In acque internazionali, a sud di Creta, la Global Sumud Flotilla è stata attaccata dall’alto. Droni, granate assordanti, spray urticanti e materiale non identificato hanno colpito ripetutamente le imbarcazioni dirette a Gaza con aiuti umanitari. Secondo i racconti diffusi dagli attivisti, almeno dieci, forse quindici, sono stati gli assalti subiti.
Non si registrano feriti, ma i danni non sono trascurabili. La Zefiro ha subito la rottura dello strallo di prua, elemento essenziale per la stabilità dell’albero maestro, mentre la Morgana, che imbarca alcuni cittadini italiani, non può più utilizzare la randa, la vela principale. Colpita anche la Taigete, che però sembra non aver riportato danni gravi.
A bordo della Morgana si trova Maria Elena Delia, portavoce per l’Italia della Flotilla, che per tutta la notte ha raccontato su social media la successione degli attacchi. In un video, registrato dopo una delle incursioni, afferma: «Gli attacchi alle imbarcazioni della Flotilla mettono a rischio la vita di chi è a bordo. Quanto sta accadendo è di una gravità senza precedenti perché avviene in acque internazionali, nella più totale illegalità. Abbiamo già allertato chi di dovere, anche la Farnesina, e stiamo cercando di far sapere cosa avviene».
VIDEO-LA TESTIMONIANZA DI MARIA ELENA DELIA – (guarda su Facebook)
Tel Aviv però non cambia posizione ed è determinata a mantenere il blocco navale imposto a Gaza.
La Global Sumud Flotilla è composta da 51 imbarcazioni, salpate con l’obiettivo di consegnare aiuti umanitari alla popolazione palestinese e rompere l’isolamento di Gaza sotto attacco. Non è la prima volta che simili missioni si trovano ad affrontare ostacoli. Già nel 2010 la Freedom Flotilla fu intercettata in acque internazionali da commandos israeliani: l’assalto alla nave Mavi Marmara costò la vita a dieci attivisti turchi e provocò una crisi diplomatica tra Ankara e Tel Aviv. Da allora, decine di iniziative simili hanno provato a forzare il blocco, spesso venendo fermate o sequestrate prima di raggiungere la Striscia.
Anche quest’anno i tentativi sono stati molteplici. A giugno e luglio Israele aveva già impedito ad altre imbarcazioni della Flotilla di proseguire verso Gaza, mentre il 9 settembre, al largo di Tunisi, gli attivisti avevano denunciato attacchi aerei con dinamiche simili a quelli registrati nelle ultime ore. Per gli organizzatori, si tratta di vere e proprie «operazioni psicologiche» volte a intimidire e demoralizzare chi partecipa alla missione. Ma la determinazione sembra prevalere: «Non abbiamo armi. Non rappresentiamo una minaccia per nessuno, trasportiamo soltanto aiuti umanitari», ribadiscono in un comunicato diffuso sui social.
Gli attacchi della notte scorsa sono arrivati poche ore dopo il rifiuto della Flotilla di accettare la proposta israeliana di far sbarcare il carico nel porto di Ashkelon. Un’opzione considerata irricevibile dagli attivisti, che temono che gli aiuti possano essere sequestrati o utilizzati come strumento politico. «I precedenti di Israele di intercettare le navi, bloccare i convogli e limitare le rotte dimostrano che la sua intenzione non è facilitare gli aiuti umanitari, ma di controllarli, ritardarli e negarli», hanno scritto in un comunicato.
Secondo gli attivisti, accettare la “proposta” israeliana significherebbe legittimare un blocco che non ha basi legali e che, come hanno stabilito diversi investigatori delle Nazioni Unite, si configura come parte integrante del «genocidio in corso a Gaza».
Le autorità israeliane spiegano il blocco di Gaza con la necessità di impedire l’ingresso di armi e materiali a Hamas, ma numerosi rapporti indipendenti hanno dimostrato che la restrizione colpisce in primo luogo i civili e riduce drasticamente le possibilità di sopravvivenza della popolazione.
La vicenda della Global Sumud Flotilla mette nuovamente sotto i riflettori la questione della legalità delle operazioni israeliane in mare aperto. Il diritto internazionale riconosce la libertà di navigazione in acque internazionali e non prevede che uno Stato possa imporre un blocco a lungo termine su un territorio altrui, soprattutto quando esso si traduce in punizione collettiva. Per questo la Flotilla insiste: «Non interpreti la comunità internazionale le dichiarazioni di Israele come semplici istruzioni operative, perché rappresentano la continuazione di un assedio illegittimo».