Il Ruanda e il gruppo armato M23 stanno esercitando un controllo sempre più pervasivo su ampie porzioni dell’Est della Repubblica Democratica del Congo, costruendo una vera e propria struttura statale parallela che minaccia la sovranità del governo di Kinshasa. È quanto emerge da un recente rapporto delle Nazioni Unite. Gli esperti ONU incaricati di monitorare la situazione affermano che Kigali ha assunto un ruolo di comando diretto sul gruppo M23, fornendo addestramento militare, armamenti, assistenza logistica e soprattutto istruzioni operative sul campo.
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Secondo le stime del gruppo di esperti guidato da Mélanie De Groof, almeno seimila soldati ruandesi sarebbero attualmente presenti nelle province congolesi del Nord e Sud Kivu, a sostegno delle operazioni militari e amministrative del M23. Questa presenza militare viola chiaramente l’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite, oltre a costituire un’interferenza diretta e sistematica nella politica interna congolese. La novità, tuttavia, non sta solo nella presenza armata, ma nella costruzione di un vero e proprio “Stato nello Stato”. Il M23 – sostenuto da Kigali – ha nominato propri funzionari a capo di governi provinciali, uffici doganali, posti di polizia, sistemi fiscali e perfino agenzie per l’immigrazione. A Goma, Bukavu e Rubaya si parla già di un’amministrazione alternativa, di fatto indipendente da Kinshasa, che controlla le risorse locali e applica proprie normative.
Il centro nevralgico di questo controllo parallelo è l’area mineraria, in particolare le miniere di Rubaya, ricche di coltan, stagno e altri minerali strategici, indispensabili all’industria globale dell’elettronica e della difesa. Qui il M23 ha instaurato un sistema fiscale autonomo: estrae, tassa e commercia le risorse con il sostegno della logistica ruandese. Il Ruanda funge da hub per il contrabbando di questi materiali, che vengono poi immessi nei mercati internazionali. Tutto ciò rappresenta una sfida aperta all’integrità territoriale della Repubblica Democratica del Congo. Le autorità di Kigali continuano a giustificare le proprie operazioni in territorio congolese come misure difensive contro le milizie hutu delle FDLR, responsabili del genocidio ruandese del 1994 e tuttora attive in alcuni territori congolesi. Tuttavia, il rapporto ONU afferma chiaramente che questa narrativa è usata strumentalmente per giustificare un’agenda espansionista, finalizzata al controllo delle risorse naturali congolesi.
Il Ruanda non è dunque un attore difensivo ma il protagonista di una strategia aggressiva che mira al consolidamento di un protettorato de facto nell’est congolese. A livello diplomatico, la situazione resta estremamente fragile. A fine giugno, sotto la mediazione degli Stati Uniti, è stato firmato a Washington un accordo tra RDC e Ruanda che prevede, tra le altre cose, il ritiro delle truppe ruandesi entro 90 giorni. Tuttavia, il gruppo M23 – che continua a gestire militarmente e amministrativamente ampie porzioni del territorio – non è stato coinvolto nei negoziati. Il cessate il fuoco, dunque, appare più come un esercizio simbolico che come un reale passo verso la pace.
Gli Stati Uniti, nel frattempo, hanno manifestato un interesse crescente verso la regione, spinti anche da motivazioni economiche legate all’accesso alle risorse minerarie. Un eventuale disimpegno militare ruandese, senza lo smantellamento della struttura parallela creata dal M23, rischia di lasciare immutato il quadro attuale. Anche perché, come evidenziato nel rapporto ONU, non si tratta di un’occupazione militare temporanea, ma di una sovrapposizione strutturata di potere, progettata per restare. I territori controllati dal M23 non sono zone di guerra ma aree amministrate secondo una logica statuale autonoma, con proprie regole, tassazioni e apparati coercitivi. La comunità internazionale appare divisa e incapace di fornire una risposta univoca. Le Nazioni Unite denunciano, ma restano marginali; gli Stati Uniti mediano, ma si muovono anche in funzione dei propri interessi strategici. Nel frattempo, il governo congolese si trova nella difficile posizione di dover negoziare da un lato con Kigali e dall’altro con un attore armato – il M23 – che di fatto gestisce più territorio dello stesso Stato centrale. L’intera vicenda è emblematica della fragilità delle istituzioni in Africa centrale e dell’impunità con cui attori regionali possono costruire sfere di influenza al di fuori del diritto internazionale. Pagine Esteri