testo e foto di Giovanna Cavallo*

Le prime crepe nel sistema nuovo

Dal dicembre 2024, con il collasso del regime di Assad, il Governo ad interim ha avviato una ricostruzione centralizzata e identitaria della cosa pubblica, basata su una nuova architettura istituzionale ibrida, attraversata da relazioni complesse e profonde contraddizioni interne.

Dopo cinquant’anni di dittatura, la Siria affronta una transizione incerta. Il nuovo governo ad interim, dominato da gruppi islamisti, ha dato inizio a un fragile processo di dialogo nazionale, alimentando timori diffusi di esclusione e nuovo conflitto. Sul piano internazionale, il paese resta terreno di competizione tra potenze: Russia, Iran, Stati Uniti, Turchia e Israele mantengono interessi strategici che ostacolano ogni ipotesi di stabilizzazione.

La crisi umanitaria è drammatica: milioni di sfollati, sistemi sanitari al collasso, infrastrutture distrutte. I diritti umani continuano a essere gravemente violati: arresti arbitrari, vendette settarie, repressione della stampa, marginalizzazione di donne, minoranze religiose e comunità LGBTQIA+. La Siria si muove in bilico tra speranze di rinnovamento e il rischio concreto di nuove frammentazioni.

Il nuovo governo si fida dei siriani?

Nel febbraio 2025, con la missione Siria con gli occhi dei civili, ho potuto toccare con mano il clima di questa nuova era. Tra attivisti e miliziani, una parola risuonava più spesso di altre: fiducia. “Il nuovo governo si fida dei siriani?” era un interrogativo ricorrente, trasversale, profondo.

A Suwayda si percepiva una popolazione sotto assedio, ma con la schiena dritta. Ogni casa è una piccola fortezza, ogni piazza un luogo di assemblea. La tensione ha raggiunto il culmine alla vigilia del nuovo anno, quando le forze del neonato Ministero della Difesa hanno tentato di entrare nella provincia senza coordinamento, con il pretesto di una collaborazione per la sicurezza. In un raro momento di unità, le fazioni locali hanno bloccato il convoglio militare, riaffermando l’opposizione a ogni intervento centrale non autorizzato. Al posto del checkpoint, i dimostranti hanno piantato alberi e fiori: la memoria della resistenza è diventata progetto politico.

A seguito del colpo di stato che ha deposto Assad e in vista delle nomine locali, il leader Al Sharaa ha ignorato la proposta di nominare Muhsina al-Mahithawi come governatrice, simbolo della volontà popolare e del decentramento amministrativo. Ha invece imposto Mustafa al-Bakkour come proprio inviato e governatore ad interim, esasperando ulteriormente i rapporti con la comunità locale. La tensione tra Suwayda e le nuove autorità si è rapidamente inasprita. Una campagna settaria ha alimentato scontri armati nei sobborghi drusi di Jaramana e Sahnaya, culminando in una brutale repressione. Alla fine di aprile 2025, l’escalation ha provocato decine di vittime civili, distruzione di abitazioni e luoghi di culto. HTS ha giustificato il proprio intervento con un falso audio in cui un religioso druso avrebbe offeso il Profeta Mohamed: un pretesto per reprimere un’identità percepita come scomoda e non allineata. Ma Suwayda ha resistito. Ha respinto i carri armati, mantenuto il controllo delle strade, costruito alternative locali. Il prezzo è stato altissimo: decine di morti, blackout prolungati, embargo su carburante e medicinali.

Decentramento senza secessione: la conferenza che sta cambiando tutto.

La forza di Suwayda sta proprio in questo: nonostante tutto ha scelto di promuovere una politica che desse potere deliberante alle amministrazioni decentrate locali, non la secessione. Non chiede uno Stato druso, ma una Siria unita pluralista in cui i diritti non siano concessi, ma garantiti.

In una rara occasione di unità e dialogo, la città ha ospitato una conferenza nazionale promossa dalla diaspora in collaborazione con attivisti e leader locali. Un passo importante verso un futuro più stabile e rappresentativo. L’iniziativa, definita “consensuale” da Maen Alaflak, ha riunito attivisti della società civile, religiosi e membri della comunità, con l’obiettivo di superare lo stallo politico-istituzionale senza entrare in contrapposizione diretta con lo Stato.

“È stato un incontro concordato da tutte le parti coinvolte – ha affermato Maen, eletto tra i 31 membri alla guida delle commissioni nate dal congresso – e i risultati riguardano la pace civile, i servizi e la giustizia transizionale. “Durante la conferenza è stato istituito un comitato politico, incaricato di avviare un dialogo ufficiale con lo Stato”.

Un laboratorio civile fragile ma essenziale

La sicurezza resta un tema critico. Sebbene Suwayda sia relativamente più stabile rispetto ad altre aree del Paese, permangono minacce concrete: incitamenti contro la comunità drusa e diffusione di ideologie estremiste. “In Siria, la sicurezza è precaria per tutti, anche per la maggioranza sunnita,” ha ricordato, sottolineando l’urgenza di una risposta unitaria e inclusiva.

La popolazione ha reagito positivamente alla conferenza, riconoscendola come un raro esempio di convergenza civile in un paese fratturato da anni di conflitto. Resta da vedere se il comitato politico riuscirà a costruire un canale efficace con le autorità e a trasformare i propositi in realtà.

Quella di Suwayda non è solo una storia locale. Nel vuoto lasciato dalla caduta del vecchio regime e dalle perplessità del nuovo, la comunità ha costruito un proprio equilibrio. Suwayda è oggi un laboratorio politico e civile: fragile, certo, ma essenziale. È l’unica provincia ad aver detto “no” sia al vecchio regime che alla nuova autorità di HTS. Non con la retorica del conflitto, ma con la forza della costruzione comunitaria. Su quelle pietre annerite dal fuoco del tempo, la città ha scolpito il suo rifiuto di piegarsi, diventando specchio di un’altra Siria possibile. Ha scelto il cammino più difficile: resistenza e responsabilità. Se il comitato riuscirà a mantenere unità, coerenza e capacità di dialogo, potrà diventare un modello replicabile per altre aree del Paese.

Le parole dello Sheikh Al Hennawi a latere della conferenza sono una cornice ideale nella quale racchiudere i sentimenti di questa piccola comunità perché ribadiscono i saldi principi nazionali che hanno contraddistinto la storia di Suwayda: “noi, gente della montagna, siamo stati e rimarremo, con l’aiuto di Dio, i custodi della patria contro ogni aspirante conquistatore e il rifugio sicuro per tutti i suoi figli. Principi per i quali i figli di questa montagna hanno dato il prezioso e il caro sforzo, affinché la Siria rimanesse unita, con tutto il suo territorio e tutte le sue componenti, rafforzata e tutelata dall’unità del suo popolo, respingendo qualsiasi ingerenza straniera o protezione da parte di chicchessia. Come potremmo fare diversamente, noi che siamo parte integrante dell’identità siriana?”

Suwayda oggi è più vicina che mai. Perché in un Paese stanco di guerre e imposizioni, resistere con dignità è forse l’atto più rivoluzionario di tutti. “Non cerchiamo lo scontro, cerchiamo ascolto. E questa è la prima volta che tutti, religiosi e laici, siedono allo stesso tavolo per il bene di Suwayda e per il bene della Siria”.

*attivista dei diritti della comunità drusa ed esperta di Siria