Negli ultimi mesi, la guerra in Sudan ha registrato uno dei suoi momenti più significativi dall’inizio del conflitto. Le Forze Armate Sudanesi hanno ottenuto una serie di successi sul campo che, secondo diversi analisti, potrebbero ribaltare gli equilibri nella regione del Kordofan. Da oltre due anni e mezzo il Paese è lacerato dallo scontro tra l’esercito e le Forze di Supporto Rapido, in una spirale di violenza che ha prodotto la più grave crisi umanitaria al mondo. Milioni di persone sono state costrette a fuggire, le città si sono svuotate, le infrastrutture civili sono crollate sotto il peso dei combattimenti e dell’assedio.

A settembre, l’esercito ha conquistato Bara, una città strategica che le forze paramilitari utilizzavano come centro logistico per i rifornimenti e i movimenti di truppe. La sua posizione lungo la “Export Road”, a circa 350 chilometri a sud-ovest di Khartoum, la rende un nodo cruciale: da qui si collegano la capitale e la città di el-Obeid, da cui partono le principali arterie verso il Sud Sudan, l’est del Paese e il Darfur. Controllare Bara significa controllare il cuore delle rotte commerciali e militari del Sudan. È una conquista che arriva dopo altre due operazioni decisive: la presa di el-Obeid a febbraio, al termine di un assedio di due anni, e la riconquista della capitale a marzo. In poche settimane, le SAF hanno consolidato la loro presenza lungo un asse logistico vitale, spezzando le catene di approvvigionamento delle RSF.

Per le forze paramilitari, la perdita di Bara rappresenta un duro colpo. Mantenere un punto d’appoggio in Kordofan serviva a esercitare pressione sull’esercito a nord e a garantire i collegamenti con il Darfur e il Sud Sudan, fondamentali per il transito di uomini e armi. Senza Bara, questa rete si interrompe. La città era diventata un simbolo della capacità delle RSF di muoversi nel cuore del Paese, ed è proprio questo che l’esercito ha voluto colpire. L’11 settembre, le truppe hanno lanciato un’offensiva da sud, mentre le difese nemiche erano concentrate sul fronte orientale. Dopo una serie di bombardamenti con droni, è intervenuta la Darfur Track Armed Struggle Movement, un’unità d’assalto veloce e manovrabile, partita da el-Obeid. Ha sconfitto rapidamente le difese paramilitari e ha fatto irruzione in città con un’intensa potenza di fuoco. L’intera operazione si è giocata sulla velocità e sulla dispersione del nemico su più fronti, impedendogli di inviare rinforzi.

Anche la popolazione civile ha avuto un ruolo. Secondo fonti locali, la maggior parte degli abitanti di Bara ha sostenuto l’ingresso dell’esercito, facilitando il collasso delle linee paramilitari. In poche ore le RSF si sono ritirate, lasciando scoperti i corridoi che utilizzavano per rifornirsi e isolando le loro postazioni rimaste a ovest e a est della città. Il colpo è stato pesante perché ha interrotto il legame operativo tra le aree del Kordofan e quelle del Darfur, costringendo i paramilitari a ripiegare su posizioni più disperse.

Le RSF avevano cercato di consolidare la loro presenza nei Kordofan siglando a febbraio un’alleanza con il Southern People’s Liberation Movement-North, che controlla le montagne Nuba nel Sud Kordofan, lungo il confine con il Sud Sudan. Ma senza la Export Road, questo progetto perde consistenza. “L’ingresso dell’esercito a el-Obeid ha segnato l’inizio del loro crollo effettivo”, ha spiegato l’analista militare Akram Ali. La presa di Bara accelera un processo già in corso.

Un ruolo decisivo è stato giocato dall’unità Al-Sayyad, chiamata così in memoria di un comandante ucciso nei primi giorni della guerra. Partita da Rabak, capitale dello Stato del Nilo Bianco, ha condotto un’avanzata graduale che l’ha portata fino a el-Obeid, supportando le operazioni successive nel Kordofan. Secondo l’analista politico Ahmed Shomokh, la riconquista di Bara apre la strada alla riattivazione della base aerea di el-Obeid, la più grande della regione, inattiva da due anni. Ciò significa un miglioramento significativo delle capacità logistiche e di combattimento dell’esercito.

Il cui obiettivo successivo sarà quello di concentrare gli sforzi sull’ovest, dove le RSF mantengono ancora il controllo di aree cruciali come el-Fasher. Gli analisti sottolineano che l’esercito dispone dell’esperienza e delle risorse necessarie per ripetere nel Kordofan e nel Darfur quanto già fatto nel Sudan centrale e nella capitale. Ma mentre le strategie militari si delineano, il quadro umanitario peggiora di giorno in giorno. Le Nazioni Unite stimano oltre dieci milioni di sfollati e decine di migliaia di vittime. Più di ventiquattro milioni di persone soffrono di insicurezza alimentare acuta e diciannove milioni non hanno accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici. Epidemie si diffondono rapidamente in un sistema sanitario ormai al collasso, aggravando ulteriormente le conseguenze di un conflitto che continua a divorare il Paese senza tregua. Pagine Esteri