Sono oltre 10mila i prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane. Uomini e donne, minori, studenti universitari, sindacalisti, giornalisti, parlamentari. Migliaia di loro sono trattenuti in detenzione amministrativa, una pratica che consente allo Stato di incarcerare per mesi o anni senza processo e senza accuse formali. Le loro condizioni di vita sono da tempo oggetto di denunce da parte di organizzazioni locali e internazionali. Negli ultimi mesi il tema del cibo si è imposto con urgenza, dopo che centinaia di testimonianze hanno parlato di razioni ridotte a livelli di mera sopravvivenza. Ieri la Corte Suprema israeliana ha riconosciuto la fondatezza di queste denunce.
Con un voto di due a uno, i giudici hanno stabilito che lo Stato non ha adempiuto ai suoi obblighi legali e ha ordinato di garantire ai prigionieri palestinesi classificati come “di sicurezza” un’alimentazione sufficiente a “consentire loro un’esistenza di base”.
La decisione rappresenta un colpo per Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza Nazionale e leader dell’estrema destra kahanista, che da tempo rivendica la linea dura nelle carceri. Non solo più sorveglianza e isolamento, ma una vera e propria guerra psicologica contro i detenuti palestinesi, nella convinzione che peggiorare le loro condizioni possa colpire indirettamente la società palestinese nel suo insieme. “I terroristi devono marcire in prigione”, ha ripetuto più volte Ben Gvir, arrivando a ridurre la qualità delle razioni alimentari subito dopo il 7 ottobre 2023.
La giudice Daphne Barak Erez, che ha scritto l’opinione di maggioranza, ha ricordato che “la fornitura di cibo non può essere usata come mezzo di punizione” . I documenti depositati dall’Associazione per i Diritti Civili in Israele (ACRI) e da Gisha hanno infatti mostrato come la dieta approvata sulla carta – 2300 calorie giornaliere – si traducesse in realtà in porzioni ridotte, insufficienti e di pessima qualità. Pane, margarina e una crema dolce simile alla marmellata costituivano spesso il pasto principale.
Secondo testimonianze raccolte dagli avvocati di Hamoked, molti detenuti hanno perso più di 20 chili in un anno di reclusione. Usciti di prigione, hanno parlato di “fame costante ed estrema”, di debolezza fisica, di carenze nutrizionali che si aggiungevano agli effetti già pesanti della detenzione, dell’isolamento e delle violenze subite.
Ben Gvir ha reagito furiosamente alla sentenza, accusando i giudici di “difendere i terroristi” mentre “i nostri ostaggi languono nei tunnel di Gaza senza nessuna protezione”. Il ministro non ha mai nascosto il suo intento punitivo e più volte si è detto orgoglioso di aver ridotto la qualità e la quantità delle razioni alimentari per i prigionieri palestinesi. Il mese scorso peraltro ha fatto notizia la sua decisione far affiggere nelle carceri immagini di Gaza distrutta dalle bombe e di incontrare Marwan Barghouti, il più noto dei prigionieri politici, al quale, come mostra un video, ha rivolto minacce e ribadito l’intenzione di Israele di usare il pugno di ferro contro Gaza e tutti i palestinesi.
Per le organizzazioni che hanno promosso la petizione, il verdetto rappresenta un passo importante. Noa Sattath, direttrice di ACRI, ha parlato di una “vittoria cruciale per lo stato di diritto e la dignità umana” che “ha respinto inequivocabilmente la politica sistematica di fame di Ben Gvir”.