Da oltre un anno la Serbia è attraversata da un’ondata di mobilitazione senza precedenti contro la corruzione, il governo, e più in generale contro il sistema di potere del presidente Alexandar Vucic.

Manifestazioni diffuse in tutte le principali città serbe hanno portato in piazza centinaia di migliaia di persone in tutto il paese.

A dare avvio alla mobilitazione è stata una tragedia, apparentemente sconnessa da concause sociali e politiche e che, in pochi giorni, è diventata il simbolo delle mancanze e delle negligenze nell’esecuzione dei lavori pubblici affidati dal governo ad aziende esterne vessate da una vasta e capillare filiera di corruttele.

Il 1° Novembre 2024 una pensilina in ristrutturazione, all’esterno della stazione ferroviaria di Novi Sad, in Voivodina, nel nord della Serbia, seconda città del paese, è crollata, uccidendo sedici persone tra cui una donna incinta ed un bambino di pochi anni d’età.

La tragedia ha assunto in poche ore i connotati simbolici di tutto ciò che è il diffuso sistema di corruzione negli appalti pubblici, fatto di tangenti, di ricerca di risparmi su processi e materiali da parte delle aziende appaltatrici, di scarsa attenzione alla sicurezza.

Nelle giornate successive all’evento, le piazze e le strade di Novi Sad sono state teatro di una grande manifestazione animata da un movimento studentesco eterogeneo, plurale che tiene assieme un fronte ampio di posizioni politiche ostili all’attuale governo Vucic.

Dopo l’ubriacatura nazionalista che ha attraversato i Balcani nei primi anni 90 del secolo scorso, dopo i fasti ottocenteschi, esiste oggi una mobilitazione politica e sociale che prescinde dalla retorica patriottarda che ha rappresentato il popolo serbo come vessato da complotti e restrizioni delle altre comunità balcaniche, per oltre sei secoli.

La retorica di Kosovo Polje, che ha fatto la fortuna della leadership serba post jugoslava, sembra fare meno breccia nelle giovani coscienze rispetto a qualche anno fa.

In quella battaglia, persa dai serbi, nacque il mito nazionale serbo dove sacrificio ed identità nazionale convivono alla ricerca continua di un riscatto dalla vergogna della sconfitta.

Nel 1389 poco distante dall’odierna Pristina, nel Campo dei Merli, (Kosovo Polje in serbo e Fushë Kosovë in albanese) una coalizione di nobili serbi affrontò le armate dell’Impero Ottomano (e poco importa che nella narrazione nazionalista serba che i serbi di Macedonia, ortodossi, combattessero con gli ottomani) venendo sconfitta.

Il giorno della battaglia tra le vittime figurava anche il sultano ottomano Murad primo anche se le fonti coeve non raccontano praticamente nulla sulle modalità dell’uccisione.

È solo a metà del XV secolo che prende avvio una narrazione leggendaria secondo cui ad uccidere il sultano fu l’eroismo del nobile serbo Milos Obilic.

Quella sconfitta, che pose fine ai regni slavi di Serbia e di Bosnia, divenne il mito fondativo di un’identità oppressa su cui la retorica nazionalista ha costruito le proprie fortune.

In pochi giorni la mobilitazione degli studenti di Novi Sad è uscita dai confini cittadini, dell’elegante città sul Danubio, con i palazzi eleganti dai profili austro ungarici.

Novi Sad è un gioiello di confine dove cultura serba ed austroungarica si fondono, ed in pochi giorni è diventata la scintilla di una mobilitazione che ha portato alle dimissioni del primo ministro Milos Vucevic, ex sindaco di Novi Sad, e premier per circa 11 mesi.

Università occupate, mobilitazioni diffuse e una manifestazione con oltre un milione di persone nelle strade di Belgrado hanno dato corpo ad una separazione generazionale diffusa nel paese in cui le giovani generazioni reclamano il proprio protagonismo sociale e chiedono trasparenza ed investimenti pubblici su sanità e pubblica istruzione.

L’obsolescenza del sistema politico post jugoslavo, di stampo neo nazionalista ha preso corpo e forma in Serbia così come nella comunità serbo bosniaca in Bosnia Erzegovina, con una dinamica sociale e politica analoga a quella che in Croazia ha posto fine al mito fascistoide e nazional popolare creato dalla narrazione voluta da Franjo Tudjman e dai suoi eredi politici.

La risposta del governo serbo è stato un incremento delle pratiche repressive nei confronti delle mobilitazioni a cui si è aggiunta, poche settimane fa, anche se l’idea era nell’aria da circa un anno, l’avvio dell’iter parlamentare, al momento senza riscontri reali, per la proposta di legge di reintrodurre, dal 2026, il servizio di leva obbligatorio (abolito nel 2011) per un periodo di 75 giorni all’anno che dovrebbe portare nelle caserme serbe circa 20mila coscritti ogni singolo anno.

La mancanza di coperture economiche unita ai limiti infrastrutturali delle caserme, ha creato al momento uno stallo sulla proposta che è riuscita a dare nuova linfa alle mobilitazioni studentesche perché la Serbia, che ha le spese militari che incidono per il 2%, e che se facesse parte di Nato ed Unione Europea sarebbe un paese virtuoso agli occhi della Von der Leyen, ha avviato da tempo un processo di rapida modernizzazione delle forze armate e dei sistemi d’arma, tagliando la spesa pubblica su istruzione, previdenza sociale e sanità.

Da qualche settimana la Serbia ha anche sospeso la vendita di munizioni all’Ucraina, che ha rappresentato per l’industria bellica locale un business decisamente lucrativo nell’ultimo triennio, dopo le pressioni russe nonostante l’ostentata storica amicizia tra i due paesi.

Il ruolo del gas russo per alimentare la produzione industriale serba è stato uno strumento di facile utilizzo da parte del governo di Mosca che, forse mai come in questo momento, ha bisogno di paesi amici all’interno dei confini europei.

La Serbia di Vuvic rimane un paese cardine per le politiche securitarie dell’Unione Europea, posto a ridosso di quattro frontiere comunitarie (Croazia, Ungheria, Romania e Bulgaria) svolge il ruolo di poliziotto dei Balcani grazie agli ingenti flussi di denaro dell’Unione Europea per il controllo delle frontiere esterne.

Un affare lucroso, che ha già consentito in Turchia la sopravvivenza politica di Erdogan, e che è oggi per Vucic, che continua a ballare con abilità su più tavoli tra Bruxelles e Mosca passando per Kiev, una fonte di entrate significativa che alimenta quotidianamente un sistema di potere sempre più distante dai bisogni reali di un paese su cui incombe l’ombra lunga dell’EXPO2027, che sta facendo cadere su Belgrado una pioggia di denaro che alimenterà ulteriormente  il sistema di potere di Vucic. Pagine Esteri