In Messico, al giorno d’oggi, le cifre relative alle persone scomparse sono allarmanti, e continuamente in aumento. Secondo la Commissione Nazionale per la Ricerca delle Persone Scomparse (Comisión Nacional de Búsqueda, CNB), al 17 marzo 2025, si registrano più di 124 mila persone dichiarate “desaparecidas” e “no localizadas”, scomparse e non localizzate. Uno dei casi più famosi, anche a livello internazionale, fu quello dei 43 studenti scomparsi della scuola normale rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, nello stato di Guerrero. Questo caso è una profonda ferita non ancora rimarginata della storia messicana, a causa dell’implicazione del governo e delle forze dell’ordine nella scomparsa dei ragazzi appena ventenni.

Studenti della scuola normale “Raúl Isidro Burgos” durante la marcia di Ayotzinapa a Città del Messico. Sulle loro magliette si legge: “Vivi li hanno portati via, vivi li vogliamo indietro. +43”. (Foto: Sofia Pontiroli)

Le scuole normali rurali in Messico.

Le scuole normali rurali  (in spagnolo Escuelas Normales Rurales, spesso abbreviate ENR) sono state create nel 1922, per formare insegnanti che avrebbero poi lavorato in zone marginali e remote del Messico, dove la prevalenza dei cittadini è analfabeta. Queste scuole nascono in un paese dove, secondo le cifre aggiornate nel 1921, c’erano più di 14 milioni di persone in Messico, di cui quasi 7 milioni analfabeti, e l’80% vivendo in zone rurali (Redilat, 2023). Queste scuole formano insegnanti destinati a lavorare nelle zone più sperdute del Messico, dove la maggior parte della popolazione forma parte di comunità indigene o marginate.

Le scuole normali messicane sono luoghi di concentrazione di lotte sociali e attivismo politico, a causa delle ingiustizie che hanno subito negli anni, tra cui riduzioni importanti del budget, chiusure e repressione politica, soprattutto verso gli anni ’60, quando il governo cominciò a vederle come “focolai di sovversione” (Redilat, 2023). Attualmente, la maggior parte delle scuole rurali operano con risorse economiche minime, e sono mandate avanti dai propri alunni, che oltre a studiare, si occupano degli orti, di allevare gli animali e di cucinare, pulire e realizzare manutenzione negli edifici. Sono scuole autosufficienti, che hanno bisogno di pochi aiuti esterni, e con una chiara impronta sociale: mirano a dare una educazione a ragazzi che difficilmente potrebbero accedervi altrimenti, e gli insegnano come dare a loro volta un’educazione a gruppi marginalizzati di giovani.

Normalistas di Ayotzinapa marciano a Città del Messico. (Foto: Sofia Pontiroli)

La Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, situata nello stato di Guerrero – uno stato mondialmente riconosciuto per essere molto violento -, è una delle più emblematiche. Fondata nel 1926, è da sempre stata un riferimento grazie all’impegno sociale dei suoi alunni e maestri. Undici anni fa, nel settembre 2014, quarantatré studenti della scuola furono sequestrati nella città di Iguala, Guerrero. Le prove dimostrano un coinvolgimento delle forze dell’ordine e gruppi criminali locali, che li fecero sparire nel nulla. Da allora, i loro padri e madri si sono dati da fare per ritrovarli, senza successo.

La notte del 26 settembre 2014.

 “In quel momento mi chiedevo, come può una persona scomparire, essere fatta sparire con la forza, solo per essere venuta a studiare? Voglio dire, fanno sparire questi ragazzi solo perché vengono a studiare. Non ha senso, non torna. E purtroppo, con il passare del tempo, abbiamo intuito la verità, la nostra verità come genitori… che non sappiamo dove sono i nostri figli”.

Mario González è un padre di famiglia, originario di Huamantla, Messico: un piccolo paesino dello stato di Tlaxcala. Un posto tranquillo, dove le persone si conoscono, e gli indici di criminalità sono relativamente bassi. Suo figlio César Manuel è uno dei 43 studenti scomparsi la notte del 26 settembre 2014.

“Mio figlio è come tutti i ragazzi di diciannove anni: carismatico, divertente. Non posso dire che sia un giovane perfetto, perché non esistono. È un ragazzo con pregi e difetti… è mio figlio, e per me è il migliore del mondo”, racconta Mario durante un’intervista. Sulla spalla, sotto la maglia a maniche corte si intravede un tatuaggio con il nome di suo figlio.

Familiari dei 43 studenti scomparsi marciando il 26 settembre 2025. (Foto: Sofia Pontiroli)

César Manuel stava studiando all’Università Autonoma di Puebla, voleva diventare avvocato. Decise all’improvviso di lasciare gli studi di legge per iscriversi alla Scuola Normale di Ayotzinapa. “Mi disse:«Papà, me ne vado». Gli chiesi: «Dove vai?» Aveva già lo zaino in spalla. «Vado a studiare in una scuola normale che ho trovato a Guerrero». Gli ho risposto che era matto, che non volevo essere complice delle sue sciocchezze. Mi sembrava pericoloso per via della situazione a Guerrero, anche se non conoscevamo bene il contesto. Se avessi saputo tutto quello che succedeva, non glielo avrei mai permesso, davvero”.

César Manual, con circa altri 100 studenti della scuola di Ayotzinapa, avevano deciso di partecipare alla manifestazione del 2 ottobre a Città del Messico, organizzata per commemorare l’anniversario della strage di studenti disarmati a Tlatelolco, anch’essa perpetrata dalle forze dell’ordine. Erano riusciti a finanziarsi il viaggio grazie a raccolte fondi, e a una pratica comune tra gli studenti delle scuole normali rurali del Messico, ovvero la temporanea occupazione di autobus per raggiungere la città, così da non dover pagare il biglietto. Sebbene si fossero verificate reazioni violente a questa tradizione degli studenti normalisti, in generale queste attività si svolgevano senza incidenti, ritorsioni o sanzioni legali (GIEI, 2015), una sorta di tacito accordo tra studenti, aziende di trasporti e forze dell’ordine.

Dopo aver occupato 5 autobus, gli studenti iniziarono il viaggio verso Città del Messico. Nonostante fosse un’azione abituale, la sera del 26 settembre, verso le 21, la polizia municipale iniziò a sparare contro gli studenti, bloccando il passaggio agli autobus, senza permettergli di uscire dalla città. La polizia di stato e l’esercito federale parteciparono all’attacco, senza aiutare gli studenti, che iniziarono ad urlare e chiedere aiuto. È qui che i 43 normalistas vengono sequestrati, e 6 persone perdono la vita: tre studenti e tre civili.

“Quello stesso 27 siamo partiti per Guerrero”, ricorda Mario. “Quando siamo arrivati lì, era un sentimento terribile, il semplice fatto di non trovarlo. Ti giuro che pensavo che fosse un altro Messico, capisci? Non avevo la minima idea che a Guerrero esistessero così tante cose brutte. Fermavo tutti gli autobus e gridavo: «Manuel!», ma no, non mi rispondeva”.

Lista dei nomi e soprannomi dei 43 studenti scomparsi. (Immagine: Informe Ayotzinapa, GIEI)

Ayotzinapa e narcotraffico.

Guerrero è storicamente uno degli stati più pericolosi del Messico. Fino al 16 maggio 2025, sono stati registrati più di quattromila casi di persone scomparse e mai ritrovate (Red Lupa, 2025). Queste cifre allarmanti sono dovute alla massiccia presenza di gruppi criminali nello stato, che sono aumentati nel corso degli anni. Guerrero è sempre stato controllato dal narcotraffico, a causa dei numerosi campi di “amapola”, il papavero da oppio, usato per la produzione di eroina, potenti sedativi e altre droghe. Secondo uno studio dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC) e del governo del Messico, tra luglio 2019 e giugno 2020, sono state identificate coltivazioni di papavero da oppio che misuravano in totale ventiquattromila ettari, la maggior parte di loro nello stato di Guerrero. Ventiquattromila ettari equivalgono a trentaquattromila campi da calcio.

Un militare in un campo di papaveri da oppio, nello stato di Guerrero. (Foto: Sur Acapulco)

Studi recenti riportano che nell’attualità si sono installati nello stato di Guerrero sei gruppi criminali di narcotrafficanti: ilCártel de Sinaloa, il Cártel Jalisco Nueva Generación, Los Zetas, il Cártel Independiente de Acapulco, Los Rojos, e Guerreros Unidos (Gaceta Parlamentaria, 2025). Dal 2017, Guerreros Unidos è diventato uno dei maggiori esportatori di eroina verso gli Stati Uniti, come affermano diversi studi della DEA. Uno dei principali metodi per trasportare la droga è terrestre: la maggior parte delle sostanze illegali viene nascosta in camion, autobus o automobili, molte volte senza che i proprietari o gli autisti lo sappiano, e portata verso il confine con gli Stati Uniti (DEA, 2024).

La notte del 26 settembre 2014, si sospetta che siano state coinvolte non solo le forze dell’ordine, ma anche membri del cartello Guerreros Unidos, che utilizzavano ricorrentemente camion e autobus per trasportare eroina. Diverse dichiarazione da parte dei membri del cartello affermano che tra le 20 e le 20:30, fu dato l’ordine di organizzarsi per raggiungere Iguala, perché si credeva che tra i gruppi di studenti di Ayotzinapa si fossero infiltrati membri del cartello rivale Los Rojos. Secondo altre fonti, avrebbero deciso di fermare gli autobus che avevano occupato gli studenti, perché al loro interno si trovava un carico di eroina.

Le dichiarazioni sono confuse, contraddittorie: la maggior parte delle versioni ufficiali afferma che i 43 studenti scomparsi furono fatti salire su diversi autobus dalla polizia locale, per poi essere consegnati al cartello Guerreros Unidos. Altre versioni sostengono che le forze dell’ordine siano state le sole responsabili dell’attacco quella notte, sottolineando il coinvolgimento della polizia statale, federale e dell’esercito.

Un figlio che parte per insegnare, un padre che inizia a cercare.

Le scuole normali in Messico hanno come obiettivo formare insegnanti per comunità povere, e basano la loro educazione su valori specifici, come la disciplina, l’uguaglianza e la vita collettiva. Secondo questi principi, tutti gli studenti del primo anno si rasano i capelli dopo essere ammessi: lo scopo è apparire tutti uguali, senza distinzioni di classe, origine o stile personale. Si cucina insieme, si lavorano i campi, si allevano gli animali, per promuovere una vita comunitaria.

I sandali degli studenti della scuola normale rurale di Ayotzinapa, durante la marcia a Città del Messico del 26 settembre 2025, simbolo di unità. (Foto: Sofia Pontiroli)

Mario ricorda che non capiva all’inizio quelle tradizioni. “L’ho visto ed era rasato, con i vestiti sporchi, così gli ho afferrato la mano. Ho cercato di farlo salire in macchina, ma mi ha detto delle parole che non dimenticherò mai, e di cui mi sono sentito molto orgoglioso: mi ha detto di lasciargli la possibilità di fare ciò che gli piaceva”. Con il passare del tempo, si sentiva più tranquillo al vederlo impegnato e contento. “Mi mandava lettere molto belle. Mi chiamava al telefono quattro volte al giorno. Le cose andavano bene, davvero… Mi raccontava, mi mandava delle foto con gli animali, quelli che c’erano a scuola. Io e mia moglie siamo rimasti soli, e mi è mancato tanto, mi mancava moltissimo”.

Studenti di Ayotzinapa con la testa rasata durante la marcia del 26 settembre 2025. (Foto: Sofia Pontiroli)

La prima volta che Mario è andato a Guerrero, è stato dopo aver scoperto che suo figlio era in pericolo. Il 27 settembre 2014, alcune studentesse di una scuola normale vicina a Huamantla – la Escuela Normal Panotla, Tlaxcala – lo chiamarono, dicendogli che era successo qualcosa di brutto ad Ayotzinapa. Mario e sua moglie non sapevano cosa fosse successo, che loro figlio fosse scomparso. Si immaginavano un problema con la polizia, magari per aver fatto qualche bravata, come rompere dei vetri, e che avrebbero dovuto pagare la cauzione; pensavano che sarebbero tornati a casa insieme.

Il 28 settembre hanno continuato le ricerche: “Sono andato in municipio, poi sono anche in prigione. Abbiamo cercato di entrare nel quartier generale del 27º battaglione, ma non ci hanno lasciato entrare. Nella prigione era tutto bagnato, come se avessero appena lavato, come se lì non fosse successo niente”.

Da quel momento, Mario e sua moglie non ebbero più pace. Iniziarono a partecipare a lunghe riunioni, chiudendosi in una stanza con altri familiari dei 43, senza dormire o mangiare persino per due giorni, cercando di capire cosa fosse successo.

Una delle madri dei 43 studenti scomparsi regge uno striscione con la scritta «Vivo lo hanno portato via», durante la manifestazione del 26 settembre 2025 a Città del Messico. (Foto: Sofia Pontiroli)

Il coinvolgimento del governo.

Tomás Zerón era il direttore della Agencia de Investigación Criminal de la Fiscalía Federal (Agenzia federale d’investigazione criminale del Pubblico Ministero), e divenne il leader della ricerca, quando in Messico stava governando il presidente Enrique Peñanieto. Secondo la versione ufficiale derivata dell’investigazione della Agencia, gli studenti sarebbero stati consegnati dalla polizia locale a Guerreros Unidos, che li avrebbero uccisi e bruciati in una discarica del paesino di Cocula, gettando i resti in un fiume vicino, chiamato San Juan.

Questa versione fu definita “verità storica” dal procuratore Jesús Murillo Karam, provocando una profonda indignazione nelle famiglie e nel popolo messicano. Grazie a questo, furono chiamati esperti internazionali per fare luce sugli avvenimenti: fu così che nacque il GIEI, il Grupo Interdisciplinario de Expertas y Expertos Independientes (Gruppo Interdisciplinare di Esperti ed Esperte Indipendenti).

Nel 2015, la Commissione Interamericana dei Diritti Umani e il governo messicano decisero di riunire un gruppo di esperti dalla Colombia, Cile, Guatemala e Spagna, per realizzare un’indagine indipendente, riesaminare le prove e proporre una nuova linea investigativa. Il primo rapporto del GIEI, presentato il 6 settembre 2015, a Città del Messico, smentisce la “verità storica” presentata dallo stato: “Da parte dello Stato, la diffusione di una verità storica senza un adeguato confronto delle informazioni e delle prove ha comportato una distanza ancora maggiore rispetto alle vittime. Come due mondi con visioni e storie diverse, senza alcuna possibilità di connessione” (Informe Ayotzinapa I, 2015).

Questo rapporto dimostra che i 43 corpi degli studenti non furono bruciati nella discarica di Cocula, perché le confessioni ottenute dai presunti responsabili non corrispondono alle prove trovate sul luogo. Oltretutto, denuncia l’uso di tortura da parte delle forze dell’ordine sotto il comando di Tomás Zerón per forzare queste confessioni, e sottolinea il coinvolgimento della polizia, dell’esercito e della Marina la notte del 26 settembre. Per finire, conferma la distruzione e alterazione delle prove, per creare la presunta “verità storica”.

Cercare i propri figli per undici anni è cercare la verità per tutti.

Mario è uno dei tanti familiari che non è stato aiutato dallo Stato, al contrario. “Ricevo una telefonata anonima all’alba, in cui mi dicono: «Don Mario, non si lasci ingannare, le consegneranno venti corpi, ma sono di alcuni senzatetto che le autorità hanno raccolto per consegnarveli»”. Effettivamente, lo stesso giorno vennero avvisati dalle autorità che avevano trovato vari corpi, chiedendo di andare ad aiutarli per l’identificazione. “Ci dissero di portare tre dei miei parenti per prelevare il DNA, così da non avere dubbi. Io invece portai dieci persone della mia famiglia, pur di rendere il mio DNA più potente e non essere ingannato dopo quella telefonata che avevo ricevuto all’alba. Lì, per fortuna, vedemmo i resti e capimmo che non erano i nostri figli”.

Tuttavia, la ricerca era appena iniziata. “Da lì cominciò il calvario: undici anni, otto anni e mezzo a vivere in una stanza di un metro e mezzo per due, senza trovare i ragazzi. A quel punto la mente si riempie di sentimenti contrastanti: disperazione, rabbia, preoccupazione, nervosismo, ansia… insomma, tante, tante cose”, afferma Mario scuotendo la testa.

Dal 27 settembre 2014, Mario e sua moglie si sono trasferiti a Guerrero, per otto anni, mentre cercavano loro figlio. Mario, che prima lavorava come venditore di auto, adesso dedica tutta la sua vita a cercare la verità su quello che è accaduto quella notte a Iguala.

“Non hai più una vita, stai solo sopravvivendo, perché stai cercando tuo figlio. Ad un certo punto diventi un attore, perché devi avere due volti: il volto forte, quello di chi continua a chiedere giustizia per il figlio, e l’altro, quello del dolore che senti qui, nel petto, sulla schiena… mentre lotti contro tutti e contro tutto, contro le critiche, i commenti disgustosi”.

Manifestante della marcia del 26 settembre con un cartello con la scritta: “Messico assassino”. (Foto: Sofia Pontiroli)

Negli anni, sono stati ritrovati solamente i frammenti ossei di tre degli studenti scomparsi, ma ancora nessuno sa cosa sia davvero successo la notte del 26 settembre 2014. Nel 2016, lo stesso governo di Peñanieto decise di non rinnovare il mandato del GIEI. Con l’arrivo alla presidenza di Andrés Manuel López Obrador, i familiari dei 43 scomparsi chiesero di far tornare il GIEI, per una collaborazione con la Commissione per la Verità e l’Accesso alla Giustizia messicana. Nel terzo rapporto presentato dal GIEI nel 2022, si afferma che:

  • Le notte dell’accaduto, le forze armate hanno costantemente monitorato gli studenti e i gruppi criminali del posto, senza condividere le informazioni ricevute con le autorità competenti.
  • Le autorità hanno costruito con le loro mani la “verità storica”: un video ripreso da un drone della stessa Segreteria della Marina mostra come un loro gruppo di soldati erano presenti il 27 settembre nella discarica di Cocula, svolgendo attività fino ad oggi non identificate.
  • È confermata la falsificazione di dati importanti nelle indagini, come nel rapporto della ricerca di indizi nel fiume San Juan. Inoltre, esistono più di 60 video che confermano l’uso della tortura da parte delle forze dell’ordine per ottenenere dichiarazioni forzate da parte di 50 persone arrestate.

Mario non ha dubbi sulla sua posizione. “La cosa peggiore di tutte è che si tratta di una coalizione delle autorità, è terribile quello che sta succedendo in Messico. Sappiamo che anche la Marina è stata coinvolta nella sparizione dei nostri figli. Abbiamo il video, grazie agli esperti, in cui si vede che è intervenuta nella discarica, sì, quando stavano alterando la scena. Cosa sono andati a fare lì?”.

Le famiglie dei 43 di Ayotzinapa si sono sempre mostrate solidali verso persone nella loro stessa situazione. In Messico al giorno d’oggi si registrano più di 120 mila persone scomparse, una cifra che va in continuo aumento. È principalmente grazie alle loro famiglie che si ottengono risultati e, a volte, giustizia.

“Faremmo qualsiasi cosa pur di conoscere la verità su ciò che è accaduto quel 26 settembre. Noi non volevamo essere il punto di svolta che portasse tanti collettivi a organizzarsi per iniziare a cercare i propri cari desaparecidos, ma se lo abbiamo fatto, non è stato con l’intenzione di dare fastidio a nessuno. Non ci siamo accorti del momento in cui abbiamo iniziato a piantare quel piccolo seme di coscienza, quello che fa dire: «Perché devo restare in silenzio?»”, dice Mario. “Molta gente partecipava alle ricerche dei ragazzi dove si trovavano corpi nelle fosse comuni. E quei corpi avevano un cognome, avevano un nome, avevano una famiglia. E fortunatamente, grazie a quelle ricerche per i 43 ragazzi, alcune famiglie sono riuscite a ritrovare i propri cari”.

I manifestanti della marcia del 26 settembre sorreggono uno striscione con la scritta «Questo non è un Paese, è una fossa comune con inno nazionale». (Foto: Sofia Pontiroli)

La lotta continua.

Attualmente, Tomás Zerón è ricercato dal Governo Messicano per i reati di tortura, violazione dei diritti umani e sparizione forzata. Dopo essere fuggito in Canada, il governo ne ha richiesto l’estradizione, senza successo: nel 2019 è riuscito a scappare in Israele. Nonostante le richieste di localizzazione ed estradizione presentate dal presidente López Obrador al primo ministro Naftalí Bennett nel 2021, e a Benjamín Netanyahu nel 2023, Zerón non è ancora stato consegnato alle autorità e rimane latitante.

Grazie all’aiuto del GIEI e altre organizzazioni, nel 2020 il Pubblico Ministero messicano ha respinto la cosiddetta “verità storica”, e ordinato l’arresto di 46 funzionari coinvolti nella alterazione delle prove e altri delitti. Tra i funzionari arrestati troviamo l’ex procuratore Jesús Murillo Karam, il primo ad aver fatto menzione della “verità storica” nel caso Ayotzinapa. Murillo è accusato dei reati di sparizione forzata, tortura e ostruzione alla giustizia, e rischia più di 80 anni di carcere, ma il processo è ancora in corso.

A 11 anni dall’accaduto e due cambi di governo, i familiari stanno ancora aspettando risposte. Quest’anno, la presidentessa Claudia Sheinbaum ha deciso di creare un nuovo gruppo di investigazione, integrato dalla Secretaría de Seguridad y Protección Ciudadana (Segretariato per la Sicurezza e la Protezione dei Cittadini) e dalla Fiscalía General de la República (Procura Generale della Repubblica). Prima del 2019, la Fiscalía General de la República si chiamava“Procuraduría General de la República”, di cui Murillo Karam era il procuratore generale.

Sheinbaum afferma che questo gruppo di investigazione utilizzerà sistemi di tecnologia avanzata per un’analisi approfondita delle telecomunicazioni legate al caso. Anche se sono stati effettuati diversi arresti di persone coinvolte nella sparatoria contro gli studenti, i familiari non hanno ancora ricevuto le risposte che cercano.

“Lei pensa di disporre di una tecnologia di primo livello, quella che sta utilizzando per quanto riguarda i tabulati telefonici. Purtroppo, però, non ha dato risultati. È passato un anno e non abbiamo ottenuto nulla — nessun’altra linea di indagine, niente di niente”, afferma Mario.

Ogni anno, il 26 settembre a Città del Messico si organizza una marcia per commemorare i 43 ragazzi scomparsi e chiedere giustizia. Familiari, alunni di scuole normali di tutto il paese e cittadini si riuniscono per le strade della capitale, intonando cori di protesta. Quest’anno alcuni manifestanti incappucciati hanno realizzato un’azione diretta, dipingendo e danneggiando la proprietà pubblica come gesto di protesta e di esercizio del proprio diritto alla manifestazione.

“Non le definirei azioni violente. Violento è stato attaccare 43 studenti che non erano armati. Questa è una protesta contro la violenza che loro stessi – il governo – hanno generato”, conclude Mario.

Studenti della scuola normale “Raúl Isidro Burgos” durante la marcia del 26 settembre 2025 a Città del Messico. (Foto: Sofia Pontiroli)

La resistenza dei genitori dei 43.

Mario non ha perso la speranza. “Ci dicevano, col tempo passerà, voi stessi vi dimenticherete… Ma non è vero, l’amore per un figlio non si esaurisce mai”.

I genitori dei 43 studenti scomparsi continuano a lottare per ottenere la verità e giustizia per i loro figli.

“Bisogna essere consapevoli che c’è il tempo che gioca a nostro sfavore. Dobbiamo quindi essere consapevoli di quello che possiamo trovare. Lo abbiamo sempre detto: se qualcosa viene scientificamente provato, lo accetteremo”. Mario sospira. “È difficile, per questo dico che ci sono molti più sentimenti di quelli che si possono spiegare. Per esempio, poter dire, l’ho trovato, lo porto a Tlaxcala, lo seppellisco e poi vedrò poi cosa fare… ma almeno è qui con me. Così, invece, non abbiamo niente. Non sappiamo dove si trova. Eppure, non c’è altra scelta: dobbiamo andare avanti”. Pagine Esteri