Una sconfitta cocente. La prima da quando è diventato presidente. Le elezioni provinciali di Buenos Aires sono andate come Milei non voleva. A scrutinio quasi completato Axel Kicillof, governatore uscente e candidato peronista, ha ottenuto il 46,8% dei voti; La Libertad Avanza, il partito del presidente, si è fermata al 33,8%. Il distacco è netto e riflette una battuta d’arresto politica significativa, soprattutto in una provincia che rappresenta il 40% dell’elettorato nazionale e che elegge 46 deputati e 23 senatori provinciali.
Sul versante della partecipazione, si registra un calo preoccupante: nell’ultima elezione provinciale di pari natura, quella per la carica di governatore nel 2023, l’affluenza era stata del 75,5%. Oggi siamo ben al di sotto, a testimonianza di una crescente disaffezione e stanchezza democratica. Il dato definitivo non è ancora ufficializzato, ma la tendenza è chiara: la vittoria del peronismo si erge anche sul crollo della partecipazione.

Però per il peronismo non c’è molto da sorridere, perché Kicillof è parte di quel potere che una larga parte della popolazione argentina ha già rifiutato. La sua figura è radicata nella stagione economica più controversa del kirchnerismo, e il suo nome evoca più continuità che rinnovamento. Se da un lato riesce a ricompattare l’universo vicino ai Kirchner e rafforzare la propria leadership nel partito, dall’altro resta un volto difficile da spendere a livello nazionale, poco capace di parlare a un Paese esasperato e frammentato.

Nel frattempo, la destra argentina cambia volto, e radicalmente. La Libertad Avanza ha ormai conquistato l’egemonia nello spazio anti-peronista, relegando ai margini sia Propuesta Republicana di Mauricio Macri sia il Partito Radicale. Ma non si tratta solo di un cambio di leadership: si tratta di una svolta ideologica profonda. LLA è un partito ultra-liberista in economia, negazionista della dittatura militare, ostile al movimento per i diritti umani, a quello femminista,  e impregnato di una cultura politica apertamente violenta, autoritaria e anti-democratica. Il linguaggio pubblico di Milei, i suoi attacchi costanti contro i media, il potere giudiziario, i sindacati e persino il Parlamento, hanno trasformato il confronto politico in uno scontro permanente, e costruito consenso su un’agenda di demolizione istituzionale più che di riforma.
Eppure, nonostante la sconfitta, Milei resta centrale nel panorama politico argentino. LLA ha costruito in meno di due anni una forza politica nazionale, smantellando la vecchia destra moderata e catalizzando il malcontento sociale. Il partito ha pagato caro però lo scandalo che coinvolge Karina Milei, sorella del presidente e Segretaria Generale della Presidenza. L’inchiesta, ancora in corso, riguarda un sistema di tangenti su appalti pubblici per farmaci destinati ai disabili: si parla di percentuali fisse sulle forniture e audio compromettenti registrati persino nella Casa Rosada. Il governo ha reagito parlando di complotto, ma la vicenda ha inciso sull’immagine di un presidente che aveva fatto della lotta alla “casta” la sua bandiera.

Lo sguardo adesso si sposta sul 26 ottobre, data cruciale per le elezioni di medio termine, quando si voterà per rinnovare 127 seggi della Camera e un terzo del Senato. Nonostante le ferite, La Libertad Avanza parte favorita per aumentare la propria rappresentanza, grazie alla debolezza strutturale del peronismo e alla scomparsa del centrodestra. La sua crescita è certa, il sogno di Milei la maggioranza per smettere di governare a suon di decreti. La sconfitta brucia, ma Milei non è fuori dai giochi: è ancora l’uomo attorno a cui ruota, nel bene o nel male, l’intero sistema politico argentino.