Un risultato elettorale che segna una svolta politica di eccezionale importanza per la città di New York. Nella notte, Andrew Cuomo, ex governatore dello Stato e figura centrale del Partito Democratico newyorkese, ha ammesso la sconfitta alle primarie per la candidatura a sindaco, cedendo il passo a Zohran Mamdani, giovane deputato e membro dei Democratic Socialists of America. Una sorpresa clamorosa: Cuomo, fino a poche settimane fa favorito in quasi tutti i sondaggi, ha riconosciuto il vantaggio del suo avversario di oltre sette punti percentuali, con il 91% dei voti scrutinati.

“Stasera era la serata del deputato Mamdani”, ha dichiarato Cuomo ai suoi sostenitori. Tecnicamente, la corsa non è ancora chiusa. Il sistema elettorale di New York, basato sul voto a scelta multipla, prevede un conteggio progressivo in cui le preferenze degli elettori per i candidati eliminati vengono redistribuite. Ma con il terzo classificato, il revisore dei conti Brad Lander – ebreo progressista vicino a Mamdani – è molto probabile che la gran parte dei suoi voti residui vadano proprio a quest’ultimo, rendendo la rimonta di Cuomo praticamente impossibile.

Il risultato assume un significato politico più ampio per almeno due motivi. Il primo è l’identità politica  di Mamdani: 33 anni, musulmano, figlio d’arte (sua madre è l’attrice indiana Mira Nair), attivista dichiaratamente antisionista, vicino ai movimenti per i diritti dei palestinesi, sostenitore del boicottaggio contro Israele e critico feroce del sionismo. Non ha mai nascosto di considerare la causa palestinese come centrale per il suo impegno pubblico, arrivando a promettere, nel corso della campagna, che se Benjamin Netanyahu dovesse mettere piede a New York, ne ordinerebbe l’arresto sulla base del mandato della Corte Penale Internazionale. Un gesto ovviamente simbolico – la CPI non ha giurisdizione negli Stati Uniti – ma che ha infiammato il dibattito.

Cuomo, consapevole della sensibilità del tema, aveva puntato con decisione sul voto ebraico, frequentando sinagoghe, partecipando ad eventi della comunità e facendo leva sulla sua lunga storia di sostegno a Israele. Eppure, una parte importante dell’elettorato progressista ebraico, soprattutto tra i giovani, si è schierata su Mamdani, anche grazie al supporto di gruppi come Jewish Voice for Peace, Jews for Economic and Racial Justice e del braccio elettorale Jewish Vote. Un elemento chiave è stato anche il sostegno “a sinistra” di Lander, che pur definendosi sionista, ha deciso di appoggiare Mamdani, evidenziando la crescente spaccatura interna all’elettorato ebraico progressista.

Il secondo motivo per cui questa sconfitta scuote le fondamenta della politica newyorkese è il cambio di paradigma che rappresenta. Mamdani ha vinto con una campagna centrata su temi radicali: trasporti gratuiti, supermercati pubblici, blocco degli affitti, riforma radicale della polizia, giustizia economica e razziale. Ha utilizzato in modo abile i social network, mobilitato i giovani e intercettato un malcontento diffuso, specialmente nei quartieri a basso reddito. Le sue proposte considerate da molti impraticabili invece si sono dimostrare efficaci nel delineare una visione alternativa e coerente.

Mamdani, salvo sorprese clamorose, si prepara a diventare il primo sindaco musulmano della città. Un traguardo storico, ma anche l’inizio di una probabile stagione di tensioni politiche e sociali. Con la comunità ebraica divisa, la sinistra rafforzata e un’opinione pubblica polarizzata, il volto di New York potrebbe cambiare radicalmente.