la foto da commons.wikimedia è di Alisdare Hickson
Il governo israeliano ha comunicato ufficialmente a Washington la sua intenzione di imporre unilateralmente nei prossimi mesi la sovranità sulla Cisgiordania palestinese occupata. Secondo rivelazioni del sito Walla, l’annuncio formale potrebbe arrivare già entro la fine dell’anno, in risposta all’annunciato riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di Francia, Gran Bretagna e Australia. Il ministro degli Esteri Gideon Saar, nel suo incontro con la controparte statunitense Marco Rubio, ha confermato che la decisione sarà attuata «in modo discreto e senza clamore mediatico», ma con effetti irreversibili sul terreno.
Dietro le dichiarazioni pubbliche su Gaza, Libano, Siria e Iran, fonti israeliane hanno rivelato che la questione annessione è stata al centro dei colloqui riservati con Washington. Nel governo Netanyahu esiste un consenso di principio sull’imposizione della sovranità, ma restano divergenze sulle modalità e sulla tempistica: c’è chi spinge per un annuncio come ritorsione politica al riconoscimento internazionale dello Stato di Palestina e chi lo vorrebbe come atto ideologico indipendente, parte integrante del progetto di “Eretz Israel”.
La Knesset israeliana ha già approvato, il mese scorso, una risoluzione simbolica che chiede l’annessione della Cisgiordania e della Valle del Giordano: un voto privo di effetti immediati ma considerato un chiaro segnale politico. Fonti di Axios rivelano che Israele sta valutando tre opzioni: l’annessione totale dell’Area C (pari al 60% della Cisgiordania), l’annessione di insediamenti e vie di collegamento (circa il 10%) oppure una soluzione intermedia che includa insediamenti, strade e Valle del Giordano (30%). Un funzionario europeo, citato dallo stesso sito, ha riferito che il ministro israeliano Ron Dermer avrebbe già comunicato all’Eliseo che la prima ipotesi – l’assorbimento di tutta l’Area C – è la più realistica.
La scelta dipenderà anche dall’atteggiamento dell’amministrazione Trump. Durante il suo precedente mandato, l’ex presidente si era opposto formalmente a due tentativi di annessione, ma questa volta le circostanze appaiono diverse. Washington e Tel Aviv condividono la contrarietà al riconoscimento internazionale della Palestina e non escludono altre misure punitive contro l’Autorità Nazionale Palestinese. Gli Stati Uniti hanno già revocato i visti ai leader palestinesi, incluso il presidente dell’Anp Mahmoud Abbas, impedendo loro di partecipare all’Assemblea generale dell’ONU di settembre.
Gli esperti di diritto internazionale ricordano che qualsiasi annessione della Cisgiordania costituirebbe una violazione della Carta delle Nazioni Unite e delle Convenzioni di Ginevra, configurando un crimine di guerra già al vaglio della Corte penale internazionale. L’Unione europea ha avvertito che una simile mossa potrebbe comportare sanzioni contro Israele, anche se il fronte europeo non appare compatto.
Parallelamente, la Casa Bianca sta discutendo un piano per Gaza che non nasconde l’intento di ridisegnare la demografia attraverso una pulizia etnica mascherata da una “emigrazione volontaria” e l’assetto politico dell’enclave palestinese. Secondo il Washington Post, il progetto denominato GREAT Trust (Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation) prevede un’amministrazione fiduciaria statunitense di dieci anni, fino a quando «una comunità politica palestinese riformata e deradicalizzata» non sarà pronta a governare. Nel frattempo, Gaza dovrebbe trasformarsi in una “Riviera del Medio Oriente”, con mega-progetti infrastrutturali e investimenti miliardari.
Il documento trapelato, preparato dal Boston Consulting Group, calcola un ritorno quadruplicato sugli investimenti (circa 100 miliardi di dollari) e include incentivi finanziari per favorire “l’emigrazione” di una parte consistente della popolazione. Circa un quarto dei due milioni di abitanti riceverebbe 5.000 dollari in contanti, affitti pagati per quattro anni e un anno di generi alimentari per lasciare la Striscia, molti in modo definitivo. L’idea è che fino a 375.000 persone abbandonino Gaza durante la fase di ricostruzione.
Il piano rievoca, sotto nuove forme, vecchi progetti di pulizia etnica che mirano a ridurre la presenza palestinese nei territori contesi. Una volta completata la trasformazione economica e sociale, la nuova Gaza dovrebbe aderire agli Accordi di Abramo, la piattaforma di normalizzazione tra Israele e Paesi arabi promossa da Trump.
Né la Casa Bianca né il Dipartimento di Stato hanno voluto commentare ufficialmente, ma il fatto che alla riunione preparatoria abbiano partecipato figure come Marco Rubio, Jared Kushner e l’ex premier britannico Tony Blair conferma la serietà del progetto.
La combinazione dei due dossier – l’annessione della Cisgiordania e la gestione fiduciaria di Gaza – disegna un futuro che nega completamente il diritti dei palestinesi.