Pagine Esteri – L’Ucraina ha perso la guerra, e ogni giorno che passa si avvicina il punto di rottura. Per anni ha creduto, incitata e foraggiata dagli Stati Uniti e dai paesi europei, di tenere testa ad una Russia descritta come isolata e debole.

Kiev ha lasciato incancrenire il conflitto in Donbass, la cui popolazione è stata trattata da Kiev come un nemico interno sin dal cambio di regime del 2014 e sottoposta ad una aggressione militare, concedendo alla Russia l’opportunità di intervenire a difesa dei “fratelli russi” dell’Ucraina orientale.

L’ingresso “de facto” di Kiev nella Nato, con annesse massicce forniture di armi e arrivo nel paese di consiglieri militari occidentali, ha convinto infine Putin a ordinare l’invasione nel 2022.

A quasi quattro anni dall’inizio dei combattimenti diretti tra ucraini e russi, la situazione a Kiev appare sempre più grave, mentre i vari tour e incontri diplomatici diretti al raggiungimento di un accordo si scontrano con le linee rosse di Zelensky e Putin e con il timore dei paesi europei di rimanere tagliati fuori dall’abbraccio tra Mosca e Washington (nella “Strategia per la sicurezza nazionale” il governo statunitense ha messo nero su bianco la necessità di ripristinare le relazioni economiche e politiche con la storica controparte).

Trump sembra realmente interessato a disimpegnarsi da un conflitto che invece l’amministrazione Biden fece di tutto per far deflagrare, a costo di sacrificare il gruppo dirigente ucraino come del resto è da tradizione in molte delle guerre condotte dagli Stati Uniti contro i propri nemici.

Zelensky e i suoi si trovano di fronte ad una tragica scelta: sacrificare territori che hanno del resto già perso o che potrebbero perdere nelle prossime settimane – e con essi la continuazione della propria carriera politica – oppure portare il paese al collasso continuando un conflitto che l’Ucraina non è più in grado di reggere con gli scarsi aiuti che l’Unione Europea è in grado di accordargli mentre Washington tira i remi in barca per concentrarsi sull’America Latina.

La Russia ha ripreso ad avanzare
Dopo aver negato per settimane che a Pokrovsk, in Donbass, la situazione fosse disperata, il comandante militare ucraino Oleksandr Syrskii ha ammesso di aver ordinato alle sue truppe di abbandonare le posizioni che non sono più in grado di difendere, lasciando campo libero ai militari russi che controllano la maggior parte della città assediata da ormai 17 mesi ed hanno occupato Siversk, una delle cittadine maggiormente fortificate dell’area. Ora le truppe russe si apprestano a conquistare la vicina Liman.

Il generale russo Valery Gerasimov ha affermato che le sue forze stanno avanzando lungo tutta la linea del fronte, preparandosi a sloggiare del tutto gli ucraini da Pokrovsk per poi lanciarsi contro Kramatorsk e Slovyansk, le ultime grandi città del Donbass ancora controllate da Kiev, il cui assedio di fatto è già iniziato.

Novembre è stato un mese nero per l’esercito ucraino che ha ripreso a cedere terreno sotto i colpi di un nemico superiore in termini di uomini e mezzi. Nei giorni scorsi l’agenzia di stampa Afp, analizzando i dati diffusi dall’Istituto americano per lo studio della guerra (Isw), ha evidenziato che a novembre l’esercito russo ha conquistato 701 chilometri quadrati di territorio ucraino, il miglior risultato da un anno a questa parte. In Donbass, dove l’Ucraina ha concentrato le sue truppe e gli sforzi difensivi, la Russia avanza a fatica, ma riesce a tenere impegnato il nemico a tal punto da vedersi facilitata l’avanzata lungo il resto del fronte, soprattutto negli oblast di Zaporizhzhia e di Dnipropetrovsk.

È record di renitenti e disertori
Sfiancati da mesi se non da anni di fronte, e sempre più consapevoli che la guerra è persa e che si combatte e si muore al massimo per salvare il salvabile, i militari ucraini oppongono una resistenza sempre minore al nemico mentre il numero di casi di renitenza e di diserzione ha raggiunto livelli record.

Ormai agli uomini chiamati a prestare servizio al fronte che si rendono irreperibili rifugiandosi all’estero o nascondendosi si sommano quelli che fuggono dai centri di reclutamento e di addestramento, mentre cresce il numero di soldati che scappano dalle trincee e dalle caserme. Sono molti quelli che non tornano alle proprie posizioni dopo aver goduto di un permesso o in seguito al ricovero in strutture sanitarie.

Gli episodi di aggressione violenta nei confronti degli agenti delle “pattuglie di leva” si fanno sempre più frequenti, agevolati dall’intervento di parenti, amici o passanti a sostegno di coloro che vengono bloccati con la forza per essere coscritti.

Ad ottobre, i procuratori hanno affermato che circa 235.000 militari sono “dispersi” senza permesso e che quasi 54.000 soldati hanno disertato da quando la Russia ha iniziato la sua invasione. Il numero di renitenti e disertori è tale che ormai i tribunali e la polizia militare non riescono più a perseguirli tutti, con le condanne – che possono arrivare anche a dieci anni di reclusione – che diventano sempre più rare. E comunque molti preferiscono la prigione ad un fronte dove spesso si viene catapultati senza alcun addestramento militare degno di questo nome o senza le armi e gli equipaggiamenti necessari a combattere.

Nel novembre del 2024 il governo ucraino ha varato una sorta di amnistia che consente a coloro che abbiano disertato una volta di tornare alle loro unità senza subire alcuna sanzione, ma finora solo 30 mila soldati ne hanno approfittato.

La corruzione
I continui scandali per corruzione che coinvolgono ministri, alti funzionari e comandanti militari non contribuiscono certo a motivare le truppe al sacrificio.

Dopo la rinuncia o il licenziamento di vari ex ministri e del braccio destro di Zelensky Yermak, accusati di far parte di un’associazione a delinquere che intascava grosse tangenti, nei giorni scorsi l’Ufficio nazionale anticorruzione (Nabu), la Procura specializzata anticorruzione (Sapo) e il Servizio di sicurezza dell’Ucraina (Sbu) hanno smascherato un’altra rete guidata da una deputata del Parlamento ucraino, che secondo le indiscrezioni dovrebbe essere Hanna Skorokhod, una esponente del partito “Per il futuro”.

Skorokhod era stata eletta alla Verkhovna Rada (il Parlamento monocamerale di Kiev) come membro di “Servitori del popolo”, il partito del presidente, ma nel novembre del 2019 era stata espulsa dopo aver affermato che il governo aveva arrestato suo marito per il suo rifiuto di sostenere la liberalizzazione del mercato fondiario.

“Per il futuro” è un partito finanziato dall’oligarca ucraino Ihor Kolomoisky, inizialmente molto vicino al presidente Zelensky e attualmente in carcere per un’indagine relativa al reato di riciclaggio di denaro.

Il crollo demografico
Sul paese in guerra incombe anche lo spettro del tracollo demografico. Mentre milioni di abitanti dopo l’invasione si sono rifugiati all’estero per sfuggire ai bombardamenti e alla disoccupazione o per evitare di essere inviati al fronte, il numero di nuove nascite è rapidamente crollato mentre migliaia di militari relativamente giovani muoiono ogni mese.

Secondo l’istituto demografico dell’Accademia nazionale delle scienze dell’Ucraina, la popolazione del paese, che prima dell’invasione era di 42 milioni (già in netto calo rispetto ai decenni precedenti), si è ridotta a meno di 36; ma questa cifra comprende alcuni milioni di persone che vivono nelle regioni ormai conquistate e annesse da Mosca. Si stima che entro il 2051 la popolazione possa scendere a soli 25 milioni.

Secondo le stime del governo, l’aspettativa di vita media degli uomini in Ucraina è scesa dai 65,2 di prima della guerra a 57,3 anni nel 2024. Per le donne, la cifra è scesa da 74,4 a 70,9.

Un documento del governo diffuso l’anno scorso avvertiva che l’Ucraina soffrirà nel prossimo decennio di un deficit di 4,5 milioni di lavoratori da impiegare soprattutto nell’edilizia, nella tecnologia e nei servizi amministrativi. Il tentativo è quello di contenere l’emigrazione e incentivare il rientro degli ucraini riparati all’estero ma finora i risultati non sono stati molto incoraggianti al punto che l’amministrazione e alcune grandi aziende private stanno cercando di attirare nel paese lavoratori stranieri in grado di colmare le falle.

Una volta finita la guerra, si chiedono in molti, chi rimarrà a ricostruire un paese distrutto? – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, si occupa di geopolitica e movimenti sociali. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria