Messico

A marzo di quest’anno il collettivo Guerreros Buscadores dello stato di Jalisco ha rinvenuto sul territorio l’ “Auschwitz Messicano”, il Rancho Izaguirre, zona campestre con alcune strutture edilizie e resti di centinaia di corpi umani carbonizzati in fosse comuni. Nella zona sono stati identificati resti ossei, alcuni con “segni di calcinazione”, ma il bilancio delle vittime non è ancora stato determinato, ha dichiarato l’ufficio del procuratore di Jalisco a BBC News Mundo.

Ma il fatto che siano state trovate centinaia di scarpe, vestiti, zaini, fotografie e altri effetti personali fa temere ai ricercatori che questo possa essere un luogo in cui sono avvenuti molti omicidi. Secondo un comunicato del collettivo condiviso il 12 marzo, si sottolinea il rapporto del sito con il Cartel de Jalisco – Nuova Generazione (CJNG), che “espone la brutalità con cui opera il crimine organizzato”. Secondo più di 1500 indizi riesumati dalla Procura Generale di Jalisco, si trattava di un centro di addestramento criminale e di sterminio.

Secondo la Procura, la zona era stata oggetto di investigazione a settembre del 2024 a seguito di un operativo della Guardia Nazionale, risultato in 10 arresti, un morto e due persone liberate. La notizia peró, ha dovuto aspettare il paziente lavoro dei Buscadores per essere diffusa.

Il Comitato CED della ONU contro le sparizioni forzate ha iniziato il protocollo più severo in materia, e ha proposto la revisione della legge messicana a riguardo. Olivier de Frouville, presidente del Comitato, ha “informazioni comprovate che indicano che le sparizioni forzate vengono perpetrate in modo generalizzato o sistematico nel territorio sotto la giurisdizione messicana”. L’8 aprile, il Senato della Repubblica messicana ha respinto le affermazioni di de Frouville, dichiarando che quest’ultimo avrebbe “agito in modo unilaterale, irresponsabile e senza alcun fondamento nell’affermare che questo crimine viene commesso in modo generalizzato o sistematico nel territorio messicano”.

Il 10 aprile, con 71 voti a favore, 28 contrari e tre astensioni, la plenaria del Senato ha respinto l’indagine delle Nazioni Unite, affermando che le sparizioni forzate in Messico non sono responsabilità dello Stato.

Questa dichiarazione di negligenza da parte dello Stato ha portato collettivi di madres buscadoras a chiudere in maniera simbolica la sede del Senato a Città del Messico. “Siamo venuti a chiudere simbolicamente il Senato perché è un’istituzione inutile”, dice Jorge Verástegui González, che sta cercando suo fratello Antonio e suo nipote Antonio de Jesús Verástegui Escobar, scomparsi il 24 gennaio 2009 a Parras, Coahuila.

Ana Enamorado chiede giustizia per suo figlio, Oscar Antonio López Enamorado, un giovane honduregno scomparso a Jalisco 15 anni fa: “Pensavamo che ci fosse un po’ di speranza ora che avremmo avuto una donna come presidente, ma è stato un grosso errore credere che solo perché era una donna avrebbe capito e accettato che le sparizioni forzate sono un problema serio. Ora lo sta negando e con questa negazione pensa di aver risolto il problema”.

A fine aprile sono cominciate due Brigate di Ricerca statali, una in Baja California e una al sud di Città del Messico. Entrambe hanno confermato rinvenimenti di resti ossei, e hanno denunciato negligenza da parte delle autorità presenti a riconoscerli ed analizzarli.

Le madri buscadoras hanno converso il 10 di maggio, giorno della Festa della Mamma in Messico,  in una manifestazione nella capitale.”Abbiamo raggiunto la cifra scandalosa di 127.000 scomparsi. Diversi territori sono stati conquistati e sono governati dalla criminalità organizzata, in coesistenza, tolleranza o acquiescenza con le autorità”, dichiarano.

“Secondo le cifre ufficiali, ogni giorno scompaiono 47 persone. In Messico, l’impunità trasmette il messaggio che queste sparizioni sono consentite impunemente. È il paradigma del crimine perfetto.”

Una costante, all’ascoltare ed accompagnare i membri dei collettivi di ricerca, è rendersi conto che stanno compiendo il lavoro che lo Stato gli dev: quello di cercare la veritá e la giustizia per i loro cari scomparsi, spesso esponendosi al pericolo di venir fatti scomparire a loro volta. “Le famiglie hanno fornito tutte le informazioni. In molti casi, hanno identificato i colpevoli e hanno persino costretto lo Stato a catturarli. È grave, perché non hanno protezione: da inizio anno ci sono stati quasi 30 buscadores uccisi. Solo nell’ultimo mese ce ne sono stati tre”, afferma Alfredo López Casanova, attivista.

Argentina

Il numero delle persone scomparse durante la dittatura militare è una questione politica in Argentina. Mentre la CONADEP (Comisión Nacional de Desaparecidos) calcola 8.961 persone, poiché ha contato solo i casi in cui i parenti di una persona scomparsa hanno denunciato il rapimento, le Madri di Plaza de Mayo sostengono la cifra di 30.000 scomparsi e ritengono che molti altri casi non siano stati denunciati.

Demetrio Iramain, poeta, giornalista e docente di storia delle Madri di Plaza de Mayo presso l’Universitá Nazionale delle Madri, spiega: “Fino all’arrivo di Néstor Kirchner nel 2003, gli scomparsi sono stati trattati dal sistema istituzionale non come vittime, ma come coloro che hanno generato il genocidio con la loro lotta. Erano i terroristi, i rivoltosi, coloro che erano usciti dal percorso democratico e avevano preso le armi”, spiega Iramain.

Il riconoscimento delle Madri di Plaza de Mayo avvenne con il riconoscimento di Kirchner in un discorso all’ONU: “Siamo i figli delle Madri di Plaza de Mayo”, disse l’allora presidente argentino. “Questa rivendicazione della generazione scomparsa da parte della più alta carica dello Stato è stato il più grande successo politico per le Madri”, sottolinea Iramain.

Ogni giovedí le Madri camminano per il cortile di Plaza de Mayo, a Buenos Aires, accompagnate da attivisti e giornalisti. La scorsa settimana, segnata dalla persecuzione giudiziaria di Cristina Fernández de Kirchner, Demetrio Iramain ha preso la parola: “Siamo arrabbiati, furiosi, con la vergognosa sentenza di questa terribile Corte Suprema che abbiamo in Argentina, che ha messo fine a quel poco che era rimasto della democrazia nel nostro paese”. Dalla Plaza, simbolo di lotta e resistenza, ha espresso il suo ripudio della Corte Suprema e la sua solidarietà all’ex presidentessa: “Da qui li ripudiamo, li rifiutiamo, esprimiamo, naturalmente, tutta la nostra solidarietà alla nostra compagna Cristina Fernández de Kirchner”.

Le Madri si erano giá espresse negli scorsi mesi contro il governo di estrema destra di Milei, definendo le elezioni legislative di Buenos Aires una “manipolazione mediatica”.

Colombia

Secondo i dati ufficiali, in Colombia potrebbero esserci più di 200.000 vittime di sparizione forzata. La maggior parte di loro sono donne che dedicano la loro vita alla ricerca dei loro cari.

Secondo il rapporto di Amnesty International del 2024, l’entità delle sparizioni forzate in Colombia è spaventosa. L’Unità per la ricerca delle persone scomparse ha identificato 111.640 persone scomparse fino a marzo 2024. Nel frattempo, la Commissione per la Verità ha dichiarato nel suo Rapporto finale che tra il 1985 e il 2016 circa 210.000 persone sono state vittime di sparizioni forzate, se si tiene conto delle denunce informali, piú che consuete in un fenomeno che si basa su sotterfugi e occultamenti.

Secondo Ana Piquer, direttrice di Amnesty International per le Americhe, “le donne hanno svolto un ruolo di primo piano nella ricerca, nella formazione e nella guida delle organizzazioni dei parenti delle vittime di sparizione forzata in Colombia”, aggiungendo che “le madri, le mogli, le sorelle e le figlie sono state quelle che hanno dovuto subire le conseguenze peggiori di questo crimine. Sono state loro a prendere l’iniziativa di denunciare e rendere visibile, a guidare le esercitazioni per chiedere il diritto alla verità e alla giustizia e a subire l’aggravamento degli impatti nella loro lotta contro l’impunità”.

Il rapporto di Amnesty racconta l’esperienza della Fondazione Nydia Erika Bautista (FNEB), un’organizzazione nata dalla lotta per la verità e la giustizia sulla sparizione forzata di Nydia Erika Bautista il 30 agosto 1987 per mano dell’esercito colombiano. Il rapporto racconta le esperienze di Yanette Bautista, sorella di Nydia Erika e direttrice e fondatrice della FNEB, e di Andrea Bautista, nipote di Nydia Erika, vice direttrice e responsabile dell’ufficio legale della FNEB. Le loro esperienze rispecchiano quelle di migliaia di donne che cercano i loro cari in Colombia.

Le donne colombiane sono stigmatizzate in pubblico e dai media, subiscono offese alla loro dignità, sono discriminate in seguito alle loro denunce. Subiscono violenza fisica che, nel caso delle donne buscadoras, ha un carattere particolare e provoca danni differenziati, poiché è attraversata dalla violenza di genere, dalla loro vulnerabilità alla violenza sessuale e da un continuum di violenza di genere che si esprime durante l’intero esercizio di ricerca dei loro cari scomparsi con la forza.

Le buscadoras in Colombia subiscono in molti casi minacce costanti e alcune sono state costrette a lasciare il Paese e a vivere in esilio. Quando si cerca la verità e la giustizia dopo una sparizione forzata, minacce, molestie e intimidazioni sono comuni e sistematiche.

Anche il furto di informazioni e l’invasione di spazi privati sono frequenti e minano la capacità dei motori di ricerca di svolgere il loro lavoro e, soprattutto, di mantenere la memoria di anni di ricerche. Yanette Bautista lo ha descritto così: “ci hanno rubato il passato e ci stanno rubando anche il futuro”.

Inoltre, le donne che cercano in Colombia subiscono conseguenze che vanno oltre la violenza: devono affrontare l’impoverimento in modo particolare. Secondo il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate e involontarie, questo è un fattore di vulnerabilità alla sparizione forzata, e una volta che la sparizione si verifica, di solito c’è un forte impatto sui diritti economici, sociali e culturali dei membri della famiglia, dei cari e delle comunità a cui la persona scomparsa appartiene.

Infine, uno dei maggiori problemi affrontati dalle buscadoras è l’impunità, non solo la mancanza di giustizia per la stragrande maggioranza delle sparizioni forzate avvenute in Colombia, ma anche la violenza subita da coloro che cercano i loro parenti e i loro cari, che non viene nemmeno adeguatamente indagata.

In questo contesto scoraggiante, il rapporto di Amnesty International sottolinea l’importanza dell’approvazione da parte del Congresso colombiano, lo scorso giugno, della legge 2364 del 2024, che riconosce e protegge in modo completo il lavoro e i diritti delle donne che cercano le vittime di sparizione forzata nel Paese. Questa legge rappresenta una speranza che la ricerca delle vittime di sparizione forzata sia condotta in condizioni di sicurezza e dignità.

Amnesty International ha presentato nel rapporto una metodologia per il monitoraggio dell’attuazione di questa legge, che prevede il controllo di 22 impegni, distribuiti in quattro aree: 1) il riconoscimento delle donne ricercatrici e del loro lavoro e la prevenzione della stigmatizzazione, 2) la protezione delle donne ricercatrici da attacchi e minacce, 3) la garanzia dei diritti all’istruzione, alla casa e alla salute delle donne ricercatrici e delle loro famiglie e 4) le misure contro l’impunità e per la verità.

Amnesty International ritiene che, “se correttamente attuata, la legge 2364 del 2024 ha il potenziale per contribuire a saldare il debito storico dello Stato colombiano nei confronti delle buscadoras e a proteggere i loro diritti”. Inoltre, la Colombia diventerebbe un punto di riferimento per le Americhe, una regione in cui abbondano gli esempi di sparizioni forzate e di donne che lottano controcorrente per trovare verità e giustizia”. Pagine Esteri