Dopo mesi di tensione armata e di trattative sotterranee, il governo della Libia riconosciuto dalle Nazioni Unite ha raggiunto un accordo con la potente milizia Radaa, che da anni controlla ampie porzioni di Tripoli. L’intesa, frutto di una mediazione portata avanti da Turchia e dalla missione delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), mira a riportare sotto l’autorità statale due settori strategici finora in mano alla milizia: gli aeroporti della Libia occidentale e il sistema carcerario della capitale.

Secondo quanto riferito da fonti governative, Radaa dovrà cedere la gestione dell’aeroporto di Mitiga — il principale scalo di Tripoli — e di altri tre aeroporti dell’ovest libico a un comando congiunto e “neutrale”, sottraendoli al proprio controllo esclusivo. Contestualmente, tutte le prigioni e i centri di detenzione oggi nelle mani della milizia passeranno alla giurisdizione della Procura generale dello Stato. È prevista inoltre la sostituzione del capo della polizia giudiziaria, Osama Najim, considerato vicino a Radaa, con una figura accettata da entrambe le parti.

L’accordo giunge dopo settimane di alta tensione a Tripoli, dove nelle ultime settimane si sono registrati scontri sporadici e movimenti di truppe che avevano fatto temere una nuova escalation. Radaa, ufficialmente una forza di polizia d’élite affiliata al Ministero dell’Interno, esercita da anni un potere autonomo di fatto: oltre a controllare Mitiga, è responsabile di alcune delle carceri più dure della capitale, comprese quelle dove sono detenuti oppositori politici, migranti e sospetti estremisti. La sua influenza e le sue ramificazioni economiche l’hanno resa uno degli attori più potenti e controversi dello scacchiere tripolino. La milizia Radaa, che conta circa 1.500 uomini, annovera tra le sue figure di spicco anche Osama Elmasry, rientrato in Libia in modo trionfale (con un viaggio finanziato dal governo Giorgia Meloni) per sottrarsi a un mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale.

Il consigliere presidenziale Ziyad Deghem ha ringraziato pubblicamente la Turchia per i “notevoli sforzi” compiuti nella mediazione e ha lodato il ruolo dell’UNSMIL, definito “essenziale e decisivo” per sbloccare l’impasse. L’obiettivo, secondo Deghem, è “ristabilire il controllo statale sulle infrastrutture vitali della capitale, riducendo la frammentazione della sicurezza che per anni ha alimentato instabilità e violenze”.

Nonostante l’annuncio, restano forti dubbi sull’attuazione concreta dell’intesa. Il trasferimento di aeroporti e carceri richiederà tempo, risorse e una catena di comando credibile, mentre altre milizie potrebbero percepire l’accordo come uno sbilanciamento degli equilibri interni. Anche all’interno di Radaa non è scontata l’adesione unanime: alcune sue componenti potrebbero ostacolare l’esecuzione temendo di perdere rendite e potere.

Per molti osservatori, il successo dell’operazione dipenderà dalla capacità del governo di garantire sicurezza e stipendi regolari al personale che subentrerà a Radaa, e dalla disponibilità della milizia a dismettere davvero parte del proprio arsenale e delle proprie prerogative. Senza un reale cambiamento nei rapporti di forza, avvertono, l’accordo rischia di restare sulla carta.

Dopo oltre tredici anni dalla rivolta, sostenuta dalla NATO, che ha rovesciato il leader di lunga data Muʿammar Gheddafi, Tripoli continua a essere frammentata. Un Paese diviso in due. Da un lato la Cirenaica, guidata dal clan Haftar. Dall’altro la Tripolitania di Abdul Hamid Dbeibah, che regge il governo riconosciuto dall’Onu. L’instabilità aumenta gli appetiti degli attori internazionali (Russia e Turchia in particolare), che vorrebbero garantirsi il controllo della regione. Pagine Esteri