattina almeno 31 palestinesi sono stati uccisi nei pressi di un punto di distribuzione degli aiuti umanitari a Rafah, nel sud dell’enclave, secondo quanto riportato dalle autorità sanitarie locali. Si tratta dell’ennesimo massacro figlio del blocco israeliano alla distribuzione degli aiuti da parte delle Nazioni unite e delle ong umanitarie internazionali.
L’attacco si è verificato vicino a un centro di raccolta gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), l’organizzazione americana sostenuta da Washington e Tel Aviv, che ha iniziato le sue operazioni nella Striscia una settimana fa. “Ci sono martiri e feriti. È una situazione tragica. Consiglio alla popolazione di non recarsi più ai punti di distribuzione degli aiuti”, ha dichiarato sconsolato Abu Tareq, un paramedico dell’ospedale Nasser di Khan Younis, dove sono stati trasportati molti dei feriti.
L’esercito israeliano ha minimizzato la vicenda, affermando di aver aperto un’indagine sulle segnalazioni, ma di non avere informazioni su vittime causate dal proprio fuoco. Più netto il comunicato di GHF, che ha negato ogni responsabilità e addirittura la stessa esistenza di un attacco presso il proprio sito, accusando Hamas di diffondere “falsi resoconti”.
Tuttavia, le testimonianze raccolte sul terreno raccontano un’altra verità. Secondo alcuni residenti e personale medico, soldati israeliani avrebbero aperto il fuoco nei pressi del punto di raccolta e un carro armato avrebbe sparato sulla folla in attesa degli aiuti. Le immagini raccolte da Reuters mostrano ambulanze accorrere verso l’ospedale Nasser con decine di feriti.
A Gaza parlano di “trappole mortali” tese deliberatamente dall’esercito israeliano. “Israele utilizza gli aiuti come arma di guerra, attirando civili affamati in zone esposte controllate dai suoi militari”, ha affermato l’ufficio stampa a Gaza city.
La presenza della GHF a Gaza è stata fin dall’inizio oggetto di critiche da parte della comunità internazionale. Funzionari delle Nazioni Unite hanno denunciato i piani dell’organizzazione, accusandola di contribuire al trasferimento forzato dei palestinesi e all’aggravarsi della crisi umanitaria. Il direttore esecutivo dell’ente Jake Wood si è dimesso a maggio, dichiarando l’impossibilità di garantire indipendenza e neutralità. I finanziamenti della GHF restano tuttora avvolti nel mistero.
Nel frattempo, il negoziato sul cessate il fuoco si è nuovamente arenato. Hamas ha risposto con alcune modifiche alla proposta sostenuta dagli Stati Uniti, ma l’inviato speciale americano Steve Witkoff le ha definite “totalmente inaccettabili”. Hamas si è detto pronto a rilasciare dieci ostaggi vivi e a consegnare i corpi di diciotto morti, in cambio della liberazione di prigionieri palestinesi. Tuttavia, ha ribadito le proprie condizioni fondamentali: la fine delle ostilità e il ritiro totale delle truppe israeliane da Gaza. Israele invece vuole continuare la guerra.