Pagine Esteri – Ieri il ministro degli Esteri spagnolo, il socialista José Manuel Albares, ha informato che il suo governo ha invitato ufficialmente l’Unione Europea a sospendere immediatamente l’accordo di associazione con Israele firmato nel 2000. Madrid ha inoltre chiesto a Bruxelles altre misure concrete, come un embargo sulle armi e una serie di sanzioni individuali ai dirigenti israeliani.

«Non saranno le denunce a fermare questa guerra disumana a Gaza, ma i fatti. E ne metterò chiaramente tre sul tavolo: la sospensione immediata dell’accordo di associazione, un embargo sulla vendita delle armi a Israele da parte dell’UE e sanzioni individuali contro tutti coloro che vogliono impedire definitivamente la soluzione dei due Stati», ha detto Albares ai giornalisti al suo arrivo al Consiglio Affari Esteri dell’UE.

Albares ha poi affermato che «il tempo delle parole e delle dichiarazioni è finito» ed ha esortato l’Unione Europea ad avere il coraggio di agire sulla base del rapporto di revisione del trattato presentato venerdì scorso dal “Servizio europeo per l’azione esterna” (SEAE), che individua dei “segnali” del fatto che gli israeliani, con le loro azioni contro la popolazione di Gaza, potrebbero violare i loro obblighi in materia di rispetto dei diritti umani previsti all’articolo 2 dell’accordo di associazione con l’Europa a 27.

Il rapporto di revisione presentato dal SEAE è stato discusso ieri pomeriggio dal Consiglio dei ministri degli Esteri dell’UE ma come era prevedibile ogni decisione è stata rinviata. La rappresentante per gli Esteri e la Sicurezza di Bruxelles, Kaja Kallas, ha detto che “se la situazione a Gaza” non migliorerà, nel vertice di luglio i 27 potrebbero decidere la sospensione parziale dell’accordo per quanto riguarda il libero scambio, la ricerca e la tecnologia. «L’intenzione non è criticare Israele, ma migliorare la situazione degli abitanti di Gaza», ha detto Kallas alla fine della riunione.
Il rapporto si basa su fatti verificati e valutazioni condotte da istituzioni internazionali indipendenti, si concentra sugli sviluppi più recenti a Gaza e in Cisgiordania e fornisce un breve riassunto delle accuse di gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario.

Difficilmente la responsabile europea della politica estera cambierà registro rispetto alle sue affermazioni e decisioni recenti. Ancora a marzo, incontrando a Tel Aviv il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar, la politica estone affermò «we are very good partners» (“siamo due buoni partner”).
Nei giorni scorsi ha poi tentato di recuperare un profilo meno schierato, affermando di inorridire di fronte alle uccisioni di civili palestinesi e che se dipendesse esclusivamente da lei imporrebbe delle sanzioni a Israele, ma spiegando che ciò non è possibile senza una volontà unanime da parte dei 27 stati membri.

Vari parlamentari europei – tra cui il belga Botenga – hanno però spiegato che si tratta di una versione di comodo, per vari motivi. Intanto la vicepresidente della Commissione Europea non si sta affatto adoperando per convincere i paesi maggiormente schierati con Israele, come ad esempio Italia e Germania, a rivedere la propria posizione, come ha fatto ad esempio nel caso della sanzioni imposte alla Russia.
Inoltre l’unanimità di tutti i paesi che aderiscono all’Unione Europea sarebbe necessaria per varare una sospensione totale del trattato di associazione, mentre per una sua revisione comunque significativa basterebbe una maggioranza qualificata pari al 55% degli stati membri e al 65% della popolazione europea.
Secondo un conteggio recente, i paesi europei favorevoli ad una sospensione, e quindi anche a sanzioni parziali, sarebbero in totale già 17.


Nei partiti di sinistra e nei movimenti di solidarietà con il popolo palestinese la presa di posizione del governo spagnolo ha destato al tempo stesso reazioni positive e polemiche.
Quello di Pedro Sànchez è sicuramente l’esecutivo continentale che ha adottato la posizione più critica nei confronti del governo israeliano, scatenando più volte la reazione di quest’ultimo. Ma in molti rimproverano ai socialisti iberici uno scarto ancora troppo evidente tra le parole e i fatti, per citare proprio le recenti dichiarazioni di Abalos.

Nei partiti che sostengono il governo spagnolo – la coalizione Sumar e i nazionalisti baschi, catalani e galiziani – ci si chiede perché Madrid non dia il buon esempio iniziando da subito a sospendere le relazioni commerciali e la compravendita di armi con Israele. In mancanza di gesti concreti, le richieste all’Unione Europea rischiano di rappresentare un alibi.

Le varie forze politiche che permettono a Sánchez di governare sono convinte che i piccoli passi avanti finora realizzati (che sembrano titanici se confrontati con la totale complicità con Israele dei paesi più importanti dell’UE) siano il frutto della loro continua pressione sull’esecutivo, oltre che di quella esercitata in maniera instancabile da centinaia di migliaia di persone che continuano a scendere in piazza in tutto il paese dal 7 ottobre 2023. Proprio per questo continuano a chiedere al primo ministro decisioni urgenti e coraggiose.

La principale richiesta indirizzata al governo è la rottura delle relazioni diplomatiche con Israele, un gesto drastico che l’esecutivo non ha però mai preso in considerazione. Se in questi due anni le relazioni tra i due paesi hanno vacillato è stato per iniziativa dello “stato ebraico”, stizzito da alcune dichiarazioni di Sànchez come quando ha chiesto l’espulsione di Israele dall’Eurovision.

D’altro canto due leggi che potrebbero fare la differenza sono bloccate al Congresso dei Deputati. La più importante – presentata da Sumar, da Podemos e dai galiziani del BNG – introdurrebbe nella legislazione spagnola il divieto della compravendita di armi con i paesi indagati per genocidio dalla Corte Penale Internazionale. Il testo ha ricevuto in sede di introduzione al dibattito i voti positivi non solo dei socialisti, ma anche del partito di centrodestra catalano Junts. Però non sembra che i tempi per la sua approvazione definitiva siano brevi e non è detto che alla fine il provvedimento abbia tutti i voti necessari alla sua approvazione definitiva. Intanto, nonostante le dichiarazioni altisonanti del primo ministro che alcune settimane fa ha rivendicato che “la Spagna non commercia con stati genocidari”, Madrid e Tel Aviv continuano a commerciare armi e munizioni.

Un altro testo, presentato da Sumar, che impedirebbe alle aziende spagnole di operare in territori occupati come la Palestina o il Sahara Occidentale, non ha ancora neanche ricevuto l’ok alla discussione.

Anche il sostegno alla procedura avviata dal Sudafrica contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia ha generato sia assensi che polemiche. Madrid infatti ha intrapreso questa azione ai sensi dell’articolo 63 dello Statuto della Corte Internazionale, intervenendo quindi non con un’accusa specifica, ma con una richiesta di interpretazione della norma. Podemos ha fatto notare che questa formula non implica quindi un’accusa di genocidio da parte della Spagna al contrario di quanto ha fatto il governo sudafricano. I diversi partiti di sinistra chiedono poi all’esecutivo di aderire al cosiddetto “Gruppo dell’Aja” che riunisce il Sudafrica, la Malesia, il Senegal, la Namibia, la Bolivia, Cuba, la Colombia e l’Honduras e che mira a « porre fine all’occupazione israeliana dello Stato di Palestina e sostenere la realizzazione del diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione». – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria