Caracas. La folla colorata e festosa avanza verso il Palazzo di Miraflores cantando “Chávez corazón del pueblo”. Uno stormo di uccelli guacamayas si staglia nel tramonto caraibico, vince le ombre del recente temporale che ancora ristagnano sul palazzo presidenziale. A 12 anni dalla morte, l’ex presidente del Venezuela, scomparso il 5 marzo del 2013, rimane nel “cuore del popolo”, che ha festeggiato il suo compleanno n. 71 il giorno dopo del voto per le  comunali.

Quella del 27 luglio è stata l’elezione n. 33, relativa ai 335 municipi e ai consiglieri, più il voto della Consulta Popular, che ha riguardato la scelta dei progetti comunitari, soprattutto proposti dai giovani, a cui dare priorità. L’80% dei progetti già approvato nelle tre precedenti consultazioni, è già in fase di attuazione. Da queste elezioni, a cui hanno partecipato oltre il 44 per cento degli aventi diritto, e che ha fatto registrare quasi 300.000 voti in più rispetto a quelle dei governatori, che si sono svolte il mese scorso, emerge come la gioventù, che ha abbondantemente alimentato quell’oltre 44 per cento dei partecipanti, sia uno dei motori principali della rivoluzione bolivariana, che scommette sul “potere popolare”. L’identificazione di una grossa fetta di giovani con la proposta di trasformazione sociale del chavismo, che si è andata rideterminando per contrasto a quanto accade in altri paesi capitalisti della regione e d’Europa, dove la disaffezione giovanile alla politica si radica nella mancanza di opportunità concrete, qui è visibile in tutti i settori popolari e in buona parte della piccola borghesia.

Negli anni più duri dell’aggressione multiforme al “laboratorio bolivariano”, gli analisti politici del governo hanno visto aumentare il pericolo della disaffezione e la presa del fascismo sui giovani: soprattutto dovuti alla “emigrazione indotta” di giovani altamente formati, spinti a lasciare il paese in cerca del “sogno americano”. E hanno intensificato le politiche giovanili, in un paese che offre loro una presenza decisionale ai massimi livelli delle strutture politiche, che si rinnovano costantemente.

Lo si è visto in queste elezioni, dove sindaci e sindache giovanissimi sono stati super votati. La campagna per il ritorno in patria dei migranti deportati da Trump nei lager di Bukele in Salvador che atterrano quotidianamente in Venezuela con aerei del governo, insieme a un nugolo di bambini separati dai genitori, sta smascherando il vero volto del “sogno americano”, e ha avuto un effetto su questo voto popolare.

Ha certamente avuto un grosso effetto lo scambio di alcuni detenuti statunitensi, accusati di essere mercenari infiltrati o già condannati per gravi delitti, con i bambini tolti alle famiglie di migranti negli Stati uniti, che hanno potuto riabbracciare i loro cari in Venezuela. In questo modo, il governo bolivariano ha tolto un altro argomento di propaganda all’opposizione estremista che, dopo aver cavalcato abbondantemente questo tema, ha rilasciato varie dichiarazioni di appoggio alle politiche trumpiste definendo tutti criminali del “Tren de Aragua” i migranti venezuelani deportati.

Ora, come spesso accade nel “laboratorio bolivariano”, le madri di questi giovani migranti e i giovani stessi, sono stati inglobati in un movimento, coordinato dalla viceministra degli Esteri, Camilla Fabri, che ha organizzato un emotivo incontro con le Madri della Plaza de Mayo argentine, la figlia del Che, Aleida Guevara, donne palestinesi, africane e europee, nell’ambito del Congresso per la pace e contro la guerra che si è svolto in questi giorni.

In questo ambito, gli invitati internazionali che hanno accompagnato le elezioni (provenienti da tutti i continenti), hanno respinto con ironia le recenti dichiarazioni del segretario di Stato, Marco Rubio, che ha definito Maduro non come presidente del Venezuela, ma come il capo del “Cartello dei Soli”, e ne ha aumentato la taglia, nel consueto stile Far West del tycoon nordamericano. Una decisione che ha ricevuto il plauso della destra golpista, capitanata da Maria Corina Machado, molto presente sui media occidentali, ma sempre più assente dalla realtà del paese.

Il quadro elettorale fotografa, infatti, anche il mutamento avvenuto nelle fila dell’opposizione (“quella che ha i voti, perché gli altri hanno solo fantasmi”, dicono i dirigenti chavisti). Partiti di destra neoliberista, come Primero Justicia e Voluntad Popular sono praticamente scomparsi, mentre l’Alleanza Democratica, Fuerza Vecinal e il partito Vamos Cojedes sono risultati le prime forze politiche di opposizione, raggiungendo la maggioranza nelle comunali che hanno permesso di conquistare 50 municipi. In questo contesto, emerge la figura del governatore dello stato Cojedes, Alberto Galíndez, che si è staccato dal partito Primero Justicia per fondare un partito regionale, Vamos Cojedes, che ora ha vinto in tutti i municipi dello Stato e ha assunto una visibilità nazionale.

Questa nuova opposizione ha ovviamente obiettivi opposti a quelli del socialismo bolivariano e i rappresentanti del Psuv promettono di darle battaglia nei territori, chiamandola a misurarsi sui progetti votati dalle comunità, però il governo plaude al fatto che abbia accettato la dialettica democratica. Per questo, Maduro ha invitato tutti gli eletti a un incontro seminariale di due giorni per “il bene del paese”.

“In futuro, vedremo una forma di democrazia più viva, vigorosa, attiva e basata sulla consultazione diretta, e non sul: vota per me che io farò questo e quello”, ha affermato Jorge Rodríguez, capo del Comando di campagna “Aristobulo Histuriz”, facendo il bilancio del voto.

La consegna di Hugo Chávez  – “Comuna o nada!” – continua a essere l’orizzonte strategico che orienta la costruzione dal basso di un nuovo tipo di Stato basato sull’autogoverno, in cui le comunità organizzate devono assumere un ruolo centrale nella direzione della società. In questa prospettiva, avere il controllo politico del territorio risulta fondamentale, considerando che il peso del settore privato può farsi sentire.

E in questo orizzonte vanno inquadrate queste elezioni, che hanno tinto ancora di più di rosso la geografia territoriale del paese. Le candidate e i candidati del Gran Polo Patriótico Simón Bolívar (Gppsb), l’alleanza che comprende il partito di governo (Psuv) più un arco di altre formazioni, come il Partito comunista (quello maggioritario) e altri partiti progressisti, ha ottenuto 285 municipi, ossia l’85% del totale, l’opposizione, 50. Il chavismo ha vinto in 23 capitali dei 24 stati del paese, più il Distretto Capitale, dove è stata rieletta la sindaca Carmen Meléndez, con la più alta percentuale mai ottenuta in un’elezione: l’86,4%.

Il successo di iniziative come “la carovana delle soluzioni”, messa in atto dalla sindaca per portare la gestione governativa direttamente alle comunità, evidenzia un modello di governance che basa la sua legittimità sulla risoluzione concreta delle necessità popolari, una politica essenziale per mantenere l’egemonia fra le classi subalterne, zoccolo duro del voto socialista.

La gente, oggi, “dalla politica si aspetta risposte a problemi concreti, vuole governanti che risolvano i problemi, che mantengano la pace e che recuperino un buon tenore di vita e l’economia”, ha affermato Jorge Rodríguez. I dati degli organismi internazionali indicano che l’economia venezuelana continua a essere in crescita, che sta affrontando il bloqueo degli Stati uniti facendo sempre più conto sulla produzione locale, che già copre quasi il 90% del fabbisogno alimentare.

Inoltre, dopo un’altalena di stop and go, Trump sembra aver concesso alla Chevron la licenza di continuare a estrarre petrolio in Venezuela: un sollievo non di poco conto perché consente di vendere il petrolio a prezzo di mercato e non essere obbligati a svenderlo per convincere gli acquirenti a rischiare le ritorsioni dei “sanzionatori”. E già dopo poche settimane, nel paese che possiede le prime riserve di petrolio al mondo, ma che non può accedere a nessun tipo di credito o aiuto  internazionale, le entrate dello Stato hanno ricevuto un incremento sostanziale.

La capacità del PSUV di mobilitare le masse popolari e ottenere un appoggio decisivo nelle urne indica che, nonostante le pressioni esterne, il governo è riuscito a superare le principali difficoltà economiche, e il blocco storico bolivariano mantiene una base sociale solida, radicata nelle classi lavoratrici e nei settori più vulnerabili della società.

Si è completato un ciclo, si deve passare a una tappa di costruzione di un governo eminentemente popolare, ha detto Maduro dal balcone presidenziale: “meno scrittorio più territorio dev’essere la consegna”. Il presidente si è rivolto in particolare alle donne e ai movimenti femministi, ai giovani, che sono la colonna portante di questa rivoluzione. Gli ha risposto un concerto di clacson proveniente dai collettivi di motociclisti presenti che, come di consueto, si sono fatti sentire. Pagine Esteri