Da mesi Panama è teatro di proteste sociali senza precedenti, che coinvolgono lavoratori e lavoratrici, comunità indigene, studenti, studentesse e movimenti popolari. La crescente insoddisfazione nasce da una sommatoria di fattori: l’imposizione di riforme controverse, la riapertura di progetti estrattivisti ambientalmente distruttivi, l’aumento della disuguaglianza sociale e una repressione sempre più violenta da parte dello Stato. Nel silenzio delle istituzioni internazionali, le forze di sicurezza hanno arrestato centinaia di manifestanti e la militarizzazione degli spazi pubblici è diventata la regola. A questo si sommano le minacce di licenziamenti di massa da parte di multinazionali come Chiquita e le denunce di violazioni dei diritti sindacali.

In questo contesto, abbiamo intervistato in esclusiva per Pagine Esteri Olmedo Carrasquilla II, attivista e voce di Radio Temblor, uno dei principali media indipendenti che coprono le lotte sociali panamensi. Olmedo ci racconta lo stato attuale della protesta, le sue radici, i risultati raggiunti finora e le prospettive future del movimento popolare in un Paese in bilico tra repressione e resistenza.

Come è oggi la situazione a Panama?

“Il governo attuale, guidato dal presidente José Raúl Mulino Quintero, funge da copertura e schermo per le azioni repressive che stiamo vivendo. Per esempio, la ministra del Lavoro ha presentato una domanda per sciogliere il sindacato più grande del paese, il Sindacato Unico dei Lavoratori e Simili (SUMTRAK), i cui dirigenti sono stati costretti all’esilio o condannati senza rispettare un giusto processo e le procedure legali. C’è una persecuzione in corso e il sistema giudiziario è in continuità con il governo, ovvero la giustizia è parziale e utilizzata per reprimere i settori popolari.

Questo è un punto chiave per comprendere la situazione attuale: prevalgono militarizzazione, repressione e violazione dei diritti umani. Il movimento sociale deve riconoscere che con questo governo bisogna cambiare strategia, perché è in atto una politica autoritaria e pro-aziendale che vuole soffocare ogni protesta o resistenza.”

Perché è iniziata la protesta?

“La protesta è iniziata circa un anno fa, con l’inizio della presidenza di José Raúl Mulino e il rinnovo del parlamento. Il movimento popolare ha presentato una richiesta per modificare la Legge 462 che riforma la Legge Organica della Sicurezza Sociale tramite la Caja de Seguro Social. Questa lotta è durata tre mesi e nasce principalmente per rispondere alle modalità autoritarie con cui è stata imposta la legge 462. Il governo ha totalmente ignorato i cabildos (consultazioni popolari) tenuti in diverse zone del paese. La presidenza, appartenente al partito ufficialista Plancho, ha escluso ogni processo consultivo e ha imposto la sua proposta in favore degli interessi aziendali.

Inoltre, la protesta ha contrastato la riapertura della miniera di rame Panamá. Miniera che si è cercato di riaprire nonostante due sentenze della Corte Suprema avevano dichiarato incostituzionali alcune disposizioni riguardanti la  stessa. Ci si è anche  opposti alla costruzione di una diga sul fiume Indio, che avrebbe allagato migliaia di contadini e compromesso comunità rurali. Un altro tema rilevante è stata la cessione di sovranità territoriale e garantita la possibilità statunitense di stare in territorio panamense, con tanto di minacce di intervento militare, e così commissariare l’operatività panamense del Canale di Panama.

Tutte queste problematiche, unite a corruzione e aumento della disuguaglianza sociale, hanno fatto scendere il popolo panamense in strada con proteste, marce e blocchi.”

Cosa si è ottenuto fino a oggi?

“Lo sciopero è terminato in modo accidentale, perché oltre alla lotta stessa, si doveva pensare a sostenibilità e risorse per mantenere le mobilitazioni. La repressione, la criminalizzazione della protesta e la censura mediatica hanno minato la continuità del movimento. Tuttavia, questo processo ha lasciato un insegnamento politico importante: il movimento sociale e il popolo panamense devono ripensare la strategia, poiché il governo ha imposto una politica di militarizzazione e sistematica violazione dei diritti umani.

Nonostante le difficoltà, il movimento è riuscito a dare visibilità alla lotta e a mantenere vivo lo spirito di resistenza. Il presidente dell’Assemblea dei Deputati ha aperto alla verifica e alla modifica degli articoli più controversi della legge, anche se molto resta da fare.”

Questa lotta ha un legame storico con il passato?

“Sì, la storia recente ha segnato questo momento. Durante il governo dell’ex presidente Ricardo Martinelli (2010-2014), José Raúl Mulino è stato ministro della Sicurezza ed è stato direttamente coinvolto nell’esecuzione di ordini per reprimere i popoli indigeni nella regione Ngäbe-Buglé, oltre che nelle province di Veraguas, Bocas del Toro e Colón. Quel governo ha avuto uno dei più alti numeri di morti durante proteste popolari. Già allora si poteva prevedere che l’azione dell’attuale governo sarebbe stata dura e repressiva.

Per maggiori informazioni e aggiornamenti, consiglio di seguire la pagina e i canali social di Radio Temblor, che coprono in modo indipendente e costante la lotta del popolo panamense.”

Cosa pensi possa accadere domani?

“Il movimento sociale si sta riorganizzando verso una nuova fase di lotta. Nonostante la situazione difficile, la missione che il movimento si sta dando è di prepararsi a continuare la battaglia. Questo significa ripensare le strategie e rafforzare l’organizzazione popolare, perché la militarizzazione e la repressione continueranno a essere la risposta del governo.

C’è speranza che la resistenza cresca e si fortifichi, e sarà fondamentale che media come Radio Temblor continuino a dare visibilità a questa lotta. Non si tratta solo della nostra organizzazione, ma dell’intero popolo panamense, che non è disposto a arrendersi.”

Quella che è iniziata come una protesta sindacale contro una riforma imposta dall’alto si è rapidamente trasformata in un movimento sociale di portata molto più ampia. Da rivendicazioni legate ai diritti del lavoro, la lotta ha abbracciato temi ambientali, di sovranità territoriale e di giustizia sociale, coinvolgendo comunità indigene, contadini, studenti e lavoratori di diversi settori. La repressione brutale e la militarizzazione non hanno fermato la mobilitazione, ma hanno reso evidente quanto profonda e diffusa sia la crisi strutturale che attraversa Panama. In questo scenario, la protesta non è solo una risposta a singole leggi o provvedimenti, ma un segnale di un popolo che reclama dignità, diritti e un futuro più giusto e sovrano.