Pagine Esteri – Ieri nelle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo sono scoppiati nuovi intensi combattimenti, all’indomani della firma a Washington, da parte dei leader congolesi e ruandesi, degli ennesimi accordi diretti teoricamente a porre fine ad anni di conflitto per il controllo delle regioni minerarie del paese.
I miliziani del movimento M23, sostenuto dal Ruanda, che all’inizio dell’anno hanno già conquistato le principali città del Congo orientale, ha accusato le forze governative di compiere attacchi su larga scala contro le proprie posizioni. Per i portavoce del movimento ribelle finanziato da Kigali – che si appropria così dei proventi della vendita dei minerali preziosi o rari estratti e trafugati in Congo dai miliziani dell’M23 e da gruppi di mercenari – il Burundi, alleato del Congo, avrebbe condotto pesanti attacchi utilizzando droni e artiglieria pesante contro vari villaggi del Nord e del Sud Kivu, provocando ingenti danni e causando anche vittime civili.
L’esercito congolese ha da parte sua replicato di aver solo reagito agli attacchi provenienti dall’M23, sostenuto da un drone che sarebbe entrato nello spazio aereo di Kinshasa dal Ruanda prima di essere neutralizzato. Secondo i militari congolesi anche le truppe ruandesi, che sono entrate nel paese in appoggio ai ribelli, hanno condotto bombardamenti contro alcuni villaggi costringendo la popolazione a sfollare.
«Nel 2025, i combattimenti si sono intensificati a livelli mai visti da anni e, come sempre, i bambini ne stanno pagando il prezzo» ha denunciato il portavoce delle Nazioni Unite, Stephane Dujarric.
«Stiamo risolvendo una guerra che dura da decenni» si è vantato per l’ennesima volta Donald Trump, al cui cospetto giovedì il presidente congolese Felix Tshisekedi e il suo omologo ruandese Paul Kagame hanno confermato l’accordo già raggiunto a giugno e rimasto in gran parte lettera morta.
All’amministrazione Trump, intervenuta per riportare i leader dei due paesi al tavolo delle trattative, poco importa che i combattimenti continuino, l’importante è che le imprese di Washington ottengano corsie preferenziali per lo sfruttamento delle risorse minerarie congolesi.
Il Congo orientale è infatti ricco di oro, stagno e tantalio, utilizzati nell’elettronica portatile, e a sud della zona di conflitto si trovano alcuni dei giacimenti di rame, cobalto e litio più ricchi del pianeta. Il Congo è il principale produttore mondiale di cobalto, fornendo il 70% della produzione mondiale, ed è anche il quarto produttore di diamanti industriali del pianeta.
Per questo la crisiinteressa da vicino le due grandi superpotenze globali, gli Stati Uniti e la Cina, e s’intreccia con l’iniziativa nota come Corridoio di Lobito, il maxi progetto ferroviario lungo 1.300 km finanziato dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, che mira a collegare i bacini minerari congolesi allo Zambia e al porto angolano di Lobito, sull’Oceano Atlantico. Un progetto che, nelle intenzioni di Washington, punta ad essere la risposta alla Nuova via della seta cinese.
Gli Usa puntano a sfruttare appieno le opportunità economiche e commerciali che una stabilizzazione dell’area potrebbe offrire, anche approfittando della crescente volontà delle autorità di Kinshasa di diversificare le proprie attività allentando i vincoli creati finora con Pechino.
Secondo vari media – tra cui il “Wall Street Journal” e “Bloomberg” – mesi fa il presidente congolese Tshisekedi avrebbe offerto a Donald Trump un accesso preferenziale alle risorse minerarie del Paese in cambio del sostegno di Washington contro l’insurrezione lanciata nel Congo orientale dai ribelli dell’M23, sostenuti dal Ruanda.
Trump non si è fatto sfuggire l’opportunità. I colloqui tra i due governi africani sono iniziati formalmente ad aprile, quando Trump ha inviato nella regione il suo incaricato speciale per gli Affari africani, Massad Boulos. A giugno, i ministri degli Esteri di Kinshasa e Kigali, rispettivamente Therese Kayikwamba Wagner e Olivier Nduhungirehe, hanno firmato un primo accordo presso il dipartimento di Stato americano.
All’inizio di novembre, poi, i team tecnici delle due parti hanno compiuto il passo successivo avviando il “Quadro di integrazione economica regionale” (Reif), che promette miliardi di dollari di investimenti statunitensi e delinea le aree chiave per promuovere una cooperazione economica tra i due Paesi rivali che al momento però sembra alquanto lontana.
L’M23, infatti, si è tirato fuori da ogni accordo, affermando più volte di non sentirsi vingolato. Di conseguenza, l’intesa non è stata sottoscritta da Kinshasa, che fino a giovedì si è rifiutata di firmare finché le forze militari ruandesi non si ritireranno dal proprio territorio.
Ma il raggiungimento giovedì dell’ulteriore intesa tra Congo e Ruanda non sembra per ora sortire alcun effetto sul campo. Secondo un rapporto pubblicato a fine novembre dall’”Ufficio congiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani”, nell’area le violazioni dei diritti umani sono aumentate dell’11% nei primi sei mesi dell’anno e le vittime sono cresciute del 12% rispetto ai sei mesi precedenti. Il rapporto mette in guardia dall’espansione del conflitto in altre regioni del Congo orientale. Tra queste c’è la provincia dell’Ituri, dove la violenza sta aumentando e si moltiplicano anche gli attacchi perpetrati anche da altri gruppi armati locali solo in parte legati al conflitto tra Congo e Ruanda. Pagine Esteri
















