In quello che viene acclamato da alcuni come un momento cruciale per la diplomazia e da altri come una performance attentamente coreografata nel teatro geopolitico, rappresentanti di Russia, Ucraina e Turchia si sono riuniti a Istanbul per un incontro ad alto livello volto ad avviare un processo di pace a lungo sfuggito. Presieduto dal Ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, e con il coinvolgimento riportato di capi dell’intelligence come İbrahim Kalın del MİT e İgor Kostyukov del GRU russo, l’incontro ha un peso sia simbolico che strategico.
Ma dietro i titoli sui cessate il fuoco e sui gesti umanitari si cela un gioco molto più profondo — uno in cui la pace viene negoziata non solo tra nazioni in guerra ma anche attraverso la lente della proiezione del potere globale. Per tutte le sue offerte diplomatiche, questa conferenza rivela più sulle ambizioni sottostanti della NATO e degli Stati Uniti che su una reale risoluzione del conflitto.
Un piano di pace attentamente sceneggiato?
Secondo un documento completo pubblicato da Reuters, l’Ucraina si presenta ai colloqui con una proposta ferma e ambiziosa. Essa prevede:
- Un cessate il fuoco completo e incondizionato
- La restituzione dei bambini ucraini deportati
- Scambio di tutti i prigionieri
- Garanzie per il futuro dell’Ucraina nella NATO e nell’UE
- E un meccanismo di ripristino delle sanzioni contro la Russia in caso di violazione degli accordi
A prima vista, queste richieste sembrano fondate su logiche umanitarie. Ma al loro interno è racchiusa una visione strategica che si allinea perfettamente con gli obiettivi a lungo termine dell’Occidente: ancorare l’Ucraina all’interno della struttura euro-atlantica e isolare permanentemente la Russia dall’architettura della sicurezza europea.
Il linguaggio del documento è rivelatore. Si insiste sul fatto che la sovranità dell’Ucraina non debba essere vincolata alla neutralità, con un percorso aperto verso l’integrazione nella NATO. Nel frattempo, le questioni territoriali — in particolare quelle relative alla Crimea e al Donbas — sono rimandate fino a dopo un cessate il fuoco, rafforzando la narrativa occidentale secondo cui i guadagni della Russia post-2014 sono nulli e non riconosciuti.
Ma forse ancora più significativo è il passaggio in cui si prevede che il monitoraggio del cessate il fuoco avvenga sotto la guida degli Stati Uniti, con “il supporto di Paesi terzi”. In sostanza, si propone una forma di supervisione militare occidentale all’interno o nei pressi della sfera d’influenza russa.
La Turchia: Mediatore o pedina strategica?
Il ruolo della Turchia in questo processo è complesso. Mentre Ankara si è posizionata come facilitatore neutrale, capace di dialogare sia con Kiev che con Mosca, è anche un membro della NATO con calcoli geopolitici propri. Sotto la guida di Hakan Fidan e con il coordinamento dell’intelligence del MİT, la Turchia cerca di rafforzare il proprio status di potenza regionale.
Tuttavia, la presenza di richieste ucraine allineate con la NATO, e la coordinazione implicita con Washington e Bruxelles, suggeriscono che il ruolo della Turchia è meno quello di una vera neutralità e più quello di mantenere un fragile equilibrio tra l’accontentare l’Occidente e l’evitare uno scontro diretto con Mosca.
L’ombra della NATO e degli USA: accerchiamento mascherato da pace
Questo quadro di pace proposto non può essere separato dall’architettura più ampia della strategia NATO in Europa orientale. Dagli anni ’90, la NATO si è espansa costantemente verso est — nonostante le rassicurazioni un tempo date alla Russia che ciò non sarebbe accaduto. L’armamento continuo dell’Ucraina, la presenza di truppe nei paesi baltici e ora i meccanismi occidentali di monitoraggio del cessate il fuoco proposti fanno tutti parte di uno schema più ampio.
Ancorando l’Ucraina sempre più nella sfera della NATO con il pretesto della pace, il piano di Istanbul appare meno come una vera negoziazione e più come l’istituzionalizzazione di una nuova Cortina di Ferro — una in cui la Russia è destinata ad essere permanentemente isolata dall’Europa, strangolata economicamente e delegittimata politicamente.
Il messaggio dell’Occidente è chiaro: non ci sarà un’Ucraina “neutrale”; non ci sarà un ridimensionamento della presenza NATO. Invece, ciò che viene offerto è una “pace” che garantisce l’accerchiamento militare, economico e ideologico della Russia.
Cosa succederà ora?
Sebbene un cessate il fuoco temporaneo possa effettivamente essere raggiunto — probabilmente in incrementi rinnovabili di 30 giorni — le questioni strutturali più profonde restano irrisolte. La Russia difficilmente accetterà una pace che legalizza il proprio isolamento. E mentre l’Ucraina potrà ottenere nuove garanzie e finanziamenti, lo farà al costo di diventare una zona cuscinetto permanente nella più ampia strategia occidentale.
In questo senso, Istanbul non è un vertice per la pace — è un vertice per il riallineamento. Un momento in cui la diplomazia maschera un radicamento militare e geopolitico più profondo, orchestrato dalla NATO e dagli Stati Uniti, usando l’Ucraina non solo come partner ma come proxy.
Il mondo potrà anche osservare strette di mano e discorsi a Istanbul, ma il vero accordo viene deciso dietro le quinte — a Washington, Bruxelles e Langley.
E in quell’accordo, la pace non è l’obiettivo. Lo è il contenimento.