Corri, fiume Saloya.
“Corri fiume
Fiume Saloya
Acqua da sogno
Desidero poterti salvare
Per ambizione vogliono deviare
Vogliono prosciugare il sangue delle mie vene
Il cuore si fermerà
E morirà un intero ecosistema
Salviamo il fiume Saloya
Resisti fiume Saloya”
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Fiume Saloya, Ecuador. (Flickr)
In Ecuador ci sono più di 2000 fiumi e torrenti distribuiti in tutto il paese. Molti di essi attraversano città importanti come Quito, e riflettono l’abbandono, la crescita urbana e l’industrializzazione proprie delle grandi metropoli. I cittadini e le aziende li utilizzano da decenni come discariche, dove buttano i loro rifiuti domestici, industriali e agricoli. Negli ultimi anni, attivisti, avvocati e cittadini si sono organizzati per proteggere il medioambiente, e per dare una nuova vita ai fiumi inquinati. In un paese che riconosce la Pachamama – la natura – come soggetto di diritto, grazie alla Costituzione del 2008, le cause legali hanno intrapreso un cammino insolito: i fiumi sono esseri viventi e hanno il diritto di essere salvati.
Il risveglio del fiume San Pedro.
Maribel è coordinatrice del collettivo Rescate del Río San Pedro, (Salviamo il Fiume San Pedro), uno dei fiumi che scorre vicino alla capitale dell’Ecuador, Quito. Ricorda il momento in cui ha deciso di diventare attivista: “Durante la pandemia eravamo tutti chiusi in casa, non potevamo quasi uscire. Un giorno ho deciso di andare con mia figlia al fiume, e ho notato che era molto sporco, con molta immondizia che galleggiava. Mia figlia voleva mettere la mano nell’acqua per raccogliere una pietra, e io istintivamente gliel’ho proibito. Mi sono sentita molto triste, così ho scritto un post su Facebook: ho proposto di fare qualcosa al riguardo”.
La sua proposta raggiunse altri vicini, e nel 2021, a giugno, è nato il collettivo, il cui scopo principale è riuscire di nuovo a fare il bagno nel fiume. La maggior parte di loro era guidata da motivazioni personali: molti ricordavano quando l’acqua del fiume era limpida, senza immondizia né residui chimici o industriali. “I nostri genitori ci raccontano che 30 o 40 anni fa era pulito, che potevano entrare e farsi il bagno”, racconta Maribel. In poco tempo, oltre ai vicini, si sono uniti alla causa anche scienziati, professori universitari e attivisti dell’ambiente, che condividevano la stessa preoccupazione.
Maribel è psicologa, e tutto ciò che sa sulla preservazione dei fiumi lo ha imparato in questi 4 anni. “Il fiume è vivo, è sacro. Il fiume ci chiama, ci sta chiedendo aiuto”.
Il collettivo organizza delle mingas di pulizia: in Ecuador, le mingas sono lavori, principalmente di gruppo e gratuiti, che hanno lo scopo di aiutare a livello collettivo. La prima minga è stata fatta a novembre 2021, e negli anni ne hanno organizzate altre 25, con la partecipazione di circa 120 persone in ognuna. Molti giornalisti hanno deciso di diffondere la loro iniziativa, per mostrare pubblicamente la sporcizia del fiume e sensibilizzare tutta la comunità.
“Nei paesi andini esiste un’azione comunitaria che si chiama minga, anche noi usiamo molto questa parola. Per esempio, se qualcuno deve traslocare, facciamo una minga: significa che tutti aiutiamo e facciamo qualcosa. Nei fiumi fare una minga è riunirsi per fare pulizia”.

Membri del collettivo “Rescate del Río San Pedro” durante una minga. (Immagine tratta dal sito web del collettivo)
Le mingas sono fondamentali per recuperare la biodiversità dei fiumi, affermano le idrologhe del collettivo Rescate del Río San Pedro. “Ci hanno detto che il fiume era malato, e ci hanno spiegato quali malattie lo colpiscono: l’immondizia, le acque reflue, l’inquinamento industriale. Abbiamo capito che l’unico modo per fare qualcosa come cittadini è rimuovere i rifiuti”, racconta Maribel.
Non si tratta solo di raccogliere spazzatura: alla fine della giornata, i partecipanti della minga condividono un Pamba Mesa, in cui si mangia insieme e si riflette sull’importanza di non inquinare e di preservare la natura. Inoltre, il collettivo ha invitato sacerdoti e leader di comunità indigene per partecipare alle mingas e svolgere rituali di ringraziamento al fiume.

Membri del collettivo “Rescate del Río San Pedro”. (Immagine tratta dal sito web del collettivo)
Il collettivo ha cercato di riunirsi con il municipio per bonificare il fiume San Pedro, ma non sono ancora stati aiutati. Il San Pedro è inquinato, ma si trova comunque in condizioni migliori rispetto al fiume Machángara, considerato il più sporco della città, e al fiume Monjas, che attraversa anch’esso Quito, e la cui degradazione è ormai evidente. Questi due fiumi hanno ottenuto più risoluzioni a livello legale, dato che è stato possibile provare che il loro stato di contaminazione è molto grave.
Il Monjas, il primo caso senza precedenti.
Gennaio 2022: il fiume Monjas è il primo fiume di Quito a vincere una sentenza che lo riconosce come soggetto di diritto. Questo fiume riceveva molta acqua reflua e piovana, e una cattiva gestione del municipio causò l’erosione di varie proprietà, in particolare di una casa storica. Il processo legale era centrato sul rischio che correvano i proprietari di perdere le loro case; oltretutto, parteciparono anche scienziati ed esperti, sostenendo il diritto a una città sicura e a una gestione adeguata delle risorse naturali. Grazie a questa sentenza, sono state adottate nuove misure di politica pubblica, come la nascita di un’ordinanza verde-blu nel luglio 2023, per garantire la protezione del fiume e dei cittadini.
“Quello è stato il primo fiume a vincere una causa. Grazie a questo processo sono emerse alcune misure di sicurezza necessarie non solo per il fiume, ma anche per i cittadini. È lì che è cominciata la nostra iniziativa”, afferma Maribel.
Fino ad allora nessuno aveva parlato della grave condizione in cui si trovavano i fiumi di Quito. Questa vittoria dimostrò agli abitanti che era possibile adottare nuove strategie per esigere soluzioni reali e risolvere la situazione dell’inquinamento dei fiumi. Ricardo, che forma parte dell’organizzazione “Acción Ecológica”, afferma che questo ha segnato un precedente molto importante: “Il fiume Monjas ha vinto perché i cittadini hanno voluto partecipare nel difendere un patrimonio storico della città. Noi abbiamo aiutato introducendo un meccanismo chiamato silla vacía”.
La “silla vacía” permette ad organizzazioni sociali, collettivi o cittadini di partecipare a processi legali dove si discutono nuove politiche municipali che possono riguardarli (Dialnet, 2019). Pur senza diritto di voto, possono essere presenti alle riunioni del Consiglio Comunale e intervenire nel dibattito. L’organizzazione Acción Ecológica ha utilizzato questa procedura per partecipare formalmente alla discussione sul Monjas: grazie alla loro esperienza sulla tutela ambientale, hanno fatto pressione affinché la difesa del fiume fosse inclusa nella politica municipale. “Questo è un primo precedente storico importante, perché riconosce un fiume come soggetto di diritto”, afferma Ricardo.

Proprietà in rovina vicino al fiume Monjas, Ecuador. (Immagine tratta dal sito web di “Acción Ecológica”)
Il Machángara: un fiume che da discarica è diventato soggetto di diritto.
Il fiume Machángara è il più grande della città. Da sempre è considerato un vero e proprio bidone della spazzatura: i cittadini e le aziende sono abituati a gettarvi macerie, immondizia, rifiuti domestici e industriali, senza che il municipio se ne preoccupi mai davvero. Grazie alla vittoria del fiume Monjas varie organizzazioni, cittadini e attivisti, decisero di difendere e ripulire il Machángara.

L’inquinamento del fiume Machángara. (Immagine: Angelo Chamba)
Elena è l’ex coordinatrice generale del Cabildo Cívico di Quito, un’organizzazione che riunisce collettivi e associazioni cittadine per affrontare diverse problematiche, tra cui quelle ambientali. La lotta è iniziata nel 2020, con iniziative come le mingas ed eventi di sensibilizzazione sociale, che coinvolgevano cittadini e università. A giugno del 2023 hanno iniziato a preparare la causa, presentata poi a maggio del 2024.
Le prove erano inconfutabili: il municipio non aveva nessun controllo sullo scarico dei rifiuti nel fiume, e non aveva intenzione di proteggere la natura e i cittadini. Durante l’udienza, Elena presentò un campione di acqua del Machángara, torbida e sporca. “La giudice, grazie a questo, ci ha dato ragione, riconoscendo una totale mancanza da parte del governo. Il municipio non ha controllo sugli scarichi, né propone una soluzione per il trattamento delle acque”.
Blanca, ecologa, fu coinvolta nella difesa del Río Machángara. Dopo un’attenta analisi del fiume, rilevó un alto livello di inquinamento, identificando la presenza di 26 virus che possono colpire gli esseri umani. “La qualità dell’acqua era paragonabile a quella di una fogna di Parigi”, afferma.
Nell’agosto del 2024 il fiume è stato riconosciuto come soggetto di diritto, e il tribunale ha ordinato 27 misure di recupero. Nell’aprile del 2025, il municipio ne ha accolte solo 14. Le misure approvate riguardano soprattutto studi sulla qualità dell’acqua, educazione ambientale nelle scuole, e la riforestazione delle sponde. Le azioni più incisive e complesse, però, sono state ignorate.
“Le altre misure, quelle che potrebbero cambiare le cose, ad esempio la costruzione di impianti per il trattamento delle acque reflue, hanno costi elevati e tempi di esecuzione diversi. Il municipio si lava un po’ le mani, e rimanda”, afferma Elena. Fino ad oggi, non hanno ricevuto una risposta efficace dal comune.

Studenti raccolgono un campione di acqua sporca per analizzarlo. (Immagine: Xavier Amigo. Didascalia: SciDevNet)
Mindo impedisce la costruzione di una centrale idroelettrica sul fiume Saloya.
La lotta per la salvaguardia dei fiumi non si limita a Quito. Nella comunità di Mindo, a due ore dalla capitale ecuadoriana, Estefanía racconta la battaglia della sua popolazione per impedire la costruzione di una centrale idroelettrica sul Río Saloya. L’allarme è scattato grazie ad alcuni kayakisti che, nel novembre del 2023, attraversando il fiume, notarono una costruzione iniziale.
“Eravamo con altri vicini, quando hanno detto che volevano dirci qualcosa, io non avevo idea di cosa si trattasse”, afferma Estefanía. “Siamo andati ad una riunione e un gruppo di kayakisti, che percorrono spesso il Saloya, aveva notato qualcosa di strano, una costruzione in mezzo al fiume. Ci hanno detto che stava succedendo qualcosa e che dovevamo stare attenti”.
All’inizio, Estefanía e la sua comunità non si preoccuparono più di tanto; credevano che il municipio o qualche azienda stessero effettuando degli studi sul fiume, e che quella costruzione non avrebbe causato alcun problema. Inoltre, la costruzione si trovava a 20 chilometri dalla parrocchia di Mindo. Per saperne di più, contattarono il Ministero dell’Energia e delle Miniere, ma ricevettero risposte molto evasive. Solo dopo due anni capirono cosa stava realmente accadendo: un video di un’azienda chiamata Covalco, mostrava che avrebbero deviato il 90% delle acque del fiume Saloya verso un altro fiume, costruendo una centrale idroelettrica di passaggio.
“È lì che ci siamo davvero preoccupati, perché ci siamo resi conto che non si trattava di una cosa piccola”, commenta Estefanía.

Fiume Saloya, Ecuador. (Immagine tratta dal profilo Facebook del collettivo “Río Saloya Resiste”)
I cittadini di Mindo cercarono immediatamente esperti in materia per essere aiutati. Blanca, l’ecologa che aveva partecipato alla difesa del Río Machángara, presto si rese conto che la metodologia usata da Covalco per calcolare il deflusso ecologico era vietata.
Il deflusso ecologico è la quantità minima d’acqua di cui un fiume ha bisogno affinché i suoi ecosistemi non muoiano e le comunità che da esso dipendono continuino a beneficiarne (Red de Agua UNAM, 2010). Il piano dell’azienda Covalco era di considerare solo il 10% del deflusso sufficiente per non compromettere gli ecosistemi del fiume, appellandosi ad una vecchia disposizione che permetteva alle aziende costruite prima di marzo 2003 di utilizzare tale calcolo per le centrali idroelettriche. Questa disposizione non è più in vigore, come afferma l’Accordo Ministeriale n. 155 del Ministero dell’Ambiente dell’Ecuador: “per il calcolo del deflusso ecologico non è sufficiente l’utilizzo di metodi di calcolo basati su dati storici di portate medie mensili […] a meno che non siano integrati con dati storici sulle condizioni biotiche e fisico-chimiche del settore idrografico per dimostrare che il deflusso da adottare sia un deflusso ecologico” (Ministerio del Ambiente del Ecuador, 2007, p. 15).
Estefanía spiega che per progetti di tale portata, la legge stabilisce la necessità di un monitoraggio idrologico di almeno dieci anni nello stesso corso d’acqua; non si possono utilizzare misurazioni provenienti da fiumi simili. L’azienda non ha realizzato questo monitoraggio nel fiume Saloya. Inoltre, come afferma Estefanía, gli studi sono stati effettuati in inverno: ciò significa che in estate, molto probabilmente, il fiume sarebbe rimasto completamente senz’acqua.
La comunità di Mindo decise di organizzarsi per difendere il fiume. Nell’aprile del 2024 fondarono il collettivo “Río Saloya Resiste”, (Il Fiume Saloya Resiste), e nell’agosto dello stesso anno, presentarono in tribunale una denuncia contro Covalco, sostenendo che avevano iniziato a costruire senza autorizzazioni e che avevano usato studi falsi e inadeguati. Ad oggi non si è ancora arrivati ad una conclusione definitiva. Il 28 agosto 2025 era prevista un’udienza finale; tuttavia, il giudice ha dichiarato di non avere ancora elementi sufficienti per emettere una sentenza e ha ordinato una perizia aggiuntiva. La comunità aspetta di ricevere la nuova data dell’udienza.
Nel frattempo, la popolazione si è mobilitata in modo costante. Grazie alla pressione mediatica, sono riusciti ad organizzare alcuni festival – come il festival “Río Saloya” nell’ottobre 2024 – , manifestazioni e campagne sui social media. Il 29 settembre 2025 si sono manifestati per le strade della città.
“Non riuscivamo a capire: come si può far sparire un fiume? Per noi era inconcepibile. Ora sappiamo che è possibile, ma siamo anche più forti e pronti a lottare: continueremo a sfidarli”, conclude Estefanía.

Manifestanti durante la marcia del 29 settembre 2025. (Immagine tratta dal profilo Instagram @riosaloyaresiste)
Scienza e speranza.
“Esistono esempi straordinari in tutto il mondo di fiumi che sono stati salvati. Non si può tornare indietro, perché ogni ecosistema segue una sua traiettoria specifica, ma è possibile ridare vita alla biodiversità”, afferma Blanca.
Blanca cita casi famosi come quello del fiume Cuyahoga, negli Stati Uniti, che negli anni Sessanta prese fuoco a causa degli scarichi di olio e rifiuti infiammabili. Oggi è possibile fare escursioni in kayak e in barca sul fiume, grazie agli interventi di recupero dell’ecosistema che sono stati fatti.
“Non perdo la speranza, ciò che ci motiva è il desiderio di poterci di nuovo fare il bagno nel fiume Machángara, e credo che sia possibile”.

Membri del collettivo “Río Saloya Resiste”. (Immagine tratta dal profilo Facebook del collettivo)
Non è solo Blanca a non perdere la speranza: molte comunità ecuadoriane continuano a lottare, finanziandosi grazie a progetti propri e chiedendo aiuto ai cittadini, che si offrono per svolgere attività di volontariato e di recupero della natura, non solo riguardo i fiumi.
Anche Dennise partecipa alla lotta per la salvaguardia dei fiumi, e ci racconta dei progetti di rigenerazione realizzati in diversi quartieri di Quito.
“Come organizzazioni civili ci preoccupiamo del benessere degli abitanti di diversi quartieri, soprattutto in periferia. Vogliamo creare spazi accoglienti per l’infanzia, come parchi, e promuovere il contatto con la natura. I bambini, le bambine, i loro genitori e altri abitanti ci aiutano a costruire i parchi”, racconta con emozione. “Usiamo una vera e propria risorsa umana e un capitale sociale che rende questi progetti sostenibili”.
Creare questi spazi nella natura aumenta la qualità di vita dei cittadini, migliora la salute mentale e crea un luogo d’incontro dove è piacevole riunirsi in comunità. Il contatto diretto con la natura nelle aree urbane è complicato, e l’obiettivo dei collettivi e dell’iniziativa chiamata “Asilvestrar” (dal verbo spagnolo che significa letteralmente “tornare al selvatico”), è quello di promuoverlo sempre di più.
“Non tutti hanno un giardino a casa, quindi la possibilità di uscire e passare il tempo in uno spazio verde è molto preziosa. È un enorme miglioramento per la vita delle persone a livello sociale, economico e ambientale”.

Prima e dopo dei nuovi parchi costruiti. (Immagini: Asilvestrar)

Comunità portavoce della natura.
Il 20 ottobre 2008, l’Ecuador è diventato il primo paese al mondo a riconoscere i diritti della Natura (Observatorio Jurídico de Derechos de la Naturaleza). Questa norma ha permesso alle comunità e alle organizzazioni socioambientali di promuovere le cause a favore dei fiumi, che meritano di essere salvati e ripuliti. Oltre a favorire un cambiamento a livello politico, queste stesse comunità hanno contribuito a sviluppare una profonda coscienza ambientale nella popolazione, grazie a mingas, festivals, progetti educativi e spazi verdi nelle città.
“Vogliamo vedere i nostri figli fare il bagno nel fiume, come facevano i nostri nonni”, conclude Maribel.
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