Pagine Esteri – Anche se l’attenzione del mondo è concentrata soprattutto sugli scenari ucraino e mediorientale, in Estremo Oriente la tensione tra i diversi attori geopolitici continua a salire, con diversi paesi – a partire dagli Stati Uniti – che continuano ad adottare misure dirette a “contenere” la crescita dell’egemonia cinese.
Lunedì scorso Washington ha presentato per la prima volta in Giappone il suo sistema missilistico a corto raggio Typhon, che gli Stati Uniti sono pronti a schierare nella base di Iwakuni proprio in funzione soprattutto anticinese. Nell’aprile del 2024 il Typhon è già stato schierato nelle Filippine, suscitando le aspre critiche da parte di Pechino e di Mosca che hanno accusato la Casa Bianca di alimentare una pericolosa corsa agli armamenti.
D’altronde tutti i paesi dell’area stanno aumentando in maniera rapida e consistente la spesa militare. Se la Cina quest’anno aumenterà il budget della Difesa del 7,2%, il Giappone ha deciso una spesa aggiuntiva, rispetto al 2024, di ben il 9,4%.
Il Typhon può lanciare missili SM-6 progettati per colpire navi o aerei a distanze superiori anche ai 200 km. Il lanciatore terrestre, inoltre, è in grado di sparare missili da crociera Tomahawk con una gittata sufficiente a colpire la costa orientale della Cina (e della Russia) dal Giappone.
Il lanciatore sarà il protagonista dell’edizione di quest’anno delle esercitazioni “Resolute Dragon”. Le manovre militari, della durata di due settimane, coinvolgono circa 20 mila soldati giapponesi e statunitensi, oltre a varie navi da guerra e batterie missilistiche.
Gli Stati Uniti descrivono Iwakuni come parte della “Prima catena di isole”, una serie di territori e basi che si estendono dal Giappone alle Filippine e che Washington e i suoi alleati nell’area intendono utilizzare per contrastare l’espansione della potenza marittima di Pechino.
I militari giapponesi, insieme a quelli sudcoreani e statunitensi, sono impegnati anche in altre esercitazioni aeree e navali, ribattezzate “Freedom Edge”, iniziate lunedì al largo dell’isola sudcoreana di Jeju. Questa volta a protestare è stata la Corea del Nord, il paese contro il quale è diretto l’attivismo dei tre paesi nell’area.
Anche più a sud continuano le scaramucce per il controllo di alcuni tratti di mare al largo della cosiddetta Secca di Scarborough – che i cinesi chiamano “Isola di Huangyan” e i filippini “Secca di Panatag” – al centro di un contenzioso tra Manila e Pechino nel Mar Cinese Meridionale che dura da decenni.
Nei giorni scorsi la Guardia costiera cinese ha informato di aver adottato delle “misure di controllo” contro alcune delle 10 imbarcazioni filippine «che operavano nelle acque territoriali della Secca di Scarborough», che Pechino rivendica e controlla. La Guardia Costiera di Pechino ha affermato di aver utilizzato gli idranti per allontanare alcune navi filippine dopo che una di queste aveva speronato una delle sue motovedette. Manila ha reagito denunciando «l’azione aggressiva» della controparte, sostenendo che le imbarcazioni in questione fossero nell’area per rifornire un gruppo di 35 pescherecci filippini.
La aree rivendicate dalla Cina si sovrappongono però alle Zone Economiche Esclusive (Zee) di Brunei, Indonesia, Malesia, Filippine e Vietnam, il che genera delle controversie sulla proprietà di varie isole che hanno causato negli ultimi anni anche scontri violenti. Anche se nel 2016 la Corte permanente di arbitrato dell’Aia ha stabilito che le rivendicazioni territoriali cinesi non sono suffragate dal diritto internazionale, Pechino non ha accettato la sentenza e continua a operare per assicurarsene il controllo.
Nelle ultime settimane sono quindi riprese le scaramucce per il possesso della Secca di Scarborough e del relativo atollo, che si trova a 200 km a ovest dell’isola filippina di Luzon. Dal 2012 la marina di Pechino ne ha assunto il controllo e da allora cerca di impedire, anche con la forza, che i pescatori e le motovedette filippine di avvicinino al territorio conteso. La settimana scorsa, poi, il governo cinese ha annunciato che nell’area intende realizzare una riserva naturale su parte dell’atollo.
A novembre era stato il presidente filippino, Ferdinand Marcos Junior, a firmare due leggi dirette a delineare i confini marittimi del paese nel Mar Cinese Meridionale, includendo ovviamente la zona dove si trova la Secca, contigua a una delle più importanti rotte marittime commerciali del pianeta, del valore di 3 mila miliardi di dollari all’anno.
Le Filippine – e gli Stati Uniti – temono che Pechino possa costruire nell’area un’isola artificiale come ha già fatto su sette diverse barriere coralline nelle Isole Spratly – un arcipelago ricco di giacimenti petroliferi conteso da Vietnam, Filippine, Cina, Malesia, Taiwan e Brunei – alcune delle quali dotate di radar, piste di atterraggio e sistemi missilistici.
Più a nord intanto, il governo di Taiwan ha presentato il suo primo missile prodotto congiuntamente con un’azienda statunitense, segnando un passo importante nella rapida crescita della cooperazione in materia di difesa tra Taipei e Washington. In vista della Taipei Aerospace and Defence Technology Exhibition, il National Chung-Shan Institute of Science and Technology (NCSIST), di proprietà militare, ha presentato il Barracuda-500, un missile da crociera a basso costo progettato dalla startup statunitense Anduril Industries. L’NCSIST ha affermato che, attraverso il trasferimento di tecnologia, intende produrre in serie a Taiwan il missile, progettato per attacchi di gruppo contro navi da guerra (ovviamente cinesi) e simile ai droni esplosivi.
Taiwan si è posta l’obiettivo di spendere il 5% del suo PIL per la difesa entro il 2030, rispetto a quello del 3,3% dell’anno prossimo. – Pagine Esteri