Pagine Esteri – La decisione, adottata all’inizio di luglio dal parlamento di Lubiana, di tenere in autunno un referendum consultivo sull’aumento delle spese militari non aveva mandato in fibrillazione soltanto la classe politica della piccola ex repubblica jugoslava, ma aveva generato forte preoccupazione anche nei paesi del blocco occidentale.
Dopo due settimane di polemiche feroci, che hanno diviso tra loro e al loro interno le formazioni che sostengono il governo sloveno, lo stesso Parlamento ha deciso di tornare sui suoi passi, votando la revoca delle consultazioni popolari (che nel frattempo erano diventate due).
All’Assemblea Nazionale, riunita lo scorso 18 luglio in seduta straordinaria, i ‘no’ hanno prevalso nettamente sui voti favorevoli espressi dal partito di sinistra “Levica”, che pur sostenendo l’esecutivo guidato da Robert Golob si è schierato contro l’aumento draconiano delle spese per la difesa fino al 5% del Pil fissato dall’ultimo summit della Nato risalente allo scorso 25 giugno.
Lubiana ha attualmente un livello di spese militari tra le più basse di tutta l’Alleanza Atlantica, pari all’1,3%, e Golob si è assunto l’impegno di portare il budget per la difesa al 3% entro il 2030. Un obiettivo condiviso dai liberali di Svoboda (al quale appartiene il premier), ma non dalla sinistra di Levica, che contesta sia la logica del riarmo e quindi dell’escalation bellica, sia il conseguente taglio della spesa sociale.
«Sono state soddisfatte le richieste degli Usa, che nel frattempo hanno iniziato un’altra guerra in Medio Oriente. Ma i leader europei non hanno mostrato alcuna indipendenza né a Gaza, né a Israele, né all’Iran» aveva affermato un portavoce del partito socialista, membro del Partito della Sinistra Europea e fondato nel 2017 dalla confluenza di due formazioni già esistenti.
Grazie al voto favorevole delle opposizioni di destra e dei socialdemocratici, la terza formazione che sostiene il governo, all’inizio del mese l’Assemblea Nazionale aveva approvato a maggioranza – con 46 ‘si’ su 90 deputati – la mozione di Levica che impegnava il paese a chiedere l’opinione dei cittadini e delle cittadine sul piano governativo.
Il voto aveva aperto una crisi nell’esecutivo, con i vari partiti e le istituzioni sottoposte a forti pressioni da parte dei partner dell’Alleanza militare occidentale.
Il primo ministro liberale si era rivolto all’opinione pubblica con toni apocalittici, bollando come un “inganno populista” la decisione di indire un referendum su materie ritenute evidentemente tabù. Poi Golob aveva rilanciato, proponendo a sua volta un referendum sulla permanenza del paese nell’Alleanza Atlantica (nella quale la Slovenia è entrata nel 2004) affermando: «o restiamo nella Nato e paghiamo la quota di adesione, oppure usciamo dall’Alleanza».
Drammatizzando la situazione, la mossa del primo ministro ha convinto una parte dei socialdemocratici e due rappresentanti delle minoranze linguistiche a cambiare schieramento, mentre le opposizioni di destra (i nazionalisti del Partito Democratico e i Cristiano-democratici del Nsi) e quattro dei sette deputati socialdemocratici si sono astenuti, affossando così il referendum sulle spese militari bollati dai liberali come “fuorvianti” e “ambigui”. La presidente della Repubblica, Nataša Pirc Musar, aveva da parte sua invitato tutti a non far fare al paese una brutte figura a livello internazionale.
Chiusa la questione che aveva provocato un terremoto, c’è da chiedersi se l’esecutivo di centrosinistra sloveno sarà in grado di recuperare la coesione, persa dopo aver portato a casa varie norme in controtendenza rispetto al vento di destra che si respira nel resto del continente. La maggioranza è stata infatti in grado di far approvare leggi come quella sul contrasto al cambiamento climatico, quella che pone dei limiti agli affitti brevi turistici, quella che regola il suicidio assistito e infine quella che consente la coltivazione della cannabis a fini terapeutici.
Nonostante l’egemonia dei liberali nella maggioranza, il governo ha assunto una posizione molto critica nei confronti di Israele, arrivando persino a proibire l’ingresso nel paese dei ministri fascisti Ben-Gvir e Smotrich, accusati di diffondere “dichiarazioni genocide”.
Ma la spaccatura tra Levica e liberali potrebbe ora pesare sulla stabilità del governo Golob, mettendo in crisi soprattutto i socialdemocratici che si dicono contrari all’aumento draconiano della spesa militare ma alla prova dei fatti non hanno retto le pressioni interne ed internazionali.
Anche le destre, che inizialmente avevano sostenuto la consultazione solo per provocare una crisi di governo, sono tornate sui loro passi.
Comunque gli ultimi sondaggi sembrano prevedere la fine della leadership liberale: mentre il Partito della Libertà di Golob è dato intorno al 20% i populisti di destra dell’SDP di Janez Janša sembrerebbero sfiorare il 30%. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria