Invece di ascoltare le richieste dei cittadini serbi il governo stringe la morsa repressiva con arresti prima e dopo le proteste che, nonostante siano iniziate da ormai otto mesi, continuano ad avere un sempre nuovo respiro. Dal 28 giugno infatti a Belgrado, e non solo, sono riprese le occupazioni e i blocchi in punti nevralgici della viabilità. Ovviamente la risposta del presidente Vucic è stata mettere in guardia su altre proteste, invitando i manifestanti a guardarsi bene da organizzarle in zone importanti come aeroporti o strade dicendo che le conseguenze per iniziative simili sarebbero durissime, aggiungendo: “Con tali azioni gli studenti stanno perdendo consenso nella società, con i cittadini sempre più insofferenti e costretti a lunghe attese, deviazioni e ingorghi in questi giorni di caldo torrido”. Nonostante questa dichiarazione la realtà è che i numeri non sembrano raccontare una storia di declino di questo movimento: dopo l’annuncio da parte dei collettivi studenteschi di nuove mobilitazioni di massa in tutto il paese, previste appunto per il 28 giugno, son riusciti a radunare oltre 140mila persone nella sola capitale, a dispetto dei numeri al ribasso diffusi dagli organi dell’esecutivo.

La data scelta non è stata casuale, è tra le più significative per la cultura serba, in essa ricorrono importanti anniversari storici, spesso evocati in ottica nazionalista. Ma questa volta il 28 giugno è stato degli studenti che hanno usato la data per dare un ultimatum per l’accoglienza delle loro richieste, tra cui una tornata elettorale trasparente e anticipata rispetto al 2027, quando scadrebbe l’attuale mandato. Dopo il mancato rispetto di questo ultimatum le cose sono ulteriormente cambiate, la presenza della polizia si è fatta di colpo più intensa e non sono mancati alcuni scontri. Il presidente Vučić ha radunato i suoi sostenitori, condotti nella capitale nuovamente con appositi pullman, dando artificiosamente vita ad una blanda contro-protesta, è in questo clima che scatta l’ultimatum, nella totale noncuranza dell’esecutivo.

Il giorno dopo, la sera del 29 giugno, i cittadini sono scesi nuovamente e instancabilmente in strada per bloccare tutte le principali zone della città con barricate improvvisate, a cui son seguite violente cariche con arresti, intimidazioni e identificazioni a tappeto. Nonostante questa brutale repressione le interruzioni alla viabilità proseguono ininterrottamente in varie città. La promessa? Che le azioni di disobbedienza civile proseguiranno fino a quando le richieste dei cittadini non verranno accolte. Le ultime forti notizie arrivano il 4 luglio e ancora il morale della rivolta non era azzerato. Vučić sperava che gli studenti sarebbero andati in vacanza ma le sue preghiere non son state esaudite. Le manifestazioni continuano soprattutto per chiedere il rilascio delle persone arrestate e il ritorno alle urne, possibilità esclusa: piuttosto che accogliere una domanda del popolo si preferisce definire gli studenti «terroristi guidati da agenti stranieri», nonostante Vučić non abbia esitato in passato a usare le elezioni anticipate per consolidare il suo potere. Quest’ansia per le elezioni anticipate esprime la preoccupazione del presidente serbo per questa longeva e forte protesta. È comunque insolita la richiesta di andare alle urne, idea sempre scartata dal movimento studentesco che temeva brogli e la controffensiva dei media filogovernativi. Ma la situazione oramai ammette qualsiasi tentativo. Intanto le bocche del mondo diplomatico iniziano a dire la loro. Mosca invita l’Europa a non intervenire per risolvere la situazione Serba e evitare “manifestazioni colorate”.

L’Unione Europea replica condannando “tutti gli atti di odio e violenza” e dicendo che: «Il diritto alla manifestazione pacifica deve essere rispettato». In Serbia, secondo loro, l’azione della polizia deve essere proporzionata nel rispetto dei diritti e delle leggi, compresi quelli di tutti coloro che sono detenuti. «Ci aspettiamo un’indagine rapida, trasparente e credibile sulle accuse di uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine e anche che il giusto processo sia garantito per tutti coloro che sono stati arrestati nel contesto della protesta. I valori fondamentali, inclusa la libertà di riunione sono al centro del progetto europeo e devono essere pienamente rispettati”. La sfida vera però, come spesso accade, la affrontano i cittadini che sembrano reggere continuando, con numeri che non sembrano andare al ribasso, a fronteggiare la violenza istituzionale, a non scoraggiarsi anche se vengono ignorate le loro richieste e senza farsi prendere dalla paura.