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Un Paese di 46 milioni di abitanti si trova stretto nella morsa della sua peggior crisi idrica della storia recente. L’Iraq sta vivendo un’annata di siccità tra le più gravi dell’ultimo secolo: i livelli dei due fiumi principali, Tigri ed Eufrate, sono crollati fino al 27% della loro portata abituale, compromettendo l’ecosistema, la sopravvivenza delle comunità locali e l’economia di un territorio che un tempo veniva celebrato come la “Mezzaluna fertile”.

La scarsità d’acqua, spiegano le autorità, non è solo conseguenza diretta dei cambiamenti climatici – con precipitazioni sempre più scarse e temperature in aumento – ma anche di fattori esterni. In particolare, le dighe costruite a monte da Turchia e Iran hanno drasticamente ridotto l’afflusso verso l’Iraq, che riceve meno del 35% della quota teoricamente spettante.

Ecosistema sotto assedio

Nelle ultime settimane, soprattutto nel sud del Paese, l’Eufrate ha raggiunto il livello più basso degli ultimi decenni. Per mantenere in vita il fiume, Baghdad è stata costretta a rilasciare più acqua dai suoi serbatoi di quanta ne riesca a immagazzinare, una strategia che non potrà reggere a lungo. Intanto, l’acqua stagnante e povera di ossigeno favorisce la proliferazione di alghe, con conseguenze devastanti sulla fauna acquatica.

L’agenzia Asianews riferisce che il ministero delle Risorse idriche ha reso noto che le attuali riserve rappresentano appena l’8% della capacità di stoccaggio. Il ministero dell’Ambiente ha aggiunto un ulteriore campanello d’allarme: in province come Kerbala e Najaf l’acqua risulta contaminata da batteri e infestata da alghe. A Nassiriya, lungo l’Eufrate, un fotografo ha documentato la diffusione del giacinto d’acqua, pianta invasiva che assorbe fino a cinque litri d’acqua al giorno, soffocando la vita del fiume.

Bassora, città fragile

Il sud del Paese è la zona più colpita. Bassora, centro petrolifero e portuale con 3,5 milioni di abitanti, si conferma tra le aree più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Qui, l’intrusione di acqua salata nel sistema fluviale ha causato la scomparsa di almeno 26 specie marine, secondo l’esperto di risorse idriche Alaa Al-Badrani. Per gran parte della popolazione l’acqua potabile arriva ormai solo tramite consegne quotidiane, condizione che accentua precarietà e disuguaglianze sociali.

“Il declino delle precipitazioni e l’aumento delle temperature sono fenomeni globali, ma la crisi idrica irachena è anche frutto delle restrizioni imposte dai Paesi vicini e dell’abbandono interno”, ha osservato Hayder Al-Shakeri, ricercatore presso Chatham House rispondendo alle domande di Asianews. “La corruzione e l’interesse personale dell’élite politica hanno indebolito la capacità dello Stato, lasciando spazio a pressioni esterne da parte di Turchia e Iran”.

Tra disperazione e memoria storica

La sete dell’Iraq non porta con sé solo sofferenza. La ritirata delle acque ha infatti svelato pagine sepolte della sua storia millenaria. Nel nord del Paese, lungo la diga di Mosul, sono riemerse circa 40 tombe risalenti a oltre 2300 anni fa, al periodo ellenistico che seguì la fondazione dell’impero seleucide. Un ritrovamento iniziato nel 2023 con cinque siti e ampliato nei mesi scorsi, che dimostra come anche in tempi di crisi l’antica Mesopotamia continui a restituire tracce della sua civiltà.

Un futuro incerto

La prospettiva resta drammatica. Gli esperti avvertono che senza interventi urgenti – accordi equi sulla gestione delle acque, politiche interne efficaci e infrastrutture adeguate – l’Iraq rischia di precipitare in una spirale di desertificazione, conflitti per le risorse e migrazioni forzate.