Nelle ultime settimane, la crisi idrica nella Striscia di Gaza ha raggiunto un punto di rottura. Secondo l’UNICEF, metà degli impianti d’acqua oggi è già fuori uso, mentre il restante 40% è a rischio imminente di arresto. Alla base dell’emergenza: l’assenza cronica di carburante, indispensabile per alimentare gli impianti idrici ormai isolati dalla rete elettrica. Se non si interviene subito, il sistema idrico potrebbe crollare completamente nel giro di poche settimane, aggravando una crisi umanitaria già senza precedenti.

Da mesi, la popolazione civile di Gaza sopravvive in condizioni estreme, tra bombardamenti, blocchi e assenza quasi totale di servizi di base. Ora, però, è l’acqua a mancare. L’UNICEF, in un comunicato diffuso congiuntamente dalle sedi di Amman e Ginevra, parla senza mezzi termini di una catastrofe annunciata. “Il carburante è la linfa vitale dei servizi idrici”, scrive l’organizzazione. “Senza carburante, non è possibile pompare, trattare o distribuire l’acqua. Non è possibile nemmeno utilizzare i servizi igienici. Non è possibile mantenere l’igiene. Non è possibile vivere”.

Dallo scorso ottobre, l’intera rete elettrica di Gaza è completamente fuori uso. La sopravvivenza quotidiana di più di due milioni di persone dipende quindi da generatori alimentati a carburante. Oggi, questi stessi generatori sono fermi o funzionano a intermittenza. Nelle ultime settimane, la scarsità di carburante si è trasformata in un vero e proprio blocco, rendendo impossibile il funzionamento degli impianti di desalinizzazione e dei pozzi. Il 60% degli impianti è già inattivo.

Il rischio non è soltanto quello di rimanere senz’acqua potabile. L’interruzione dei servizi igienico-sanitari, l’impossibilità di mantenere condizioni minime di pulizia e il collasso dei sistemi di drenaggio aumentano esponenzialmente il pericolo di epidemie. In una realtà dove la malnutrizione sta già colpendo duramente i bambini, la contaminazione dell’acqua e la diffusione di malattie potrebbero avere effetti devastanti.

I numeri parlano chiaro. Solo nel mese di maggio, oltre 5.000 bambini nella Striscia di Gaza sono stati curati per malnutrizione acuta. Si tratta di bambini già debilitati, per i quali l’accesso a un’acqua sicura non è una questione accessoria, ma una condizione essenziale per la sopravvivenza. Senza acqua, il rischio di decesso per malattie prevenibili come la diarrea acuta cresce in modo esponenziale.

L’UNICEF chiede con urgenza il ripristino dei rifornimenti di carburante. “Ci appelliamo a tutte le parti in conflitto e a chi ha influenza su di esse”, scrive l’agenzia delle Nazioni Unite, “perché permettano il rifornimento immediato del carburante necessario a mantenere attivo il sistema idrico”. L’appello è chiaro: rimuovere ogni ostacolo che impedisca l’accesso e la distribuzione del carburante, permettere l’operato delle agenzie umanitarie e garantire vie sicure e non militarizzate per la consegna degli aiuti.

In una situazione già segnata dalla scarsità di cibo, dal crollo del sistema sanitario e dall’impossibilità di ricevere cure mediche, l’acqua – diritto umano fondamentale – rischia di diventare l’ennesima vittima della guerra. E con essa, a farne le spese saranno ancora una volta i più vulnerabili: bambini, malati, anziani, famiglie già allo stremo.

“Il tempo per intervenire è ora”, conclude l’UNICEF. Perché a Gaza, ogni giorno che passa senza acqua, è un passo in più verso il baratro.