Sulla base del racconto e delle informazioni della giornalista Arwa Ashour

La foto dell’Hammam al Samra sono di Issa Frej e Garo Galbedian

La distruzione a Gaza attuata da due anni di offensiva militare israeliana non si è limitata agli edifici moderni o alle case di cemento che il tempo aveva appena permesso di costruire. Ha scavato più a fondo, fino a cancellare le pietre che custodivano la memoria del luogo. In ogni angolo della Città Vecchia di Gaza city, la storia si è sgretolata sotto i bombardamenti e con essa secoli di vita che avevano resistito agli invasori e alle guerre. L’Hammam al-Samra, il più antico bagno pubblico di Gaza, non è più il luogo di ritrovo che per generazioni aveva unito i vicini nei giorni di festa. Né la Grande Moschea di Omari, la più antica della città, simbolo di spiritualità e testimonianza della sua lunga storia, è sopravvissuta.

Gaza appare oggi come una città minacciata non solo dalla distruzione materiale, ma dalla perdita della propria memoria storica ed architettonica. Le persone che un tempo camminavano tra le mura antiche hanno perso la strada, come se la guerra le avesse strappate non solo dalle loro case, ma anche dalla loro storia. Ishraq Ayyad, che durante il Ramadan si recava nella Moschea di Omari, racconta: “Andavo lì per recitare le preghiere del Tarawih. Il luogo emanava conforto e rassicurazione, mi faceva sentire radicata nella terra e nel luogo”. Poi abbassa lo sguardo e aggiunge: “È una brutta sensazione. Mi sento triste, non solo per questo posto, ma perché l’intera città è stata distrutta. Credo che l’obiettivo sia quello di privarci della nostra identità e distruggere la nostra psiche”.

Il dolore di Ishraq non è un caso isolato. In questa città devastata ognuno ha un’immagine rimasta impressa nella memoria o la conserva sullo schermo di un telefono.

Moschea Al Omari

Ibrahim al-Kulak, imam della Grande Moschea di Omari, ricorda il tempo in cui il suo luogo di preghiera era “il cuore pulsante della città”. Racconta che durante il Ramadan, la moschea “si trasformava in una tela di luce, con i fedeli che riempivano il cortile e il suono del tahlil”. Oggi, dice, “quando passo tra le macerie, sento ancora il suono della chiamata alla preghiera emergere dalle pietre. È come se quel luogo si rifiutasse di morire”.

Alla periferia del quartiere Zeitoun, Hajja Nidaa viveva accanto all’Hammam al-Samra. Ogni mattina apriva la finestra per vedere il vecchio cancello e sentire le voci dei visitatori. “Mi riempiva il cuore di gioia. Mi ricordava i vecchi tempi, quando la gente andava al bagno per le feste e tornava a casa con il profumo di sapone e basilico locali. Era l’anima del quartiere”. Poi, un giorno, aprendo la finestra, vide soltanto macerie. “Mi sono sentita come se fosse spuntato un mattino senza luce. Persino l’odore del luogo era scomparso”. Per lei, la distruzione del bagno pubblico non ha significato solo la perdita di un sito storico, ma la fine di una presenza familiare che dava forma alla vita quotidiana.

Secondo un rapporto pubblicato nel febbraio 2025 dal Ministero del Turismo e delle Antichità, 226 siti archeologici nella Striscia di Gaza sono stati danneggiati dagli attacchi israeliani. Lo studio ha esaminato 316 siti, tra cui moschee, chiese, cimiteri, musei, palazzi e monumenti. Ogni luogo è stato mappato, documentato e classificato in base all’entità dei danni. Ma dietro la freddezza delle cifre si nasconde un patrimonio cancellato.

Mohammed Jaradat, vicedirettore generale del Registro Nazionale del Ministero, spiega che “non c’è quasi un sito storico a Gaza che non abbia subito danni, diretti o indiretti. La Città Vecchia, con il suo tessuto architettonico risalente ai periodi ayyubide, mamelucco e ottomano, è stata tra le più colpite”. Jaradat parla di una “guerra contro la pietra”, una forma di violenza che mira a cancellare la memoria e la continuità del popolo palestinese. “Quando le nostre tracce vengono cancellate, viene cancellata anche la nostra visione del passato, e con essa il legame tra le generazioni”.

Nonostante tutto, c’è chi lavora per conservare ciò che resta. Il Ministero, insieme a volontari e con il sostegno dell’UNESCO, ha avviato un programma urgente di documentazione dei danni e formazione di restauratori. “Abbiamo cominciato a preparare personale specializzato in Egitto, per poter un giorno ricostruire almeno una parte di ciò che è andato perduto”, afferma Jaradat.