La Bosnia è un paese fragile, consumato lentamente tra la fuga all’estero delle giovani generazioni ed un settarismo politico sempre più fuso con dinamiche opache, che mescolano politica e affari, in un contesto che toglie la speranza rispetto ad un futuro diverso dall’esistente.

Il presente bosniaco ha ancora i piedi ben saldi nel complesso assetto istituzionale, che avrebbe dovuto, almeno in teoria, consentire una co-gestione tra comunità, della cosa pubblica, e che invece ha istituzionalizzato la separazione etnica del paesecreando muri e non ponti tra comunità che conducono esistenze autonome e parallele.

Un unico teorico paese con un unico teorico impianto statuale, ma due differenti entità amministrative: la Repubblica Seprska e la Federazione Croato Musulmana, che, di fatto, operano da entità autonome.

Foto di Paolo Pantaleoni

Quelli che sono nei fatti due stati nello stato, con norme differenti tra loro, hanno in comune la presidenza del paese (che però è tripartita) ed una valuta, il marco convertibile bosniaco, anche se ogni entità produce banconote differenti seppur spendibili in tutto il paese.

In questo scenario, fatto di separatezza tra comunità, vi è una seconda separazione, quella tra le generazioni più giovani ed un sistema politico e di potere settario, senescente, poco credibile, ed ancor meno presentabile, animato da chi ha costruito le proprie fortune politiche sulla paura del diverso.

In Bosnia, paese dalla bellezza selvaggia, con ecosistemi unici ed in parte ancora integri, più che altrove, la questione ambientale è in primo luogo questione sociale.

Da anni esiste in Bosnia una mobilitazione silenziosa, fatta di tante piccole grandi vertenze, che compongono un mosaico fatto di lotte ambientali e mobilitazioni di comunità locali a difesa dell’ambiente e del diritto a salute.

Subito dopo la sottoscrizione degli accordi di Dayton, il turbo capitalismo arrembante sbarcò tra le macerie bosniache.

I lucrosi affari per la ricostruzione del paese si unirono a quelli legati alle privatizzazioni dei servizi pubblici ed alle speculazioni immobiliari.

Ciò ha consentito al sistema politico bosniaco di ramificare e radicare il proprio sistema di potere in profondità, con la collaborazione dell’alto rappresentante delle nazioni Unite per la Bosnia Erzegovina, e dei paesi occidentali, che hanno approfittato della svendita del territorio bosniaco per realizzare investimenti in ambiti altamente speculativi come quello delle energie rinnovabili.

Foto di Paolo Pantaleoni

Nei Balcani (non solo in Bosnia ma anche in Macedonia, Serbia, Albania e Montenegro) le così dette mini centrali idroelettriche stanno diventando il business del futuro.

Meno strutturate rispetto alle centrali idroelettriche tradizionali, più costose ed ancora più impattanti, producono quantitativi minori di energia ma con un rapporto tra capitale investito e redditività di gran lunga più performante rispetto a quello delle centrali classiche.

Nonostante il nome seducente di mini centrale, che porta a pensare a qualcosa di piccolo e scarsamente invasivo, si tratta di impianti altamente impattanti, che modificano il corso dei fiumi, alterano portate e livelli e modificano, spesso irreversibilmente, le condizioni di vita lungo il fiume per centinaia di specie animali e vegetali.

Generano enormi profitti in breve tempo per chi investe, e sono causa di gravi problemi ambientali per chi in quei territori abita, sia esso umano che animale o vegetale.

Gli investimenti, spesso incentivati e sostenuti dai paesi UE, hanno trovato facile collaborazione da parte di chi governa il territorio, senza che nemmeno che dovesse usata la cartadell’incremento dei livelli occupazionali (anche perché le mini centrali hanno per chi investe il vantaggio competitivo di contenere molto il costo del lavoro poiché impiegano un numero estremamente scarso di personale).

Nonostante la devastazione della guerra dei primi anni 90, la Bosnia ha ancora oggi, grazie ad un territorio montuoso ed inaccessibile, una natura selvaggia che è riuscita a riappropriarsidei propri spazi e dove le popolazioni di animali selvatici come la lince, l’orso, il lupo, il castoro europeo o la lontra, sono in espansione anche verso i paesi confinanti.

La bellezza naturale in Bosnia è ovunque, appena poche decine di metri fuori dai principali centri urbani, in un paese oggi spopolatoe fatto di piccoli villaggi di seconde case.

Chi è fuggito dalla guerra verso Austria e Germania fa ritorno per le vacanze estive creando delle comunità locali che sono diventate forzatamente bilingui nella seconda metà degli anni ‘90, con il tedesco oggi parlato e compreso in tutta la Bosnia Occidentale.

Se da un lato la politica istituzionale non è vista come strumento di emancipazione sociale, le lotte e le mobilitazioni ambientali rappresentano in maniera diffusa ed estremamente capillare, lo spazio pubblico in cui le comunità locali, ritrovano il proprio agire politico ed il proprio protagonismo sociale, per difendere il territorio dalla miopia affaristica di chi amministra l’esistente.

La mobilitazione diffusa delle comunità come spazio per la riacquisizione di una dignità collettiva, sottratta dallo svilimento delle istituzioni in comitati d’affari, ed dall’impoverimento di un territorio tra i più ecologicamente diversificati e suggestivi di tutta l’Europa continentale.

In questo contesto, negli anni si sono creati comitati spontanei, che assolvono il difficile compito di costruire mobilitazionesociale, lotta, consenso e, al tempo stesso, devono tener lontani dall’adesione alla mobilitazione i politici locali che provano a cavalcare le singole vertenze, per convenienza personale.

Ricchissima di corsi d’acqua la Bosnia è un paese con risorse idriche abbondanti che sono diventate il terreno di scontro tra il capitalismo in salsa verde e chi i territori li abita.

La Drina, sulle cui sponde trova ambientazione il magnifico romanzo del premio Nobel per la letteratura Ivo Andric, la Sava, il Vrbas, la Neretva, la Bosna, l’Una, la Sana sono solo alcuni dei grandi cosi d’acqua in cui vive una fauna fatta di mammiferi acquatici, uccelli e specie ittiche tra le meglio conservate in Europa.

Quando il colossale giro di affari delle mini centrali idroelettriche iniziò a palesarsi anche in Bosnia, nacque spontaneamente una risposta popolare oggi ancora viva ed in crescita.

Nel 2000 i primi a mobilitarsi furono i cittadini della valle della Neretva.

La Neretva scorre in un contesto naturale e paesaggistico straordinario, fatto di gole di calcarenite, e boschi maturi, unico luogo al mondo in cui si trova una specie ittica endemica come la trota fario dalla bocca molle, (Salmo obtusirostris).

In questo luogo magnifico venne inaugurato nel 2000 un progetto di quindici mini centrali idroelettriche lungo il corso del fiume.

La mobilitazione della popolazione e la lotta che ne seguì, portò alla rinuncia al progetto.

Dalla mobilitazione contro l’impatto devastante della miniera di litio di Majevica, fino alla lotta che ha portato nel corso del 2024 alla chiusura della cokeria di Zenica della ArcelorMittal, nell’ultimo decennio la Bosnia è stata attraversata da una grandeondata di lotte ambientali.

Nel 2017 nel villaggio di Kruščica, attraversato dall’omonimo fiume, furono le donne del paese da dare vita ad una mobilitazione radicale, durata circa un anno, anche qui contro la costruzione di una centrale idroelettrica che avrebbe mutato la valle ed il fiume.

Le donne del paese si auto proclamarono guardiane del fiume, attivando una vigilanza diurna e notturna che le portò a presidiare costantemente il fiume per 300 giorni per impedire l’inizio dei lavori, fino alla sospensione definitiva dei lavori.

Dopo la lotta di Kruščica, nel 2020 la Federazione Croato Musulmana ha adottato la moratoria sulle mini centrali idroelettriche.

Tale moratoria non ha però valore legale su circa la metà del territorio Bosniaco, quello amministrato dalla Repubblica Seprska,dove quest’estate, nei dintorni di Sipovo, un gruppo di cittadini della valle della Pliva, è venuto a conoscenza del progetto, tenuto nascosto per mesi, per realizzare una nuova mini centrale idroelettrica, fatta da una società a capitale ceco con la benedizione della politica locale.

È nata così una nuova lotta ambientale, quella dei Guardiani della Pliva (Cuvari Plive in serbo croato).

Li ho incontrati per puro caso, mentre pescavo lungo quel fiume meraviglioso che è la Pliva, dove si incontrano con facilità i segni della presenza della lontra e dove vive una delle molte popolazioni di temoli dei monti dinarici.

Tre ragazzi del luogo, mi avvicinarono a bordo fiume, nei pressi di un piccolo ponte stradale, per chiedermi un pezzo di corda che serviva loro per attaccare uno striscione sul ponte.

Chiesi di che striscione si trattasse e cosa vi fosse scritto, pur non avendo con me la corda che cercavvano, e mi raccontarono del comitato appena costituito, della difficoltà di aggregare evitando che qualche politico locale provasse a mettere il cappello sul movimento, o a cavalcare la lotta.

Ci fermammo a parlare del fiume, della sua bellezza e dell’impatto devastante che la mini centrale avrebbe su quel meraviglioso corso d’acqua che disegna paesaggi da cartolina fino a tuffarsi nel Vrbas dando vita alle cascate di Jajce.

Un gruppo di cittadini, ha scelto anche qui di unirsi animati dalla volontà di difendere il fiume della loro vita, della loro infanzia, perché, come scriveva Tiziano Terzani, per conoscere un popolobisogna esplorare i fiumi lungo cui vive.

Prendendo spunto da altri comitati i Guardiani della Pliva, hanno organizzato una marcia, che ha riscosso successo ed a cui hanno fatto seguito nuove manifestazioni, una mobilitazione permanente che unisce attivismo ambientale e partecipazione ad incontri e convegni, senza trascurare il racconto sui social per rendere nota la vicenda della valle.

Oggi il progetto è impantanato in un circolo vizioso, con il ministero dell’industria della Repubblica Seprska che approva i permessi a realizzare l’opera, e sentenze di tribunali che fermano temporaneamente l’iter amministrativo dell’opera stessa.

Il comitato, dopo essere riuscito a creare consenso e mobilitazione, cerca ora di ottenere per l’area, lo status di area protetta, il che impedirebbe la prosecuzione dello scempio ecologico.

Come a Kruščica, o nella valle della Neretva, anche a Sipovo una comunità locale lotta contro uno scempio ecologico, che in tempi di capitalismo green va sotto il nome di transizione ecologica, come se fosse possibile praticare una transizione ecologica senza mettere in discussione il modello economico e gli stili di vita.

Il rischio, come avviene per le mini centrali elettriche, è che venga presentata come transizione una mera speculazione economica che regala affari lucrosi sulla pelle di un territorio. Pagine Esteri