Pagine Esteri – Nei giorni scorsi il presidente degli Stati Uniti è tornato a vantare il proprio “fondamentale contributo” al raggiungimento della pace nella Repubblica Democratica del Congo.
«Per 35 anni, è stata una guerra feroce. Nove milioni di persone sono state uccise a colpi di machete. L’ho fermata io… L’ho fermata e ho salvato molte vite» ha affermato Donald Trump.

Alla fine di settembre, a margine dell’Assemblea Generale dell’ONU, il presidente congolese Felix Tshisekedi, ha incontrato Massad Boulos, consigliere per l’Africa del presidente statunitense. I due hanno discusso dell’attuazione degli accordi di pace siglati il 27 giugno a Washington dai ministri degli Esteri di Kinshasa e Kigali.

Al consigliere della Casa Bianca interessavano però soprattutto le risorse di cui è ricco il sottosuolo congolese, il cui sfruttamento da parte delle imprese di Washington rientra negli accordi raggiunti. I minerali preziosi e le terre rare – come coltan, oro, rame, stagno, tungsteno e cobalto – sono fondamentali per lo sviluppo delle nuove tecnologie e la competizione tra Usa e Cina è fortissima.

Tshisekedi, in cambio delle pressioni americane nei confronti del Ruanda e dei ribelli da questa sostenuti, si è impegnato a favorire gli investimenti delle imprese a stelle e strisce. Lo stesso ha fatto la premier congolese Judith Suminwa, che ha partecipato pochi giorni fa al primo Forum Congo – USA.

Per quanto riguarda la pace, però, sul campo la realtà è molto diversa da quella descritta da Trump, perchè gli scontri, le uccisioni, gli abusi e le sofferenze inflitte alla popolazione continuano e metà del grande paese africano è in preda al caos, alle prese nei mesi scorsi anche con una ennesima epidemia di Ebola.

Kinshasa e Kigali non hanno firmato l’intesa nota come “Quadro di integrazione economica regionale”, un elemento chiave degli accordi sottoscritti a giugno. Il governo congolese infatti si è rifiutato di firmare il documento in mancanza del ritiro dal suo territorio delle truppe ruandesi.

All’inizio dell’anno le milizie dell’M23, sostenute dal Ruanda, hanno rapidamente conquistato alcune importanti città nelle regioni orientali, imponendo un clima di repressione e di terrore.
Anche l’accordo firmato tra il governo congolese e l’M23, mediato dalla Casa Bianca, non ha prodotto i risultati sperati perché le varie parti non hanno rispettato le scadenze previste per arrivare alla firma di un accordo di pace definitivo.

Huang Xia, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la regione dei Grandi Laghi, ha dichiarato al Consiglio che «sebbene gli sforzi africani e internazionali diretti a stabilire la pace siano lodevoli e promettenti, finora non sono riusciti a mantenere le promesse: il cessate il fuoco concordato non viene rispettato».

L’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani ha denunciato che soprattutto i ribelli sostenuti dal Ruanda, ed in misura minore le truppe regolari congolesi e le milizie locali Wazalendo, continuano a commettere crimini contro la popolazione, come stupri di gruppo, schiavitù sessuale, torture, esecuzioni sommarie. «Gli stupri sono stati ripetuti per periodi prolungati, spesso in concomitanza con ulteriori atti di tortura fisica e psicologica e altri maltrattamenti, con l’intento manifesto di degradare, punire e spezzare la dignità delle vittime», si legge nel rapporto delle Nazioni Unite.

Nei combattimenti e nelle rappresaglie contro i civili hanno perso la vita migliaia di persone, e altre centinaia di migliaia sono state costrette a sfollare dalle proprie case, creando una grave crisi umanitaria. Nelle regioni occupate gli ospedali sono allo stremo e manca il cibo.

Grazie alla mediazione del Qatar, a metà ottobre il governo congolese e i gruppi armati aderenti alla cosiddetta “Alleanza dei Grandi Laghi”, che include l’M23, hanno firmato a Doha un accordo per il monitoraggio di un eventuale “cessate il fuoco permanente”. I colloqui durano da aprile ma finora non si era arrivati a risultati degni di nota. A settembre era stato concordato anche uno scambio di prigionieri di guerra che però è rimasto lettera morta.

Secondo l’accordo siglato il 14 ottobre a sovrintendere il cessate il fuoco dovrebbe essere un organismo formato dai rappresentanti del Congo, dell’M23, dell’Unione Africana, del Qatar, degli Stati Uniti e della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi, composta da 12 paesi. L’organismo avrà il compito di indagare sulle segnalazioni di violazione del cessate il fuoco. Anche la missione di peacekeeping dell’Onu schierata nel paese, denominata MONUSCO, parteciperà al comitato di monitoraggio.

Prima della firma dell’intesa, però, il leader dei ribelli, Bertrand Bisimwa, aveva dichiarato di essere contrario a qualsiasi ruolo operativo da parte della MONUSCO, descrivendo il contingente internazionale come un attore belligerante e non superpartes.

I segnali sulla tenuta del nuovo accordo non sono però buoni. In occasione di una parata militare organizzata a Goma – la capitale del Nord Kivu – l’M23 ha fatto sfilare migliaia di nuove reclute, per lo più da giovani e giovanissimi abitanti costretti ad arruolarsi nelle file dei ribelli. Le milizie hanno poi attaccato una postazione dei Wazalendo (gruppi congolesi di autodifesa) a Masisi, sempre nella stessa regione, mentre alcuni droni delle forze armate hanno colpito la miniera d’oro di Twangiza, controllata dai ribelli, nel Sud Kivu.

Lo scorso 21 settembre, inoltre, i ribelli hanno occupato la città strategica di Nzibira, situata nella provincia del Sud Kivu, in seguito a violenti scontri con l’esercito e le milizie Wazalendo. Nzibira, nota per le sue ricchezze minerarie di cassiterite e oro, rappresentava un punto chiave nella lotta contro l’M23 nella regione.

Molte regioni del paese sono ormai allo stremo, con il Programma Alimentare Mondiale (PAM) che ha dovuto ridurre la sua attività per mancanza di fondi mentre gli abitanti del paese che hanno bisogno di assistenza sono 28 milioni. Nelle regioni orientali più di 2,3 milioni di persone si trovano in una condizione di grave emergenza, ma solo 600 mila ricevono aiuti alimentari.

Come se non bastasse nella stessa zona imperversano anche le milizie delle cosiddette “Forze Democratiche Alleate” (ADF), affiliate allo Stato Islamico. Le bande jihadiste, che operano lungo il confine con l’Uganda, si sono rese responsabili di numerosi eccidi, rapimenti, saccheggi e incendi.

La tragica situazione ha spinto Felix Tshisekedi a denunciare, intervenendo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che il suo paese vive da trent’anni un vero e proprio “genocidio silenzioso”. Parlando di fronte ai delegati e ai leader mondiali, il presidente congolese ha chiesto azioni concrete. «Il ritiro delle truppe ruandesi, la fine del loro sostegno all’M23 e il ripristino dell’autorità dello Stato congolese su tutte le aree occupate costituiscono condizioni non negoziabili per una pace duratura», ha dichiarato Tshisekedi, che poi ha esortato l’ONU a imporre sanzioni mirate ai responsabili dei crimini di guerra e dei crimini economici, e a porre fine al saccheggio e al commercio illecito di minerali da parte dell’M23 e del Ruanda che continua ad alimentare la violenza.

Si calcola che i conflitti tra milizie e diversi governi nella regione dei Grandi Laghi abbiano causato finora dai 7 ai 9 milioni di morti, sette milioni di profughi interni, centinaia di migliaia di mutilati e di donne vittima di violenza sessuale. Eppure questa guerra infinita ma dimenticata è da tempo uscita dai radar dei media internazionali.

Intanto il 30 settembre un tribunale militare di Kinshasa ha condannato a morte l’ex presidente della Repubblica Joseph Kabila, che però dal 2023 ha abbandonato il paese. La corte ha ritenuto l’imputato colpevole di tradimento e crimini di guerra per aver sostenuto l’avanzata dei ribelli, accuse che l’ex capo dello stato ha sempre respinto.
Figlio di Laurent-Désiré Kabila, il leader ribelle che rovesciò il dittatore Mobutu, Joseph Kabila ereditò il potere nel 2001, dopo l’assassinio del padre. Nel 2019, dopo due mandati, si è però dimesso e ha ceduto l’incarico all’attuale presidente Tshisekedi.

Le autorità congolesi sono convinte che Kabila sia stato l’artefice della ricostituzione dell’M23 nel novembre 2021, dopo dieci anni di inattività della milizia ribelle. – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, si occupa di geopolitica e movimenti sociali. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria.