Tra il 27 maggio e il 3 giugno 2025, oltre 100 civili palestinesi sono stati uccisi e centinaia feriti mentre cercavano disperatamente cibo nei centri di distribuzione gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), un’organizzazione sostenuta da Israele e Stati Uniti. Secondo un’inchiesta della CNN, basata su testimonianze, video e analisi forensi, le forze israeliane avrebbero aperto il fuoco sui civili affamati, contraddicendo le dichiarazioni ufficiali che parlavano di “colpi di avvertimento” o di responsabilità di Hamas.

Tra il 27 maggio e il 3 giugno, oltre 100 palestinesi sono stati uccisi e centinaia feriti in diversi episodi simili, in particolare a Gaza City, Deir al-Balah e Rafah. Video geolocalizzati, testimonianze dirette e analisi di esperti indipendenti indicano chiaramente che molti dei colpi mortali sono partiti da torrette militari israeliane o da posizioni in prossimità dei checkpoint.

Uno degli episodi più drammatici si è verificato il 1° giugno a Rafah: almeno 32 persone sono morte mentre aspettavano di ricevere razioni alimentari. Le immagini mostrano corpi a terra, confusione e panico. La CNN ha intervistato testimoni oculari che parlano di colpi improvvisi, esplosi mentre le persone stavano solo aspettando farina e riso. Nessuna prova conferma la presenza di miliziani o armi tra la folla, come affermato invece dall’esercito israeliano.

In un altro caso, il 29 maggio a Deir al-Balah, testimoni raccontano di proiettili sparati direttamente contro i civili che si erano radunati dopo ore di attesa. La CNN ha analizzato i fori dei proiettili e consultato esperti forensi: in base alla traiettoria, i colpi sarebbero stati sparati da torri israeliane di sorveglianza a meno di 300 metri dal luogo della distribuzione.

L’esercito israeliano ha dichiarato che i soldati avrebbero risposto a “minacce” o “disordini” durante le distribuzioni. Tuttavia, l’indagine mostra come le vittime fossero per lo più civili disarmati: anziani, bambini, donne. La stessa GHF non ha fornito spiegazioni plausibili sulla mancata protezione dei beneficiari e ha limitato l’accesso ai luoghi degli incidenti, impedendo verifiche indipendenti.

Il contesto è drammatico. Con oltre 50.000 morti dall’inizio dell’offensiva israeliana nell’ottobre 2023 e il collasso dei servizi umanitari, Gaza è al limite della carestia. Dopo l’espulsione dell’UNRWA e la paralisi delle agenzie ONU, la distribuzione degli aiuti è passata alla GHF, un ente controverso che opera in stretta collaborazione con l’esercito israeliano e contractor armati.

La gestione della GHF ha sollevato numerose critiche. Il sistema si basa su app di tracciamento, accessi filtrati e luoghi di distribuzione isolati, senza garanzie di sicurezza per i civili. Amnesty International e Human Rights Watch parlano di “militarizzazione dell’assistenza” e di violazioni del diritto internazionale umanitario.

Il governo israeliano ha negato ogni responsabilità, affermando che i soldati avrebbero solo “sparato in aria” o risposto a minacce imminenti. Ma secondo le prove raccolte dalla CNN, molti colpi erano diretti, a distanza ravvicinata, e non ci sono elementi concreti che giustifichino un attacco armato. Al contrario, si delinea un modello ripetuto: folle affamate, ammassate in attesa degli aiuti, colpite all’improvviso.

L’inchiesta mette sotto accusa anche il ruolo degli Stati Uniti. Washington continua a fornire sostegno militare e politico a Israele, pur ribadendo il proprio impegno umanitario. In pratica, però, il meccanismo messo in piedi – che affida a Israele il controllo completo degli aiuti – si è rivelato letale. Fonti interne all’amministrazione Trump, citate in forma anonima, ammettono che la situazione è “insostenibile”, ma non sembrano imminenti cambi di rotta.

L’ONU ha espresso “profonda preoccupazione” e ha chiesto un’indagine indipendente. Alcuni paesi europei – tra cui Spagna e Irlanda – stanno valutando sanzioni o la sospensione di accordi militari. Ma a oggi, nessun organismo internazionale ha avviato un’azione concreta per proteggere i civili nei centri di aiuto.

Nel frattempo, a Gaza, le famiglie continuano a dover scegliere tra la fame e il rischio di morire sotto i colpi mentre cercano del pane. “Siamo trattati come bersagli – ha detto un sopravvissuto a Rafah – Non è guerra, è sterminio. E il mondo guarda”.